Ero immigrato e pure minore
Migliaia di bambini e adolescenti approdano in Italia sui barconi della speranza. Cosa li aspetta?
Maria arriva dalla Costa d’Avorio. È una giovane mamma di 27 anni e sbarca a Lampedusa il 15 aprile con in dote due bimbe di dodici e sette anni. Scappa da Saba in Libia a causa della guerra e dei continui bombardamenti. Nella fuga perde le tracce del marito. Entrambi di mestiere sono fotografi e in Libia si trovavano bene, «nonostante i libici fossero un po’ razzisti» verso gli africani immigrati nel loro Paese. Per una casa in affitto con due camere, bagno e cucina pagavano 150 dinari, meno di 100 euro, e le figlie andavano a scuola con tanti coetanei africani. Ora tutto, anche quel poco che avevano, è perduto.
«Sono nato il primo febbraio del 1996, alle quattro del mattino. Era un giovedì», così risponde Zoros a chi gli chiede la sua data di nascita. Sbarca in Italia insieme a tre amici minori del Burkina Faso. Dal maggio del 2009 vivevano in Libia e lavoravano come pittori, giardinieri e muratori. Raccontano di essere stati vittime di violenze già prima dei sommovimenti, ma dopo «la situazione è peggiorata». Anche per loro l’unica soluzione è la fuga via mare. Si imbarcano da Misurata dopo aver pagato 1300 dollari a testa ed essere stati picchiati dalla polizia. L’odissea dura quattro giorni infiniti per percorrere i 350 chilometri che li separano da Lampedusa, la nuova terra promessa.
È l’alba del 10 aprile nel canale di Sicilia: Daniele ha 17 anni ed è l’unico sopravvissuto al terribile naufragio. A un operatore di Save The Children racconta di essere del Mali, dove ha lasciato una sorella più piccola e nessun altro, perché i genitori sono morti. Un amico gli ha pagato “il biglietto” per il barcone fatiscente che lo ha portato in Italia, verso la libertà. Lui è sopravvissuto, l’amico non ce l’ha fatta. Ora è a Brindisi per riannodare i fili della speranza e sciogliere i nodi del dolore.
Storie di ordinaria fuga, storie di disperazione e di speranza, cercando un’altra vita, una vita migliore della guerra, della fame, degli stenti, della lotta per la sopravvivenza quotidiana. A tutti i costi, anche “giocando a scacchi con la morte”. Dall’inizio dell’anno sono circa 1500 i migranti burocraticamente detti “minori”, che hanno attraversato il mare per approdare in Sicilia. Il 90 per cento sono soli, senza famiglia, il 10 per cento accompagnati da un familiare. La maggior parte sono tunisini, ma dal 26 marzo arrivano anche molti minori provenienti dalla tappa obbligata della Libia, in gran parte originari di Paesi africani.
L’identificazione
Una volta approdati a terra, scattano le procedure di identificazione e di accertamento dell’età. Quasi tutti i minori sono senza documenti, in alcuni dei loro Paesi di provenienza, come l’Afghanistan e la Somalia, un ufficio anagrafe neanche esiste.
«Non c’è una procedura uniforme per tutto il territorio nazionale – ci spiega Antonella Inverno, responsabile dell’area legale di Save the Children – e già questo espone i minori al rischio del diritto di non discriminazione, perché non ci sono metodi e trattamenti uguali per tutti».
Il metodo più usato per accertare l’età è la radiografia del polso che si fonda sui parametri stabiliti nell’Atlante di Greulich & Pyle. È un metodo comparativo che stabilisce, a seconda dello sviluppo del polso, la crescita di un bambino. Normalmente il test va effettuato più volte l’anno e il dottore determina lo sviluppo delle ossa, comparandole alle radiografie dell’Atlante fatte negli anni Trenta su bambini e adolescenti americani. Già in condizioni normali si basa su un’interpretazione largamente soggettiva che porta a differenti interpretazioni dei parametri dell’Atlante. Figuriamoci se effettuato da tecnici radiologici del pronto soccorso in piena emergenza umanitaria, senza alcuna specializzazione sul metodo di Greulich e Pyle.
«L’Atlante, inoltre – sottolinea Antonella Inverno –, non nasce con la finalità di definire l’età biologica, ma per diagnosticare eventuali problemi nell’accrescimento. Non esiste un metodo che determini con oggettiva certezza l’età biologica di un soggetto». Si comprende, allora, come l’accertamento dell’età di un minore sia approssimativo, improvvisato e con criteri di giudizio non oggettivi. Ogni metodo – si analizza anche lo sviluppo dei genitali, dei peli e dei denti – ha un margine di errore, a seconda del criterio utilizzato, attorno a due anni. Se consideriamo che il 75 per cento dei minori stranieri che arrivano in Italia ha tra i 16 e i 17 anni, si comprende che l’accertamento dell’età è del tutto inutile, perché ogni giovane potrebbe avere fino a due anni in più o in meno.
«In base a questi criteri sono firmati i decreti di espulsione – conclude Antonella Inverno – ma gli espulsi sono minori difendibili e tutti i ricorsi che abbiamo seguito li abbiamo vinti».
La legge sulla sicurezza
In Italia, la situazione è ancora accettabile. Se per caso, un barcone di migranti fa rotta su Malta, li attende il carcere, anche per i minori. «Le autorità maltesi – racconta don Mosè Zerai, direttore dell’agenzia Habeshia – detengono in carcere tutti i profughi, senza nessuna distinzione, anche donne in stato interessante, bambini e neonati. In base a quale legislazione Malta tratta i migranti in questo modo?».
I minori giunti in Italia, invece, sono accolti in case-alloggio, distribuite su tutto il territorio nazionale e usufruiscono degli stessi diritti di un minore italiano in base alla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia che lo Stato italiano ha ratificato nel 1991. Sono tutelati il diritto alla vita, alla salute, all’istruzione, al gioco, alla libertà di opinione e di essere difesi da tutte le forme di sfruttamento e abuso.
Diritti che, tuttavia, i minori perdono una volta raggiunta la maggiore età a causa della legge 94/2009, più nota come “Legge sulla sicurezza”, che prevede stringenti requisiti per la conversione del permesso di soggiorno al compimento dei 18 anni. Per poter restare in Italia sono richiesti tre anni di permanenza o due anni di partecipazione a un programma di integrazione, oltre al requisito dell’apertura della tutela o dell’affidamento. Gioco forza è ritrovarsi clandestini da un giorno all’altro e favorire l’irregolarità e il coinvolgimento in attività illegali, proprio il contrario degli obiettivi della “Legge sulla sicurezza”.
«L’esperienza ci ha mostrato – sottolinea il sociologo Franco Prina – che, offrendo ai minori dei percorsi di inserimento con la prospettiva di permanenza regolare dopo i 18 anni, questi accettano un progetto di integrazione che prevede le diverse tappe: scuola, formazione e lavoro».
Oltre le emergenze bisogna ricercare delle leggi che favoriscano “l’inclusione delle presenze” ormai stanziali sul nostro territorio, che rappresentano il sette per cento della popolazione italiana. Un primo orientamento è il dare la cittadinanza italiana ai figli degli immigrati, che raggiungono quota 930 mila, di cui molti nati o cresciuti nel Belpaese. Investire sul capitale umano dei minori migranti, garantendo sicurezza e legalità, può essere una risorsa e una opportunità per un Paese a tasso di crescita zero. La proposta di legge presentata dagli on. Andrea Sarubbi e Fabio Granata, va in questa direzione e prevede anche una corsia preferenziale per i minori stranieri in cambio di alcuni requisiti qualitativi e formativi.
«Quando la presentammo, più di un anno fa – dice l’on. Sarubbi –, passò alla cronaca come una proposta di buon senso e pragmatica. Né buona, né cattiva, ma giusta. Come ogni politica sull’immigrazione dovrebbe essere, se non vuole restare impantanata nella palude dell’ideologia». È forse ora di rilanciarla.
Un altro segnale positivo è stata l’approvazione, mesi fa, di una mozione unica sottoscritta in Parlamento da deputati appartenenti a diversi partiti politici, volta a rafforzare la tutela dei minori stranieri non accompagnati a cui ora è necessario dare seguito.
I bambini ci guardano – era il titolo di una bella pellicola neorealista – e aspettano.
Aurelio Molè