Erano i tempi di guerra. . .

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In ogni latitudine del pianeta, nei più svariati contesti etnici e sociali, a contatto con gruppi, comunità o persone di ogni età, razza e credo religioso, i membri del Movimento dei focolari narrano la loro esperienza spirituale e umana alla stessa maniera della fondatrice, Chiara Lubich e delle sue prime compagne: “Erano i tempi di guerra e tutto crollava. Noi, alcune giovinette, dai quindici ai venticinque anni, ci sentivamo attratte dai migliori ideali che si potevano immaginare: lo studio, una futura famiglia, una bella casa, l’arte, la patria… “Ma la guerra devastava intorno ogni cosa e sembrava stroncare ogni nostra aspirazione. Sembrava che il Signore volesse ricordarci che tutto è “vanità delle vanità”. “Contemporaneamente Dio metteva nel mio cuore, per tutte, una domanda e con essa la risposta: ma ci sarà un ideale che non muore, che nessuna bomba può far crollare, a cui dare tutte noi stesse? “Sì, Dio. Decidemmo di fare di Dio l’ideale della nostra vita. Ma come metterlo in pratica? Il Vangelo risponde: “Non chiunque mi dice, Signore, Signore, entrerà nel Regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7, 21). “Ci sarà una volontà di Dio che piace particolarmente a lui? “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15, 12-13). “Colle mie nuove compagne mi trovo un giorno in una cantina buia, con la candela accesa e il Vangelo in mano. Lo apro: v’è la preghiera di Gesù prima di morire: “Padre… tutti siano una cosa sola” (Gv 17, 11.21). Quelle parole sembrano illuminarsi ad una ad una e ci mettono in cuore la convinzione che per quella pagina del Vangelo eravamo nate. “Egli aveva detto: “Siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda…”(Gv 17, 21). C’è Cristo nell’unità dei fratelli e il mondo crede… “(1). Ma perché i membri del movimento ripetono sempre questa medesima storia? Per essere fedeli all’ispirazione iniziale e alle sue protagoniste? Per riscoprire essi stessi la loro origine e le proprie radici? Certamente anche per questo, ma soprattutto e innanzitutto perché quella storia, quel racconto, ha un valore di paradigma, di modello esemplare. Esso contiene delle risposte ad aspirazioni universali che nello scorrere del tempo e nella diversità degli spazi e dei contesti – forse soprattutto nei momenti di sofferenza, dubbio, perplessità, oscurità – si fanno strada nell’intimo della persona, delle comunità e dei popoli. “Erano i tempi di guerra e tutto crollava”. Ogni tempo ha le sue guerre. Anche il nostro non ne è esente. Non sempre però guerra vuol dire bombe che cadono e distruggono. Gli ordigni spesso prendono l’aspetto e la dimensione di correnti ideologiche, di costumi e nuove mode, di pensiero e mentalità, di rivoluzioni culturali (secolarismo-consumismo) di eventi epocali (emigrazioni di popoli-scontri di religioni), di stravolgimenti internazionali (globalizzazione- terrorismo), e ancora… distruggono. “Tutto è vanità delle vanità”. Ed ecco che anche per l’uomo del nostro tempo, assalito dal desiderio di autonomia e libertà, ma più o meno cosciente di essere ingabbiato in molteplici corazze opprimenti, affiorare e farsi largo e farsi pressanti do- mande e aspirazioni. Domande che si fanno impellenti nel nuovo scenario, dove sembra di assistere ad un decadimento del tasso di umanità, dove i tratti e i valori che costituiscono il “volto umano” sembrano soffrire un processo di impoverimento. Aspirazioni per ritrovare un modo di essere e un modo di porsi nel cuore dei cambiamenti, dei processi come soggetti, capaci di orientare e, quando necessario, di trasformare la storia secondo princìpi dotati di senso e di finalità. In quel “racconto”, ripetuto e trasmesso, spesso si trova una risposta attuale e adeguata: “Solo Dio resta…”; “Dio che è solo Amore e ci ama immensamente… “; “Solo l’amore sazia ogni sete e riempie ogni vuoto…”; “L’unità richiesta da Gesù al Padre è la sola indicazione valida per far di un mondo diviso, un mondo in armonia e solidale…”; “La fraternità conduce all’unità e ne è allo stesso tempo, il frutto maturo…”. Anch’io ho sentito raccontare questa storia, tanti anni fa, in una mattinata assolata, nella mia città, Recife, nel mio paese, il Brasile. Nel vigore dei miei venti anni ero già delusa da ogni proposta religiosa o ideologica per la soluzione dei gravi problemi sociali che gravavano sulla mia gente. Mi sentivo impotente. Quel “racconto” – anche per la testimonianza di vita coerente della narratrice – risvegliò nel mio intimo la speranza, e mi offrì un ideale valido, moderno, in grado di dare un contributo efficace alla trasformazione della società. In tutti questi anni ho sperimentato la potenza dell’amore e dell’unità nel rap- porto con i miei simili e nel lavoro dentro il sociale. E così per migliaia e migliaia di persone in questi sessanta anni di storia del movimento, in ogni angolo del pianeta. A Fontem, nel Camerun anglofono, dove una intera tribù, quella dei bangwa, accoglie l’annuncio dell’amore di Dio attraverso gli aiuti concreti che focolarini, e medici e infermieri, portano alla loro comunità decimata dalle malattie. La vita del Vangelo, convalidata da trasformazioni interiori ed esteriori che ha fatto parlare di “un miracolo nella foresta”, ha generato un popolo nuovo, dove si può vedere la solidarietà e l’amore in atto e una convivenza armoniosa e foriera di pace (2). In una immensa baraccopoli di Manila, nelle Filippine, il progetto sociale “Bukas Palad” (= a mani aperte, in lingua tagalog) ha trasformato un luogo di sofferenza ed emarginazione in una comunità che, nell’amore di Dio, ha imparato a dare e a ricevere in un’unica relazione di reciprocità. Ho visitato quella comunità ed ho costatato che si può essere felici e creativi anche nel bisogno e nelle ristrettezze. E nei paesi dell’opulenza, da Berlino a Parigi, da Hong Kong a Londra, da Amsterdam a Roma, persone di ogni ceto e cultura, operai, professionisti, accademici, imprenditori, politici testimoniano nel cuore della quotidianità, del lavoro, della ricerca, della vita familiare che l’amore è forza trasformatrice e trainante verso l’unità e la fraternità; che ogni ostacolo, barriera, conflitto può essere ed è superato e composto dall’amore fecondo e concreto. “Erano i tempi di guerra e tutto crollava”. Ieri, oggi e chissà… anche domani. RICCARDI: POPOLI FRATELLI A colloquio col fondatore della Comunità di Sant’Egidio. Leggendo la storia anche recente colpisce il fatto che i popoli, per i più svariati motivi, hanno scatenato conflitti e guerre a non finire. Siamo oggi nella stessa lunghezza d’onda o ci sono motivi per essere più ottimisti? “La situazione internazionale è profondamente cambiata dopo la seconda guerra mondiale e dopo la guerra fredda. Il mondo bipolare, nato con la fine del secondo conflitto, si è dissolto. Si è sperato che, con la conclusione dello scontro tra Est ed Ovest, cominciasse una nuova stagione di pace. Così non è stato negli anni Novanta, anzi si sono perse tante occasioni per costruire un sistema capace di contenere i conflitti e di fondare una pace solida. È la storia degli anni Novanta, che si conclude con l’attuale quadro internazionale, carico di tensioni e di minacce di guerra, nonché di conflitti ancora aperti. Purtroppo oggi troppi possono fare la guerra – e non solo stati, ma anche organizzazioni del crimine e del terrore – per cui ci troviamo in una situazione in cui la pace è minacciata da tante parti e in tanti modi”. Quale apporto alla convivenza pacifica tra i popoli e alla fraternità universale possono dare i cristiani e, in specie, i nuovi movimenti ecclesiali? “Il cristianesimo ha un suo apporto originale da dare per la pace. La chiesa è al di là dei confini nazionali e dei conflitti: con la sua comunione ci ricorda che gli uomini e i popoli sono fratelli. I movimenti, che vivono questa vocazione, possono molto: costruire un linguaggio comune, educare donne e uomini pacifici, mediare nei conflitti, pregare per la pace, ricordare a tutti che la pace è un bene universale “. DE BENI: IL PARADIGMA DELL’UNITÀ Due domande al prof. Michele De Beni, professore di didattica generale all’università di Verona. Il conflitto, o per lo meno la contrapposizione, vanno per la maggiore nelle dottrine che studiano le relazioni umane nella società. Ci sono segni di un cambiamento nel senso dell’unità e della collaborazione? “Fino ad un recente passato, nel campo delle scienze psicologiche e sociali, si sono prodotti molti studi sulla natura violenta ed egoistica dell’uomo, contribuendo a creare una specie di “mitologia dell’aggressività”, non tanto diversa, purtroppo, da quella che domina i messaggi televisivi. Oggi, però, si assiste ad una significativa inversione di tendenza. Sono sempre più numerosi gli studi sul comportamento altruistico, sulla reciprocità, sulla cooperazione, sul dono…, tutti importanti segnali di un rinnovato interesse per una “cultura del positivo”. “Questo orientamento sta interessando sempre più ogni ambito scientifico e, in particolar modo, quello dell’educazione. Molto incoraggianti sono i progetti di ricerca rivolti allo sviluppo delle capacità relazionali, prosociali e altruistiche dei nostri giovani. Mi riferisco alle molte, coraggiose realizzazioni formative in atto in vari paesi, comunità e scuole, sul dialogo, sulla cooperazione, sulla solidarietà, sulla pace… Si sta imponendo in vari settori di studio e di esperienza la consapevolezza che ci sarà tanta più speranza quanto più sapremo valorizzare la nostra umanità e gli sforzi per costruire l’unità tra tutti”. L’unità può costituire un paradigma di elaborazione di processi educativi e relazionali verso la costruzione di un mondo più fraterno e solidale? “Odio e amore, egoismo e altruismo, morte e vita, divisione e unità sono contemporaneamente vicini e lontani, fuori e dentro di noi. Ma qual è la nostra città? Dove orientare lo sguardo e le nostre energie? Sono, questi, interrogativi irrinunciabili per l’educazione. Ma essi non possono trovare risposta se non attraverso la ricerca d’unità tra gli uomini, nonostante le nostre innumerevoli lacerazioni. “Ecco perché, in educazione, il paradigma dell’unità può esser considerato come “l’ideale degli ideali”, la rivoluzione che più di ogni altra può contribuire all’edificazione di una città vera, fondata sulla formazione dell’uomo-relazione. Una relazionalità, però, che solo se vissuta come risposta al profondo bisogno d’amore di ogni essere umano può trovare il suo pieno compimento. “Non può esserci paradigma più elevato per l’educazione che l’amore, quale risposta al connaturale dover-essere dell’uomo. Pur con vari linguaggi, ne sono convinti tutti quegli studiosi, che con sincerità cercano il bene per questa nostra umanità”. CASTELLANO: UN CARISMA NUOVO Nostra intervista a padre Jesus Castellano Cervera, professore di spiritualità al Teresianum. Da più parti si afferma che l’unità è un segno dei tempi. Puntando lo sguardo sulla storia della spiritualità, possiamo essere confortati e spronati a crederci? “Nella storia della chiesa e della spiritualità cristiana, mai vi è stato un momento così vivo di ricerca di unità. All’interno della chiesa, per una più grande coscienza della sua unità e della sua universalità, e nell’ambito delle altre chiese e confessioni cristiane, perché nel secolo XX è iniziato il cammino ecumenico di conoscenza, collaborazione e sete di unità da parte dei cristiani. Inoltre, le religioni oggi si conoscono di più, ed esiste un rapporto mutuo che non esisteva prima. “Paolo VI nella Ecclesiam suam interpellava la chiesa e la invitava al dialogo in tutte le direzioni, per raggiungere un’unità come a cerchi concentrici. La chiesa è consapevole del suo essere sacramento- segno visibile dell’unità con Dio e fra gli uomini (LG n° 1). “Pur con la lentezza dei processi che coinvolgono l’umanità, la spiritualità d’oggi, segnata dal desiderio di vivere in una comunione planetaria i quattro dialoghi (all’interno della chiesa, con gli altri cristiani, con le diverse religioni, con le persone di altre convinzioni), appare segnata dallo slancio di comunione e di missione che abbraccia tutto e tutti, risale al mistero trinitario come fonte e meta dell’intera famiglia umana e del cosmo.Vivere la spiritualità oggi significa entrare in questo respiro di comunione universale, coglierne i segni, realizzare gli impegni”. La spiritualità del Movimento dei focolari trova nell’unità la sua espressione più autentica. Qualcosa di nuovo, o in continuità con la storia della spiritualità cristiana? “Non conosco, nella storia della spiritualità, un carisma ecclesiale che sia così centrato nell’ideale dell’unità, espresso nella preghiera sacerdotale di Gesù, e che stia realizzando profeticamente questo disegno. Certamente la sua novità è in continuità con la storia della chiesa, con le sue fonti e valori evangelici, ma è un carisma ecclesiale d’oggi. È dotato di singolari intuizioni che si concentrano, come raggi convergenti, nell’Ideale della carità-unità (Dio uno e trino) e si proiettano, come raggi divergenti, verso tutto e verso tutti. “La sua spiritualità illumina ed incarna il vangelo dell’unità, fino al dono della vita, come Cristo sulla croce, fatto uno con tutto e con tutti. Essa appare come sintesi teologica di pensiero, pedagogia di formazione, esperienza di vita, irradiazione di testimonianza: dialogo, inculturazione, presenza in tutti i campi della vita della società. Ma rimane un carisma nuovo dato alla chiesa e al mondo d’oggi per far lievitare tutti i fermenti presenti e futuri di unità, seminati da Dio nella storia umana”.

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