Eppure terroristi non si nasce

Il terrorismo nasce da un odio non combattuto con la politica. Al di là delle ideologie, solo lavorare per sconfiggere la violenza nelle menti ancor prima che nelle braccia porta risultati pacificanti

Sul suo profilo internet, Robert Bowers aveva postato, fra l’altro, anche una citazione pseudo-evangelica che avrebbe poi gridato mentre sparava nella sinagoga Tree of Life (albero della vita) di Pittsburgh durante la preghiera dello shabbat: «Jews are the children of Satan». In realtà la frase del quarto Vangelo (Gv 8, 44) a cui fa riferimento Bowers non dice questo, ma naturalmente lui non ha dubbi che la sua sia l’unica e autentica lettura. Il dubbio, la complessità e il pluralismo sono inquietanti, è meglio avere un’unica certezza assoluta: buoni da una parte e cattivi dall’altra. Così è entrato ed ha ammazzato 11 persone, ferendone altre 6.

Quasi altrettanto sconcertanti, a mio avviso, sono le risposte del presidente statunitense. Ha detto Trump: «Se ci fosse stata qualche sorta di protezione all’interno del tempio, allora la situazione sarebbe stata molto diversa». Cioè: se ci fossero stati dei rambo armati fino ai denti, lo avrebbero massacrato prima che potesse sparare. Ed ha aggiunto Trump: «Dovremmo rafforzare le nostre leggi sulla pena di morte per chi compie atti come questi». Nessun accenno, invece, all’arsenale di 21 armi da fuoco detenute legalmente da Bowers né al clima d’odio che cresce nel Paese e che inevitabilmente scatena l’esplosione della violenza in persone che alimentano le loro visioni fondamentaliste frequentando ambienti (reali e virtuali) che le confermano e sostengono. E che invocano una libertà di parola che in pratica è solo licenza di odiare, giustificando così l’eliminazione del nemico: cioè di chiunque io ritenga tale.

Indubbiamente su un’altra scala, ma l’approccio del terrorismo fondamentalista di gruppi come Daesh o al-Qaeda sembra seguire una logica simile, più complessa ma non troppo diversa. Ci sono segnali che anche lo Stato islamico (il Daesh) si stia evolvendo e rafforzando, oltre che di nuovo espandendo in Medio Oriente, Africa e Sud-Est asiatico, anche se con modalità diverse da quelle finora conosciute. E i due gruppi starebbero comunque valutando se e come ricollegarsi. Non è casuale che il figlio di Osama bin Laden, il 29enne Hamza, abbia dichiarato di voler vendicare l’uccisione del padre e che abbia sposato, nell’agosto scorso, la figlia di Mohammed Atta, l’egiziano che l’11 settembre 2001 guidò il primo aereo sulla torre nord del World Trade Center. Hamza bin Laden è considerato il vice dell’anziano Ayman al Zawahiri, l’attuale leader di Al Qaeda.

In un’intervista (di F. Mannocchi, l’Espresso, maggio 2018), Ali Soufan, un famoso ex agente Fbi di origini libanesi, offre un’interessante chiave di lettura all’escalation della violenza terroristica: «I governi occidentali non hanno saputo imporre una via diplomatica e politica per arrestare questa deriva e spesso abbiamo agito più per alimentare che per contenere la violenza». Attualmente Ali Soufan è Ceo del Soufan Group e fondatore del Soufan Center, un’organizzazione senza scopo di lucro che si dedica a ricerca, analisi e dialogo strategico su problemi di sicurezza globale e minacce emergenti. Ha pubblicato nel 2017 un libro intitolato: Anatomia del terrore ed ha ricevuto a maggio scorso il J. F. Kennedy award istituito dalla Phi Kappa Theta Fraternity, una sorta di associazione degli studenti di ispirazione cattolica di 45 università americane. Phi Kappa Theta si caratterizza per l’attenzione all’impegno fraterno e intellettuale, ai valori sociali e spirituali e per la formazione alla leadership.

Uno dei punti significativi dell’analisi di Soufan è quello che affronta i temi del reclutamento del terrorismo nelle prigioni, mediorientali e non, e l’uso autorizzato della tortura da parte della Cia statunitense e di altre polizie. In un passaggio dell’intervista, Soufan afferma:

Le prigioni sono sempre state luogo d’elezione del reclutamento. Usate per fare proselitismo, molti leader di Isis si sono formati a Camp Bucca, nel sud dell’Iraq, con al-Baghdadi.

Le notizie sulle orribili torture inflitte ai jihadisti catturati hanno incrementato, secondo Soufan, il reclutamento soprattutto dei foreign fighter che militano nelle fila dello Stato islamico. «E ora – continua – abbiamo una nuova generazione in Siria, Libia, Yemen, Iraq, Nigeria. Non solo i figli dei miliziani, ma ragazzini cresciuti imbevuti di violenza, senza istruzione. Anche se l’Isis fosse finito, possono essere il terreno fertile di nuovi gruppi estremisti. Saranno i primi obiettivi del futuro terrorismo». Come dire: per un’alternativa alla violenza terroristica è molto più efficace promuovere la formazione e l’educazione dei bambini che incrementare la violenza e la tortura.

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons