Eolo Giovannelli, nelle cui pupille rideva il cielo

Una storia forse ancora poco conosciuta, di infortunio sul lavoro, disabilità e di una cameretta colma di dolore che è riuscita ad accogliere e confortare le sofferenze altrui. È una parte della vita di Eolo Giovannelli. Da poco la prima teatrale a lui dedicata.
Eolo Giovannelli, interpretato da Simone Sommariva nella rappresentazione teatrale "Eolo soffio di Dio". (Foto di Miriana Dante)

Un giorno un anziano signore di Prato andò a suonare alla canonica di Santa Maria del Colle. Ad aprirgli il parroco Don Pietro Ciardella, a cui chiese di mostrargli la tomba di un certo giovane, Eolo Giovannelli, deceduto a quasi 24 anni. Il parroco non sapeva chi fosse, fu l’uomo, un vecchio amico del ragazzo, a parlargli di lui. «Era un santo», gli disse dopo aver trovato il luogo di sepoltura del cimitero, «un giovane con una fede eccezionale». Fu così che il parroco iniziò una ricerca notevole su di lui. «Sarebbe un grave peccato se perdessimo la memoria di un così grande dono […] l’esempio di un giovane che ha saputo trasformare il dolore della carne e il disincanto di ogni aspettativa fallita, in gioioso incontro con Cristo e con i fratelli», dichiarò il 16 giugno 2001, a 43 anni dalla morte di Eolo.

Indietro nel tempo

Cerchiamo di capire anche noi chi fosse Eolo, colui «nelle cui pupille rideva il cielo», come lo definì Igino Giordani, giornalista ed ex deputato della Repubblica, nel suo libro “Tre focolarini”, edito Città Nuova nel 1962. La rappresentazione teatrale “Eolo soffio di Dio” ci può essere d’aiuto in questo flashback. Opera recente, la cui Prima Nazionale aperta al pubblico ha avuto luogo il primo luglio 2024 presso la Chiesa di San Pietro Somaldi, nel cuore dell’antica Lucca. Il parroco don Lucio Malanca ha gentilmente concesso la Chiesa, addirittura adeguandosi alla presenza del letto di scena durante la cerimonia eucaristica prima della rappresentazione.

La rappresentazione è scritta e diretta da Andrea Elodie Moretti, in collaborazione con l’Arcidiocesi di Lucca e Policardia Teatro. Presente l’Arcivescovo di Lucca Paolo Giulietti. Proprio lui avrebbe promosso per primo l’idea dello spettacolo teatrale, con la comunità del Movimento dei Focolari di Lucca. Durante la prima, la sua commozione ha testimoniato quanto la storia di Eolo gli sia rimasta in cuore, lui che probabilmente ha nel cuore anche le storie di molti altri giovani di oggi. Anche la sorella di Eolo, Milvia, con la sua famiglia, era in prima fila.

La rappresentazione

La scena iniziale è al limite dell’essenziale. Andrea E. Moretti, il regista, spiega che questa scelta richiama la scenografia delle rappresentazioni religiose medievali, molto scarna perché erano itineranti. Insomma, un teatro che può prendere vita ovunque. Ci spiega il regista: «L’obiettivo per noi è far vedere l’opera a più giovani possibili, perché ci sono troppi temi fondamentali per i nostri ragazzi di oggi, che si sentono veramente soli. Noi gli vogliamo dire guardate, da un letto di dolore è sorta la vita, un albero incredibile è stato seminato, e ora è enorme. È l’albero del Signore».

Una comitiva di giovani attori professionisti, pieni di grinta e di intensità nella recitazione, riempiono il palco con la loro presenza, non serve altro. Ci sono solo un letto e alcune sedie. Inizia tutto con un monologo di una donna che chiede a Dio di aiutarla a non lamentarsi della guerra e di ciò che di male le sta portando nella vita.

È la madre di Eolo, un ragazzo vivace che «correva avido di vita, a piedi nudi, anche d’inverno» (Igino Giordani, cfr), anche in tempi bui. Il padre era partigiano, furono anche sfollati. Lei si preoccupa della sua irrequietezza e teme per la sua salute. Sulla scena poi, senza esagerare nell’anticipare, un salto nel tempo molto ben riuscito introduce per la prima volta in quella famosa stanzetta in cui Eolo ha trascorso i suoi ultimi anni di vita. Entra in scena Eolo, è già sul letto, con un altro personaggio fondamentale nella rappresentazione e nella storia di vita del ragazzo: la sorella più piccola Milvia. Il rapporto con la sorella Milvia, nata nel 1943, otto anni più tardi di Eolo, è toccante. Lo testimonia l’abbraccio commosso che ai ringraziamenti, alla conclusione della prima teatrale, si scambiano l’attrice e Milvia, avvolte dall’applauso e dalla commozione dei presenti.

Il dramma di Eolo

L’infortunio è un punto cruciale nella storia di Eolo. Lui, che a 12 anni e mezzo voleva essere d’aiuto per la famiglia, andò a lavorare in un’autocarrozzeria di Lucca. Un giorno scoppiò nella fabbrica un gasogeno, e una scheggia penetrò nella sua colonna vertebrale, come un proiettile incendiato, spezzandola. La lesione lo paralizzò dal collo in giù. Gradualmente riuscì a recuperare con uno sforzo eroico l’uso delle braccia, ma le gambe non rispondevano più, ed Eolo crollò in una profonda depressione. Non accettava l’idea di essere un peso per la sorellina e i genitori, al punto di desiderare di morire.

La solitudine lo avvolse e nemmeno tutti i libri, le riviste, i francobolli e gli oggetti con cui riempiva la sua stanza lo confortavano. «Ormai non piangeva più: le lacrime gli s’erano, nel cuore, pietrificate». Scrisse Igino Giordani: «Il Signore s’era presentato a lui per strapparlo a quella vita facile e rimenarlo a un sentiero aspro, che saliva…».

Locandina della prima della rappresentazione “Eolo soffio di Dio”

La rivincita sulla disabilità

Tuttavia, ancora resisteva in Eolo, in fondo a quella prostrazione, il pensiero per Gesù, l’amico che non delude. E Gesù lo premiò attraverso due persone, una donna e un medico, entrambi appartenenti a un movimento cattolico, quello dei Focolari. Un giorno lo andarono a trovare e gli parlarono di amore, di unità e speranza. Alle orecchie di Eolo furono parole nuove, una melodia di rivincita, qualcosa a cui finalmente aggrapparsi per riempire di nuovo la sua esistenza. Le loro parole andarono più a fondo della scheggia infuocata. Talmente tanto che tutto prese una luce nuova, persino la morte: “Lascio questa terra e torno alla promessa di vita”, la vita di cui era stato in parte privato sulla terra.

Narrò così, in una lettera all’editrice Città Nuova, riguardo questo episodio: «Come suonavano strane nella mia anima, dapprima, quelle parole! Ma a poco a poco la penetrarono come fasci di luce in un mondo di tenebra. Vivevo ora come in un sogno. Mi fece conoscere altri giovani, e in tutti era lo stesso fuoco. Un amore che non permetteva difesa, un amore che si chiamava Amore».

Fu così che, dopo aver ricevuto questo amore, lo donò agli altri, sostenendo e consolando chi, in difficoltà, si andava a confidare con lui, trovando nella cameretta in cui era confinato un luogo pieno di amore, ascolto, comprensione. Il ragazzo dava così un senso alla vita che stava vivendo, ebbe anche un’idea per un’associazione che potesse dare speranza a tutti gli ammalati come lui.

La sua stanza era un viavai di persone. Si rifiutò di metterci una televisione, perché a volte erano in 15, se non 20, e la tv avrebbe tolto un paio di posti per le persone. Grande lettore, molto legato alla rivista Città Nuova, nello spettacolo l’attore nei panni del giovane ne parla così: «Che le sue pagine facciano unità. Datelo ai giovani, leggetelo agli anziani».

Proprio gli amici divennero fulcro della vita del giovane. Si muoveva e vedeva il mondo attraverso di loro, sperimentando così il seme piantato da Chiara Lubich, Igino Giordani e don Foresi con la sua unità Gen, il gruppo di ragazzi, suoi amici, che lo andavano a trovare e con i quali condivideva l’appartenenza al Movimento dei Focolari. Con loro affrontava discorsi teologici profondi, esistenziali, e ognuno era il supporto alle fragilità dell’altro.

Gli ultimi, i soli, gli abbandonati

Si comprende come il tema dell’infortunio sul lavoro abbia un’importanza notevole nella storia di questo ragazzo e come, da questa tragedia, lui sia riuscito a rendere la sua cameretta da luogo di immenso dolore a un posto in cui poter accogliere tutti i Gesù abbandonati, in modo che il suo dolore diventasse forza, vita, e speranza per chi ne avesse bisogno.

Come è stato rappresentato questo concetto nella recitazione? Ci spiega il regista: «C’è una presenza della camera di Eolo, un personaggio che sopraggiunge perché Eolo, ad un certo punto, non si sente più abbandonato, e perché vede proprio tutti gli abbandonati. L’idea era quella di comunicare che proprio nel giorno in cui tutti quanti noi non ci sentiamo più abbandonati dal Signore, allora potremo vedere tutti quelli che lo sono stati. Finché invece ci sentiamo noi abbandonati, non riusciamo a vedere gli altri, ma solo il nostro dolore. Questo personaggio sul palco dice con forza, anche senza parole, “Io sono tutti i dimenticati, quelli che sono morti senza conforto”».

I feedback dei protagonisti

Rappresentazione teatrale “Eolo soffio di Dio” (Foto di Miriana Dante)

Alcune battute dei due protagonisti principali, Simone Sommariva nei panni di Eolo Giovannelli e Cecilia Delle Fratte nei panni di Milvia Giovannelli.

Com’è andata?

C’è stata molta emozione. Prima di iniziare c’era un po’ di tensione però direi che si è subito smorzata. Secondo me è stata una buona prima, per certi versi più emozionante rispetto alle prove. C’è stato più ritorno di emozioni, perché il pubblico partecipativo ci ha mostrato la sua commozione e il suo entusiasmo, ma anche perché eravamo tanto emozionati dato che comprendiamo nel profondo il grande significato di questa storia, che ha cambiato la vita a tanti. Insomma, siamo molto felici.

Cecilia, com’è stato per te recitare avendo nel pubblico il tuo alter ego reale, proprio di fronte al palco?

È stato veramente unico. Mi sentivo molto più forte grazie a Milvia di fronte a me. Nelle prove alcune parti sono state un po’ più ostiche, cercavo tanto l’appoggio di Simone (Eolo). Questa volta l’ho cercato un po’ meno in lui, perché l’ho trovato nella donna di fronte a me. Spesso la guardavo negli occhi durante la recitazione per prendere un po’ di forza da lei, capivo dal suo sguardo se stessi facendo bene.

Simone, immagino che tenere il palco, soprattutto da sdraiato, possa essere complesso.

Si, anche se in realtà, per certi versi, anche nelle prove, tutto mi è sembrato molto spontaneo. Le parole di Eolo che pronunciavo erano talmente dentro di me che mi è venuto naturale. È stata una prima volta per me lo stare così tanto tempo in scena e interpretare un personaggio simile, molto speciale.

Cosa ti ha colpito di più di Eolo?

Se abbiamo un paio d’ore te lo racconto! A parte gli scherzi, come mi hanno fatto notare anche altri spettatori poco fa, la cosa veramente fenomenale è la semplicità con cui venivano dette certe cose importanti e con cui Eolo entrava in relazione con le persone. Anche nelle scene di quotidianità – il caffè o l’insetto che entra nella stanza – c’è comunque sempre qualcosa di vero e profondo da dire agli altri.

La fine, o il nuovo inizio

Eolo morì il 16 giugno 1958 a quasi 24 anni per delle complicazioni di salute a cui la sua condizione fisica l’aveva esposto, dopo ben 9 anni dall’inizio della disabilità, sebbene i medici gli avessero pronosticato solo 15 giorni di vita dopo l’incidente. «Chi era morto? Un ragazzo che aveva saputo soffrire sorridendo» (Dott. Italo A. Chiusano). Lo sguardo di Milvia è uno sguardo di chi sopravvive, di chi ha perso tanto, ma che riesce comunque a vedere quella “bellezza collaterale” data dall’amore esclusivo, speciale, che Eolo le ha dato e che nessuno mai le porterà via.

«Eolo non è uscito dalla nostra pagina […] Ci basta ripeterne il nome, per ripetere una lezione» (Igino Giordani).

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