Enzo Bianchi lascia
Aveva cominciato a vivere da eremita a Bose, sopra Ivrea, dopo un viaggio nelle comunità dell’Abbé Pierre, abbandonando una promettente carriera nella Dc. Aveva intuito che per poter dire qualcosa di sensato nei malesseri della società odierna ipermediatizzata bisognava ritirarsi e fare silenzio, mettersi in preghiera e meditare. Era il 1965. Cinquant’anni fa. Due anni dopo fu raggiunto da due giovani attratti dalla sua vita spartana e rigorosa. Amorevole. Oggi i monaci di Bose sono una novantina.
In una dichiarazione a La Repubblica, Enzo Bianchi afferma che «non sono molti coloro che si dimettono. I giovani accusano gli anziani di farlo di rado… Il problema della trasmissione dell’eredità è una delle questioni di oggi. Gli anziani non si fidano di passare la mano perché spesso loro stessi non hanno un un indirizzo preciso da indicare ai successori. E così temono, forse a ragione, che i giovani finiscano per dissipare quell’ eredità».
Dopo Benedetto XVI, un altro caso di dimissioni non richieste: poteva rimanere priore fino alla morte, come da tradizione. Un altro esempio di fiducia nei giovani e nella loro capacità di inventare modi aggiornati di gestire una comunità. L’autorevolezza che ne contraddistingue l’azione e il pensiero fanno fortunatamente pensare che non cesserà la sua presenza attenta e “laica” nell’agone della nostra caotica esistenza civile.