Entrata di sicurezza

Alessandro ha scelto la scuola al posto di altre strade perché ha trovato chi ha saputo accoglierlo.
Illustrazioni

Sono ingegnere chimico, ma da quasi vent’anni insegno fisica in una scuola professionale a Vico Equense, sulla costiera sorrentina. E tuttavia la voglia di sperimentare non mi è passata, anzi! Oggi “sperimento” con me stesso e il mio prossimo, che va amato senza limiti perché l’amore torni come risposta.

Così accade con Alessandro, quattordici anni, un ragazzo refrattario ad ogni regola e che ad un certo punto smette di frequentare: un alunno perso, sembrerebbe. Tempo dopo mi capita di leggere sul giornale, in forma anonima, di una famiglia di cui hanno arrestato tutti gli adulti per traffici illeciti; viene inoltre riportato il particolare di alcuni telefonini sequestrati. Mi viene in mente che al momento dell’iscrizione di Alessandro sono stati dati diversi numeri di cellulari, ma nessun numero di telefono fisso.

Poi il ragazzo torna a scuola, più che altro perché non ha dove andare; e sempre deciso a seguire le “sue” regole. Per accoglierlo, la lezione è su misura per lui: verte sull’importanza di verificare le idee giacché la realtà non sempre è come ci appare.

Poi relazione scritta sull’argomento. Alessandro scrive tra l’altro: «Ho capito che devo imparare a distinguere tra quello che mi va di fare e quello che devo davvero fare, perché non sempre penso o vedo la cosa giusta». È il suo primo elaborato, da questo momento inizia ad impegnarsi. Terminato il triennio con la qualifica di operatore meccano-termico, ora lavora…

Lui ha scelto la scuola, poteva intraprendere “altre” strade quando si è trovato da solo. Ma forse aver trovato chi lo attendeva può aver avuto la sua importanza. Una delle tante “sperimentazioni” per comprendere che, se è importante provvedere ad uscite di sicurezza, in senso letterale e figurato, può essere interessante pensare ad “entrate di sicurezza” che consentano il rientro a chi si trova fuori… e magari non sempre solo per propria responsabilità.

 

Scopro che comporre poesiole in dialetto napoletano per fare festa a chi va in pensione o viene trasferito in altra scuola è un modo per arrivare al suo cuore ed accorciare le distanze. All’inizio in modo sporadico, è diventato praticamente obbligatorio al termine di ogni anno scolastico durante il pranzo conclusivo.

L’ultimo, l’estate scorsa, vede tre colleghi che vanno in pensione: per loro compongo una “poesia cumulativa”, al che il preside dichiara: «Sono trent’anni che faccio questo lavoro e devo dire che c’è tra di voi qualcosa che in altre scuole non ho mai trovato». «È chiaro – osserva un collega – che tutti attendevano il momento della poesia. Grazie».

Non fila sempre tutto liscio, naturalmente: i primi dieci anni soprattutto, forse perché non mi si riesce a catalogare. Col direttore della sede dove lavoro si arriva a momenti di autentica tensione. Mi rendo conto che il suo punto di vista, spesso “speculare” al mio, segue una logica coerente; cerco di adattarmi fin dove riesco, e questo mi consente di scoprire i suoi aspetti positivi.

Giunge per lui il momento della pensione. Preparo una poesia con cui cerco di fargli capire che gli voglio bene. Lo incontro dopo qualche tempo, ci abbracciamo. «Mario, la tua poesia l’ho incorniciata e la tengo appesa nel salotto di casa».

 

L’ultimo giorno prima delle vacanze di Natale, una collega con un male incurabile mi porge un rametto di agrifoglio con un cioccolatino dorato. «Quest’anno non ho neppure voglia di fare il presepe», la sento dire a qualcuno; e dentro di me penso: «Quest’anno avrai il tuo presepe».

Il pomeriggio insieme a Cinzia, mia moglie, esco sotto una pioggia torrenziale a cercare una lastra di sughero e qualche pastore. Costruisco il presepe nottetempo. Aggiungo un biglietto: «Carissima Donatella, è solo un piccolo plastico di nessun valore che ci ricorda che duemila anni fa è venuto al mondo un Bimbo piccolo, che aveva bisogno di tutto come tutti i bimbi, ma che poi ha detto: “Confidate, ho vinto il mondo” e si è posto come segno di contraddizione. Auguri di Buon Natale». Il mattino seguente le consegno il pacco e la lettera.

La rivedo dopo le vacanze, mi corre incontro e mi abbraccia. «Grazie, Mario, ho pianto per tutta la strada che mi portava a casa, e come è bello il presepe che hai fatto per me».

Due mesi dopo, la sua partenza da questa vita. A scuola do io la notizia ai suoi alunni. «Scrivetele una lettera», propongo. «Ma ci viene da piangere». «Ho pianto anch’io», dico loro. «Professo’, voi non scrivete?». Prendo foglio e penna: «Cara Donatella, sei passata tra noi regalando amore a tutti e, come agli operai dell’ultima ora, anche a me. Ora sei davanti a Chi ti ha donato la capacità di amare e che certamente ti ha accolta. Ciao, grazie. Tuo Mario».

 

Giorni fa, la classe è insopportabile: «Ora basta! – mi arrabbio – Voi siete per me solamente il modo di guadagnarmi uno stipendio!». «Professo’, perché dite così? Lo sapete che non è vero».

«Ragazzi, vi racconto un fatto: venti anni fa, ero senza lavoro, tentai il concorso per l’insegnamento. Chiesi alla Madonna: “Fammelo vincere”. Lei mi rispose: “Te lo faccio vincere, ma devi restare a Vico Equense fino alla pensione”. Pensai: penisola sorrentina, gente educata, sicuramente una bella scuola… Accettai e da sedici anni sto qui in mezzo a voi». «Professo’, la Madonna vi ha imbrogliato». Scoppio a ridere: «Sicuramente ha operato un trucco!».

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