Emozioni nell’Hortus conclusus

Alla scoperta, nel cuore di Benevento, dello straordinario museo all’aperto realizzato da Mimmo Paladino.
Hortus Conclusus

L’orto di un antico convento farebbe pensare ad un luogo rilassante, di tutto riposo. Trasformato in museo all’aperto, potrebbe però sortire anche altri effetti. È quanto ho sperimentato in un angolo appartato del bellissimo centro storico di Benevento, in fondo al vico Noce, visitando l’Hortus conclusus di Mimmo Paladino.

Hortus conclusus: parola che rimanda al giardino medievale, quello soprattutto dei monasteri e conventi, ma anche – nel campo dell’arte sacra – alla verginità di Maria, secondo l’immagine ripresa dal Cantico dei Cantici: «Giardino chiuso tu sei, sorella mia, sposa, giardino chiuso, fontana sigillata».

Luogo segreto, dunque, che favoriva la contemplazione e l’unione con Dio, il giardino monastico si presentava quadrangolare, a simboleggiare i quattro angoli dell’universo, con al centro un albero (la vita) e un pozzo o fontana (la sorgente della conoscenza).

E l’Hortus conclusus di Benevento? Realizzato nel 1992 in uno degli orti del convento di San Domenico da Paladino, poliedrico artista sannita di fama internazionale, che coadiuvato da alcuni architetti vi ha distribuito alcune sue opere in bronzo o in marmo, è cinto in parte dalle strutture del convento e per il resto da muri in mattoni, ma con inserzioni di pietre e bronzi, ispirati alle mura della Benevento longobarda. La pavimentazione richiama invece quella dei vicoli storici dei paesi di questa zona della Campania. Accentuano il rimando al passato della città frammenti di colonne, capitelli e frontoni sparsi qua e là. Quanto al verde del giardino, spiccano tra le varietà arboree e i fiori la rosa, il giglio e la palma, simboli rispettivamente del sangue divino, della purezza e della gloria.

L’attenzione di chi entra in questo spazio insolito è attirata innanzi tutto dal cavallo di bronzo, elemento ricorrente nelle opere di Paladino, che sovrasta un muro e sembra volerlo scavalcare: ha la testa ricoperta da una maschera d’oro che rimanda alla civiltà minoica e sembra evocare il mito del cavallo di Troia. Altro richiamo alle battaglie e alla difesa sono gli elmi disseminati un po’ dovunque, ma ancor più un enorme scudo infisso nel pavimento, quasi un ufo piovuto dal cielo. Questo grande disco bronzeo funge anche da fontana; infatti dalla sua sommità sgorga l’acqua, raccolta poi in un catino che ricorda uno dei tanti oggetti d’uso casalingo di queste zone.

L’acqua è un elemento importante nell’installazione dell’artista: così, sparse all’interno dell’Hortus, si notano altre fontane il cui gocciare rompe il silenzio e accompagna il fluire delle riflessioni. Tra esse, la più particolare è quella di forma umanoide dalle lunghe braccia protese sulle quali sbocciano piccole teste. Altre testine occhieggiano su un bronzeo ombrello capovolto (per i buddhisti tibetani simbolo di buon auspicio), ma anche altrove.

Qui ogni anfratto, percorso, rampa, riserva nuove scoperte: qua una conchiglia e un teschio di bue, simili a fossili, là una sorta di colonna-totem ed altre figure inquietanti. E quelle piccole orme di gatto su un gradino? Potrebbero simboleggiare Bastet, la dea con il corpo di gatta: probabile rimando alla religione egiziana e al grandioso tempio di Iside che un tempo esisteva a Benevento.

Nulla, in questo straordinario complesso di scultura, pittura, architettura e botanica, è lasciato al caso, ma ogni particolare – pietre, piante, sculture, graffiti, colori (prevalgono il rosso mattone e il blu turchino) – ha un significato recondito, alludente comunque ad una dimensione sacrale.

Ce n’è abbastanza, insomma, per suscitare le più diverse, acute (ed anche strampalate) interpretazioni da parte del visitatore, che – di volta in volta pensoso, divertito o sconcertato – sempre esce di qui appagato. Del resto, intento di Palatino era di creare, per l’uomo alle prese con le problematiche odierne, un luogo di ristoro, di pace, ma anche di riflessione. Un invito a riscoprire, attraverso le suggestioni del passato, le proprie radici e quindi sé stesso, la sua interiorità.

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