Emergenza umanitaria in Somalia

Il Programma alimentare mondiale dell'Onu ha interrotto le operazioni nel sud del Paese, data l'impossibilità di difendersi dalla guerriglia. Un milione di persone rischia così di rimanere senza aiuti. Ed è l'intero Corno d'Africa a soffrire.
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La notizia non ha fatto molto clamore, ma è destinata ad avere un impatto notevole: il Programma alimentare mondiale (Pam), agenzia dell’Onu che assiste le popolazioni che soffrono la fame, ha deciso di interrompere la propria attività nel sud della Somalia. Le violenze e le pressioni da parte dei gruppi armati che insanguinano il Paese hanno reso impossibile il lavoro dell’organizzazione: nelle sue file si contano quattro morti nell’ultimo anno e mezzo. Alle vittime si aggiungono continue intimidazioni e attacchi contro gli operatori – soprattutto donne – e le razzie negli uffici per saccheggiare cibo e attrezzatura. I gruppi armati sono arrivati anche alle richieste di denaro in cambio di protezione, che il Pam ha chiaramente rifiutato.

 

Fino a qui potrebbe sembrare l’ennesima missione umanitaria finita male. Ma il fatto che tutto ciò accada nel Corno d’Africa – regione che comprende Somalia, Etiopia, Eritrea e Sudan del sud – rende il tutto ancora più drammatico. Si tratta infatti della zona che, meno di due mesi fa in occasione del summit della Fao a Roma, era stata definita come la più critica al mondo dal punto di vista alimentare, e alla quale era stata dedicata un’apposita sessione di lavoro da parte dello stesso Pam. Un’area abitata da oltre 20 milioni di persone, la cui economia, basata su agricoltura ed allevamento, è minata dalla siccità e dalla necessità di spostarsi per fuggire i conflitti. La produzione locale di cereali, secondo la Fao, è calata di oltre 5 milioni di tonnellate nell’ultimo anno.

 

L’insicurezza generale e i prezzi proibitivi delle derrate alimentari – cresciuti più del 25 per cento negli ultimi due anni – rendono la zona dipendente dagli aiuti umanitari. Secondo i dati forniti dalla Fao al vertice di Roma, l’Africa orientale nel 2009 avrebbe avuto bisogno di importare sette milioni e mezzo di tonnellate di cereali. È riuscita ad importarne solo sei milioni e 700 mila, di cui oltre un milione e mezzo in aiuti. Purtroppo, non si intravedono miglioramenti: nel 2010, dato il calo della produzione locale, si prevede che dalla solidarietà internazionale debbano arrivare oltre 2 milioni di tonnellate di cereali per soddisfare le necessità della popolazione, più del doppio di quanto servirà per tutto il resto del continente e quasi la metà delle richieste mondiali. Insomma, non è il momento migliore per andarsene.

 

A questo si aggiunge la peculiare situazione della Somalia, un Paese che vive un vuoto di potere statale in cui prosperano i gruppi armati. Secondo un comunicato del Pam, la produzione locale di cibo è in grado di soddisfare in media solo il 30 per cento della domanda. L’agenzia dell’Onu riesce attualmente a raggiungere due terzi dei quasi 2 milioni di persone che si è posta come obiettivo, su tre milioni e mezzo di affamati (metà della popolazione somala): ma con la chiusura degli uffici nel sud del Paese e lo spostamento a nord di personale ed attrezzatura, il Pam stima che sarà impossibile raggiungere circa un milione di persone. La chiusura delle basi del Pam nel sud della Somalia è, si spera, temporanea: ma quando la popolazione soffre la fame, il tempo stringe.

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