Emergenza Siria, in viaggio verso Homs

Terza tappa di un percorso di solidarietà dentro un Paese al centro di una guerra che dura ormai da 10 anni. Progetto Amu Emergenza Siria 2020
Siria foto Francesco Tortorella

Nel decimo anno della guerra in Siria riportiamo a puntate, mantenendo l’immediatezza della cronaca, le pagine di un recente diario di viaggio, conclusosi prima del blocco totale da pandemia, collegato al progetto Emergenza Siria di Amu.

Nel Paese, segnato profondamente dalle sofferenze inflitte, in particolar modo, sulla popolazione civile, svolge, in maniera ininterrotta, la sua attività solidale l’“Azione per un mondo unito” (Amu), ong espressione del Movimento dei Focolari.

La guerra in Siria è seguita costantemente su Città Nuova tramite i corrispondenti dal Medio Oriente. Nel merito del conflitto, che segna il fallimento della comunità internazionale e divide l’opinione pubblica, l’Amu ha promosso una lettera che pone domande aperte sulla Siria.

27 febbraio 2020

Ci lasciamo Aleppo alle spalle, diretti verso Homs. Facciamo la strada interna, l’autostrada oggi è di nuovo chiusa.
Squilla il telefono, vivavoce, un amico che si trova nella zona del fronte:
– Pronto?
– Dove siete?
– Ciao!
– Dove siete?
– Sulla strada interna da Aleppo a Homs.
– Oh… menomale. Volevo avvertirvi di prendere quella, oggi ci sono combattimenti sull’autostrada.
– Grazie per averci avvertito. Abbiamo saputo che l’autostrada era chiusa e abbiamo preso quest’altra.
– Ringraziamo Dio. Buon viaggio allora!
– Inshalla.

Attraversiamo il deserto per tre ore.
Passa una famiglia su una moto, genitori e due figli, nel mezzo del nulla.
Intorno a noi carcasse esplose di autocisterne che qualche anno fa trasportavano carburante, facili bersagli per razzi e granate, più in là scheletri dei pick-up delle truppe mercenarie… la strada è costellata, uno ogni 5-10 km… resti della follia. Nel nulla del deserto. A sinistra si va a Raqqa, prendiamo a destra per Hama.

Tornano alla mente i racconti e i ricordi ascoltati ieri sera, in una famiglia, mentre loro ridendo dicevano: «Non sappiamo come siamo riusciti a vivere queste cose».
Il figlio più grande è nato 2 anni prima della guerra… l’ha vissuta tutta.

Quando cadevano le bombe, prendevano i cuscini delle poltrone del soggiorno e li mettevano nel corridoio per dormire tutti lì, era la zona più sicura, lontana da porte o finestre. Avevano l’elettricità solo un’ora al giorno, verso le 4 del mattino… lasciavano tutti gli interruttori accesi, così quando arrivava la luce si svegliavano per mettere una lavatrice. E svegliavano il bambino per fargli guardare almeno un’oretta i cartoni animati.

Tante volte i mercenari sono entrati nel quartiere… una volta sbarcati anche da un elicottero ma… «grazie a Dio, non sappiamo perché, se ne sono andati. Le zone vicine a casa nostra erano molto pericolose: un giorno sentivamo i bombardamenti vicini, e abbiamo saputo che cadevano nel quartiere dei miei genitori…

Io ero incinta all’ottavo mese e non potevo fare niente... volevo aiutare i miei e non sapevo come… La famiglia dei miei si divide in due: chi decide di lasciare Aleppo, chi invece rimane. Mi chiama il ginecologo che ha seguito la mia gravidanza per 8 mesi, doveva farmi partorire e mi dice che lasciava il paese perché la sua famiglia non ce la faceva più… Sono giorni terribili, quasi metà delle famiglie, soprattutto i cristiani, lasciano la città. Anche noi decidiamo di lasciare Aleppo, pensando al bambino piccolo e a quello che aspettavamo. Chiamiamo un pullman, non ce ne sono… proviamo a partire con una macchina… ma mentre mio marito cerca una macchina, mi rivolgo a Dio con rabbia e dico: “Dicci tu cosa dobbiamo fare… non ce la facciamo più!”.

Un attimo dopo ero in pace, non so come, ho chiamato mio marito e gli ho detto: “Non partiamo piu…” e siamo rimasti. Io non vedevo l’ora di partorire, per essere tranquilla e avere il bambino fra le braccia… anche perché non sapevamo quanto sarebbe rimasto in piedi l’ospedale, quando sarebbero arrivati i mercenari. Qualche giorno prima una mia amica aveva partorito in quell’ospedale e un razzo era entrato nella sala operatoria… era rimasta in sala operatoria lei e il medico… poi erano scappati. Arrivato il momento, il medico mi ha indotto il parto. Era un giorno di bombardamenti intensi. Li sentivamo forti. Ma mi sono sentita tranquilla quando ho avuto il mio bambino fra le braccia. Dovevamo fidarci, la vita doveva andare avanti… ed eccoci, siamo ancora qui!».

Nel frattempo… siamo arrivati a Homs, benvenuti!

qui il link alla tappa precedente

 

 

 

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