Elon Musk, the Doge
Elon Musk è un grande innovatore. La sua imprenditorialità è fatta di idee che talvolta da sogni sono diventate realtà. Ad esempio, l’avventura di Tesla, che ha cambiato l’idea stessa di automobile, o quella di Space X, che vuol arrivare a raggiungere Marte in tempi ragionevolmente brevi. Altre idee, come l’acquisto di Twitter, poi trasformato in X, o certi investimenti nelle tecnologie a supporto delle reti neurali e nelle nanotecnologie non hanno ancora raggiunto la redditività, e forse mai la raggiungeranno.
Ma tutto ha cooperato e coopera alla notorietà del suo inventore, Elon Musk appunto, e fa pubblicità alle sue imprese più riuscite, in un sistema che supera i 390 miliardi di dollari di capitalizzazione (in Italia facciamo fatica a mettere in piedi una finanziaria di 20-30 miliardi di dollari, pensate un po’). Di soldi Elon Musk non sa che farsene, ora cerca altro, la notorietà, la fama, la politica. L’immortalità?
È in questo contesto che va inquadrata la sua ultima avventura politica, a fianco di Donald Trump. A fianco, non dietro le spalle o per via telematica, o quando capita, come una qualsiasi Britney Spears, un qualsiasi George Clooney, persino un qualsiasi Barack Obama, ma mettendoci la faccia. Da un mese in qua l’abbiamo visto apparire su quasi tutti i palchi dove si esibiva la star (sì, la politica è spettacolo) di nome The Donald, facendo affermazioni politiche visionarie e a modo loro spiazzanti, innovative. Elon Musk non riesce a fare discorsi generici o politicamente corretti, deve sempre metterci qualcosa di originale.
Il fondatore di Tesla non è uno stinco di santo, lo sanno tutti: sono innumerevoli i racconti (in parte ovviamente falsi) sulla sua persona e le sue relazioni, sulla sua famiglia composita, sul presunto uso di ketamina in quantità industriale e di altre sostanze stupefacenti. Un profilo in fondo simile a quello di Donald Trump, con coorti di avvocati al suo servizio per tamponare la valanga di denunce a suo carico, con potentissimi servizi di comunicazione, con continui contatti con le varie lobby così importanti nell’universo a stelle e strisce.
Ci si chiede quindi cosa ci sia dietro l’esplicito appoggio di Elon Musk alla rielezione di Donald Trump, quali accordi siano intercorsi tra i due. Chi conosce da vicino i due personaggi è convinto che non vi siano stati accordi avvocateschi, ma piuttosto un’intesa tra due uomini istintivi che si sono annusati e si sono piaciuti, che vogliono il potere e i suoi vantaggi, con un sincero desiderio di rifare grande l’America (cioè gli Stati Uniti, non l’intera America, tantomeno le Americhe) per prolungare il sogno americano, pur in un contesto mondiale profondamente diverso da quello del secondo dopoguerra.
Cosa potrebbe ottenere Elon Musk dalla politica di Trump? Certamente uno sguardo benevolo sul sistema fiscale a stelle e strisce, già estremamente favorevole ai grandi del digitale (e in questo il mancato schieramento per Kamala Harris degli altri grandi del digitale la dice lunga sulle loro più profonde speranze di ottenere benefici dal vincitore). Già il corso bancario delle azioni del digitale, schizzate in alto per decine e decine di miliardi, lo dimostra.
Ma ci saranno con ogni probabilità benefici giuridici, in particolare in materia di automobili a guida autonoma, campo in cui Tesla ha varie incollature di vantaggio sui rivali del mondo intero, anche sui cinesi, ma pure in materia di occupazione dello spazio intersiderale: anche qui Elon ha un grande vantaggio su privati e Stati. Incerta è invece la sorte delle leggi per la regolazione dell’intelligenza artificiale, campo nel quale Musk ha subito un certo numero di sconfitte, anche se sta cercando di recuperare il tempo perduto.
Tutto ciò in attesa che Elon Musk diventi lui stesso candidato alla presidenza Usa. Intanto si fa chiamare “il Doge”.
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