Elogio della lentezza

Un sovraccarico informativo. La perdita della capacità di analisi. E se si riscoprisse un giornalismo dove le parole d’ordine siano: rallentare, filtrare, verificare, approfondire?
media

Un sovraccarico informativo. C’è di tutto, di più. Una valanga di notizie, video, foto che ci inondano ingolfando la possibilità di assimilare, vagliare, interiorizzare il mondo che ci circonda. È un flusso talmente liquido che esonda facendoci rischiare «la paralisi della capacità di analisi». In un secondo vengono inviati 7426 tweet, vengono caricate 754 foto su Instagram, vengono visti 136,521 video su Youtube, vengono inviate 2.543.598 mail, viene pubblicato un articolo e 2 mila post su FB, ci sono 57.476 ricerche su Google ed esistono più di un miliardo di siti web.

 

In Italia il primo sito è Repubblica con 3 milioni e mezzo di utenti unici giornalieri, segue il Corriere della Sera con 2 milioni e 800 mila e il Tgcom di Mediaset con un milione. La quantità è più importante della qualità, il volume del valore.  L’offerta è superiore alla domanda. In 15 minuti bisogna pubblicare una notizia. È inevitabile la perdita di precisione, la possibilità di fare errori, di non poter verificare le fonti e le foto. I siti sono, poi, infestati dalla creazione di notizie-non notizie, le cosiddette commodity che occupano le colonne di destra, e non solo, delle homepage dei giornali online e di tanti siti generalisti.

 

Nel mare magnum dell’informazione, come si può andare controcorrente? Non esistendo sul web un modello economico sostenibile che rimpiazzi i ricavi persi con la carta stampata su cosa occorre puntare? Semplicemente sul giornalismo, sulla qualità, sull’accuratezza delle ricerche, delle inchieste, su analisi ponderate, non fatte due ore dopo un grande evento, ma nel tempo necessario per andare in profondità, scavare, esaminare, studiare e formulare un proprio pensiero originale. «Un giornalista ‒ secondo Luciano Fontana, direttore del Corriere della Sera ‒ deve cercare, trovare le notizie, selezionare, costruirsi rapporti con le fonti, sapere dove cercare ma anche produrre video, saper stare sui social, saper fare interazione con i lettori, collegare e costruire ipertesti».

 

E deve saper approfondire. Di questo tipo di contenuti ci sarà sempre domanda. Non saranno mai popolari, ma sempre di nicchia e si possono far pagare sia sul web che nelle versioni cartacee da una propria community di riferimento. Da questo punto di vista è interessante l’esperienza del Corriere della Sera che ha raggiunto 30 mila abbonati a pagamento per il sito web perché «Restare gratuiti per fare traffico ‒ha spiegato Domenico Fontana ‒e massimizzare la pubblicità significa andare incontro ad un mercato che ti aggredisce e ti costringe a fare cose che non dovresti fare come giornale, per assecondare i tuoi investitori e in questo modo si svilisce il marchio».

 

Vedremo se funzionerà. Rallentare, filtrare, verificare, sembrano le nuove parole d’ordine dello slow journalism che vede in Italia nel team di blogo.it gli apripista con delle newsletter a pagamento e la creazione di un patto di fiducia e credibilità tra lettori e giornalisti. Alberto Puliafito ‒direttore di blogo.it ‒nel suo libro “Dal giornalismo al digital content management” spiega le enormi possibilità che il digitale offre se si segue l’attenzione per il lettore e per i contenuti.

 

In Gran Bretagna è di successo l’esperienza dell’ottimo trimestrale cartaceo Delayed gratification che con 120 pagine, 14 mila abbonati, scrive articoli su fatti avvenuti 3 mesi prima che valgono anche 6 mesi dopo. Non inseguono, naturalmente, data la periodicità, l’ultima notizia, ma la cura grafica, gli approfondimenti, la lentezza necessaria per capire e spiegare ciò che accade nel mondo.

 

«Invece di cercare disperatamente di battere Twitter», si legge sul sito, «ritorniamo ai valori che vogliamo per il giornalismo: contesto, analisi e opinioni di esperti» per una «copertura delle notizie intelligente, curata, non partigiana, pensata per ispirare e informare». La filosofia alla base del progetto è semplice: meglio dire le cose giuste che dirle per prime. L’elogio della lentezza ci piace anche nel giornalismo, non solo per il cibo. Prosit!

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