Elisa & le altre
L’emancipazione femminile sembra procedere più speditamente nel music-business che altrove. Merito del talento di caposcuola come Joni Mitchell, o del carisma provocatorio di stelle come Madonna, ma più ancora del progressivo logorio dello strapotere machista che gravava in quest’ambiente da tempi immemorabili. Non stupisce perciò che buona parte degli album più ascoltati e apprezzati del momento siano firmati da donne. Prendiamo Elisa, per esempio. Ora possiamo davvero dire che l’eclettica friulana ha vinto la sua battaglia: conquistarsi un posto al sole dei mercati senza dover rinunciare alla proprie idee. Dopo l’exploit sanremese, tutti l’imploravano di insistere sull’italiano, ma lei ha tenuto duro: col suo inglese (divenuto col tempo sempre più plausibile), con le sue canzoni inquiete e talvolta spiazzanti, col suo pop-folk-rock cosmopolita. Nel recente Lotus (Sugar), sua quarta avventura discografica, alterna cover, brani inediti e rivisitazioni minimaliste del suo repertorio. E convince proprio laddove più azzarda, a conferma di una maturità ormai raggiunta e di una credibilità che non la fa sfigurare nemmeno di fronte a personaggi che le avevano fatto da modello in passato. Oltre a un talento naturale fuori dal comune, Elisa ha avuto la fortuna di incontrare persone (la Caselli in primis) che si sono fidate di lei. Di suo ci ha messo la cocciutaggine e la fede in sé stessa e nel proprio lavoro. Per questo il suo successo per quanto atipico appare tutt’altro che casuale. Lo strano, semmai, è che siano ancora così tanti quelli convinti che possa arrivare – e durare, soprattutto – utilizzando scorciatoie o più comode autostrade. Leggi simili valgono per la Mannoia, la Turci e la Nannini, tutte presenti sui mercati con rivisitazioni dei loro classici. Certo la bellezza resta, nella maggioranza dei casi, un ingrediente tutt’altro che marginale. Ma molto meno decisivo che in passato. Il successo della newyorkese Alicia Keys per esempio (al secondo album con l’acclamatissimo The diary of Alicia Keys per la Bmg) ha le sue motivazioni primarie nella genuinità che riesce a veicolare con le sue canzoni, in perfetto equilibrio tra l’imprinting africano e il modernismo occidentale. Il suo non è un caso isolato: l’appeal è chiaramente subordinato al talento anche per l’ormai lanciatissima Norah Jones il cui recente secondo lavoro Feels like home (Emi) conferma una formula espressiva la cui eleganza sinuosa è lontana anni luce dall’ortodossia del pop patinato. Ma funziona come – se non meglio – delle solite Barbie da supermercato. Il nuovo, almeno nell’agonizzante music-business contemporaneo, sembra prediligere la credibilità e la profondità al senzazionalismo. Perfino con le giovanissime, come la sedicenne Joss Stone, che nel suo sorprendente The soul sessions (Virgin) ruggisce rhytm’n’blues e soul con la naturalezza di una Aretha Franklin formato mignon, o la diciannovenne russa Katia Melua dell’ottimo Call out the search (Dramatico Rec.) cresciuta ascoltando Dylan, il blues e il jazz, molto più della pla- stica madonnara. Ma ciò che più sorprende è che codeste fanciulle non sono più eccezioni, ma quanto meno una credibile alternativa ai vecchi cliché più o meno pruriginosi. Ciò non vuol dire che non sopravvivano le Aguilere, le Spears e le Curtney Love. Ma, accanto alle pseudo-trasgressioni del pop-rock da classifica, oggi germoglia un sottobosco pieno di sorprese. Un fronte cosmopolita e stilisticamente trasversale che va dal fado postmoderno della canadese di origine portoghese Nelly Furtado (fresco di stampa per la Universal il suo gradevole Folklore) all’afro-pop d’autore di Rokia Traoré che arriva dal Mali, magari passando per il folk-pop di Not going anywhere della franco-israeliana Karen Ann. E potremmo proseguire col purissimo pop della neozelandese Bic Runga col suo intrigante Beautiful Collision (Sony), la scozzese Isobel (tra bossa nova, country e ballate à la Francoise Hardy il suo Amorino), la nostra Amalia Grè (un ottimo debutto per la Virgin che richiama un po’ gli aromi notturni di Sade), la londinese Amy Winehouse (tra la Badu e Billie Holiday il suo Frank). Per non dire di tutte le fanciulle che guidano o comunque sono parti essenziali di band maschili. Tutte punte di un iceberg di proporzioni sempre più considerevoli: che sembra galleggiare sulle rotte dell’industria discografica con la stessa leggiadra imponenza del più famoso della storia. Difficile che si sciolga al tepore della primavera: più facile semmai che qualche Titanic rischi il naufragio” CD NOVITÀ CAPAREZZA VERITÀ SUPPOSTE Extra Labels Michele Salvemini da Molfetta è la nuova stella dell’hiphop italiano. Un funambolo delle parole, talvolta discutibile nei contenuti e volgare nel gergo, ma talentoso e autenticamente ruspante. Dopo una discreta gavetta è davvero arrivato il suo momento: il futuro ci dirà se ne avrà fatto buon uso. AIR TALKIE WALKIE Virgin Il frech-touch del duo transalpino conquista con atmosfere intime e rilassanti e con un uso molto morigerato dell’elettronica. Un pugno di morbide love-songs così leggiadre da sfiorare l’inconsistenza. f.c.