Elio, la telecamera e Chiara

Trentadue anni al Centro Audiovisivi dei Focolari, documentando “in diretta” gli sviluppi di un’opera di Dio.
Elio Cimmaruta

Sarebbe diventato un medico se per i casi imprevedibili della vita non avesse cambiato radicalmente il suo orientamento professionale. Elio Cimmaruta, una passione per la fotografia e per i film coltivata fin da ragazzo, si diploma all’Istituto di Stato per il Cinema e la Televisione di Roma. Dopo trentadue anni intensissimi trascorsi al Centro Audiovisivi dei Focolari, intitolato a santa Chiara d’Assisi, lascia il suo compito di responsabile della produzione che lo ha portato in giro per il mondo, per documentare soprattutto le visite di Chiara Lubich alle comunità del movimento e i suoi incontri con personalità del mondo ecumenico, interreligioso e civile. Lo incontro per chiedergli di questo periodo speciale, prima di passare a nuovi compiti e nuove esperienze.

 

Elio, hai filmato in tante occasioni pubbliche la Chiara più “ufficiale”, fondatrice e presidente dei Focolari. Ma cosa ti colpiva più di lei nel suo contatto con la gente?

«L’effetto che produceva il suo modo di rapportarsi con tanti che, dopo averla sentita parlare, desideravano salutarla. Il più delle volte c’era giusto il tempo per un sorriso, una stretta di mano, un ciao, una carezza se si trattava di un bambino… Ma anche se erano incontri fugaci, negli altri rimaneva l’esperienza di aver avuto un rapporto profondo con lei. Questo io me lo spiego ricordando una sua raccomandazione su come trattare il prossimo: amare uno alla volta senza “rimasugli d’affetto”, cioè dimenticando la persona appena incontrata prima, per serbare totale disponibilità alla successiva. Evidentemente, in quei brevi istanti, quelle persone avevano sentito Chiara veramente tutta per loro. È un fatto che ho potuto costatare innumerevoli volte. Per lei i rapporti erano così importanti che non poche volte ci ha messo in difficoltà riguardo al nostro lavoro…».

 

Ad esempio?

«Quando parlava in pubblico, voleva vedere in faccia tutti, anche se aveva davanti uno stadio pieno: proprio perché per lei non esisteva una folla generica, esisteva la singola persona. Noi ormai lo sapevamo, per cui illuminavamo la sala quasi come il palco dal quale lei parlava, per darle la possibilità di vedere la gente. Ma alle volte capitavano degli imprevisti che potevano crearci qualche problema. Come quando, su un palco dove avevamo allestito una specie di salottino per Chiara ed altri che dovevano porle delle domande, all’improvviso lei faceva spostare alcune poltrone che le impedivano la visuale completa del pubblico, mandando all’aria, inconsapevolmente, tutta la nostra organizzazione delle riprese: posizione delle telecamere, puntamento delle luci. Una volta – eravamo nella cittadella di Loppiano – queste poltrone coprivano al massimo una decina di persone del pubblico. Ad ogni buon conto, sono andato da Chiara: “Posso chiederti un favore?”. “Dimmi, dimmi”. “Non far spostare le poltrone altrimenti ci troviamo in difficoltà per le riprese”. “Va bene”.

 

E invece come è finita?

«Salgono sul palco quelli che devono fare le domande, si siedono, e m’accorgo con una certa apprensione che Chiara comincia a muovere la testa di qua e di là, guardando verso la sala. Finché la sento dire: “Se voi state seduti lì, io non riesco a vedere quel gruppetto laggiù, e questo mi dispiace. Siccome però Elio non è contento che si spostino le poltrone, vi chiedo di sedervi per terra”. In tal modo sarebbe riuscita a vedere tutti. Il risultato è stato una videoregistrazione piuttosto originale, dove si vedono delle persone accovacciate e dietro di loro delle poltrone vuote. Questo per dirti com’era importante per Chiara il rapporto, far contenti tutti».

 

Cos’altro ti colpiva di lei?

«Si ricordava perfettamente di persone appena conosciute, rivedendole anche a distanza di tempo. E non credo fosse solo questione di memoria, ma perché i suoi non erano mai incontri superficiali. Mi viene in mente un episodio capitato a Trento, la sua città natale, nel 2001. Il giorno in cui è ripartita per Roma, s’era raccolta al casello dell’autostrada una piccola folla per un saluto. Eravamo lì pronti a filmare questa scena, quando s’è avvicinato a noi un signore d’una certa età, che s’è fatto conoscere come un suo alunno di quando Chiara faceva la maestra. Con orgoglio ci ha mostrato anche il piccolo Vangelo con dedica che lei gli aveva regalato. Arrivata la macchina di Chiara, lui s’accosta al finestrino e timidamente: “Chiara, non penso possa ricordarsi di me… Sono stato un suo alunno”. Lei lo fissa ed esclama: “Benito!”, aggiungendo: “Hai sempre gli stessi occhi”. E l’aveva lasciato che era un ragazzo!».

 

A vederla, soprattutto tra i giovani, sembrava una leader, una abituata ad affrontare le folle…

«In realtà era molto schiva. Accettava di apparire in pubblico solo perché lo sentiva importante per costruire l’opera che Dio le aveva affidato. Ma al di là di questi momenti ufficiali, il nostro archivio è piuttosto povero di immagini di Chiara nel quotidiano. Una volta, uscita dalla sala dove aveva appena finito un discorso e, , si stava intrattenendo con qualcuno. Per fissare quei momenti spontanei, ho cominciato a girarle attorno con la telecamera, quando lei si volta verso di me: “Sai, Elio, temo tu stia facendo delle riprese che non serviranno. Non credo interessi a qualcuno vedere me mentre chiacchiero con le persone”. Ho dovuto smettere. Una scena che si è ripetuta altre volte».

 

E con i mass media come vinceva questa ritrosia?

«Se le richieste partivano da giornalisti non del movimento, acconsentiva perché sentiva l’urgenza di comunicare a più persone possibile la sua passione: la fratellanza universale. Ha accettato anche le nostre riprese quando abbiamo iniziato a produrre un videogiornale in concomitanza con le conferenze telefoniche periodiche che tuttora collegano vari centri dei Focolari nel mondo: uno strumento da lei escogitato per progredire tutti insieme verso la santità ed essere aggiornati gli uni degli altri. E questo solo perché contribuivano a fare del vasto movimento “una famiglia”».

 

Ricordi un collegamento telefonico in particolare?

«Avevo ottenuto di filmare il momento in cui Chiara scriveva uno dei suoi “pensieri spirituali” che precedono le notizie di aggiornamento. Avevo preparato per la ripresa nel suo studio. Per non farle perdere tempo, le ho suggerito di scrivere su un foglio una frase qualsiasi mentre io la riprendevo. E Chiara: “Sai che proprio non sono capace di fingere? In genere il pensiero lo preparo prima, ma questo me lo sono lasciato per adesso”. Ci avrà messo dieci minuti a comporlo, con una sola correzione. E considera che questi “pensieri spirituali” sono dei capolavori non solo per il contenuto, ma anche per la forma letteraria».

 

Hai assistito “in diretta” allo sviluppo di un’opera di Dio…

«Sì, per quanto assorbito dagli aspetti tecnici del mio lavoro, ho vissuto accanto a Chiara momenti straordinari. Tra i tanti, m’è rimasto impresso il suo discorso agli afroamericani di Harlem, che ha visto per la prima volta una donna, una cattolica, parlare nella moschea Malcolm X. Subito dopo l’ho sentita commentare: “Hai visto che bello? Hai visto come la gente era contenta?”. Era la prima a stupirsi dei frutti di un evento che l’aveva vista protagonista, ma di cui si considerava solo spettatrice. In realtà in lei era sempre netta la distinzione tra la sua persona e il carisma di cui era portatrice».

 

Il tuo più bell’incontro personale con Chiara?

«Un lungo colloquio, il cui argomento era una difficoltà sul lavoro di cui lei era stata informata in maniera parziale, soprattutto per quanto riguardava la mia persona. Chiara ne era rimasta addolorata. Questa sofferenza condivisa ha fatto sì che io potessi parlarle con estrema libertà. Via via che le esponevo i fatti, avvertivo in lei un vuoto completo che accoglieva quanto le dicevo senza riserve. Questa sua straordinaria capacità di ascolto, frutto di un amore puro, mi ha condotto fuori da quella difficoltà e me ne ha fatto vedere la soluzione. Veramente “la verità vi farà liberi”. E Chiara l’ha sperimentato con me  quasi senza dirmi una parola. Solo alla fine mi ha chiesto come pensavo si potesse concretamente superare quella difficoltà, perché sapeva che ora avevo la luce per capire cosa fare».

 

Quando l’hai vista l’ultima volta?

«Il 26 novembre 2007, circa cinque mesi prima che morisse. Ero insieme ai miei colleghi e colleghe del Centro Santa Chiara. Le avevamo portato l’ultimo notiziario appena montato e un grosso cesto di frutta. Lei sedeva senza forze sul divano del suo soggiorno. Le abbiamo cantato una tua canzone, Quando un giorno si è incontrato te. Chiara la cantava con noi e ad un certo punto, con gli occhi lucidi, ha detto: “È bella! Mi sono commossa”. Poi: “Grazie della visita”; e riferendosi al lavoro che facevamo: “Speriamo porti frutto per tutta l’Opera”. Un commiato di grande intensità, bellissimo».

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