Elio Germano parla di niente e di tutto

L'attore romano continua a portare in tournée con successo il monologo Thom Pain di Will Eno
Elio Germano

Nelle sempre più frequenti andate e ritorno tra prosa e cinema, che consentono a molti artisti di sfruttare la notorietà cinematografica sulle scene, Elio Germano è l’attore più in auge. Il suo monologo Thom Pain (basato sul niente), di Will Eno, continua a girare da più di un anno, riempiendo i teatri. Merito anzitutto della notorietà dell’interprete romano, attore di grande naturalezza. E della sua indiscussa bravura (premio come miglior attore a Cannes per La nostra vita). Così la sua rentrée sul palcoscenico, luogo dove si misura la vera qualità di un attore e dove ci si rimette veramente in gioco, si è aggiunta a quella di molti altri colleghi.

 

“Che bello vedervi tutti!”, è la battuta con la quale esordisce Thom Pain. Prova ad accendere una sigaretta, impreca, si siede e saluta il pubblico. Siamo nei territori di una scrittura minimale con un testo apparentemente sconclusionato del celebrato drammaturgo americano – definito il nuovo Beckett – il quale cerca di mettere in relazione il pubblico con i suoi personaggi. Il nome del protagonista è preso in prestito dal “povero Thom” del Lear shakespeariano e sottolineato dal cognome Pain che in inglese significa “pena, sofferenza”. Quello del moderno e solitario antieroe è l’illusionismo verbale di un fallito nelle certezze intellettuali, uno sputasentenze alle prese con un resoconto, non lineare, della propria esistenza; per un bisogno di comunicare che chiama in causa lo spettatore libero di lavorare di fantasia e di immaginare.

 

Ascoltiamo la sua voce nel buio totale dell’inizio. Poi, col vocabolario in mano, Germano cerca il significato di parole da plasmare, che prendono corpo e scorrono a ruota libera, alla ricerca di senso. «Un uomo da solo cosa può fare?», ci chiede. Tra banalità e luoghi comuni, ricordi di bambino e aneddoti adolescenziali, barzellette e silenzi, giochi di prestigio, entrano in campo domande esistenziali. Cosa intendiamo con la parola amore, che valore daremmo al tempo se sapessimo che ci rimangono tre giorni di vita o quarant’anni? Butta in scena parole come paura, vuoto, smarrimento, speranza. Come un intrattenitore televisivo, o un politico cerca l’osmosi col pubblico, tenta di sedurre, ci strappa risate. Si dona e subito si nega. Chiede aiuto e improvvisa giochi di prestigio per riempire la distanza. Mescola finzione e verità. Vuoto e pieno. E rivela un talento camaleontico che coinvolge.

 

Al Teatro Quirinetta di Roma, fino al 18 dicembre. In tournèe in molte città, tra cui al Metastasio di Prato il 13 e 14 gennaio; Franco Parenti di Milano dal 16 al 22; Teatro Royal, Bari, 26 e 27.

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