Elie Wiesel: uno sguardo nella notte

Ci lascia un uomo autentico, sopravvissuto ai lager («Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere»), premio Nobel per la pace nel 1986. Intellettuale acuto, dignitoso e pacato, rifiutò la presidenza dello stato di Israele
Elie Wiesel

È raro un uomo autentico. Un uomo che vive la sua individualità, restando allo stesso tempo legato agli altri con spirito di responsabilità. Elie Wiesel era così: era prima di tutto un uomo autentico. Un tipo di uomini che sono sempre stati rari nella storia, ma che oggi – probabilmente a causa del livellante potere dei media – sono introvabili come gli elefanti bianchi. Dispiace perciò ancora di più che Elie Wiesel ci abbia lasciati. È successo il 2 giugno, aveva 87 anni.

 

Nato in Romania, ebreo, sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti, ha poi girato mezzo mondo, prima di stabilirsi negli USA. Wiesel è stato Premio Nobel per la pace nel 1986, ha scritto più di 50 libri e un testo popolarissimo come La Notte, basato sulla sua personale esperienza di prigioniero ad Auschwitz, Monowitz e Buchenwald.

 

Indimenticabile, questo brano: «Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata. Mai dimenticherò quel fumo. Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto. Mai dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre la mia Fede. Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l'eternità il desiderio di vivere. Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto. Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai.»

 

Wiesel, uscito dai lager – dove erano morti sua padre, sua madre e una delle tre sorelle (le altre due sono sopravvissute) – si chiuse nel silenzio dello sgomento. Non aveva più parole, né sulle labbra né nell’anima. Aveva vissuto l’infanzia nella serena consapevolezza di un ebraismo di stampo chassidico, dolce, mite, fervente di amore per Dio e per la Torah, improntato di un umanesimo spontaneo, che si fondava su tradizioni antiche. Poi quel mondo fu spazzato via dalla devastante furia nazista. Lui sopravvisse. Ma stordito da domande a cui nessuna risposta gli pareva adeguata.

 

Nei lager un giorno fu costretto ad assistere a una scena inumana, che gridava vendetta al cielo: all’impiccagione di un bambino. «Dietro di me sentii il solito uomo domandare: “Dov’è dunque Dio?”. E sentivo in me una voce che gli rispondeva: “Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca”».

 

Ad Auschwitz moriva il Dio della sua infanzia. E a lui non restavano parole. Fu il grande scrittore cattolico Francoise Mauriac ad insistere perché uscisse dal suo silenzio decennale, elaborasse il suo ammutolimento di fronte al male e… scrivesse. Scrisse così La Notte, che all’inizio non ebbe un grande successo, poi vendette milioni di copie. Elie Wiesel non si fermò però a raccontare il male che aveva conosciuto sulla sua pelle, ma divenne un acuto intellettuale, dignitoso e pacato come i grandi uomini, coinvolto e attivo in tante questioni del presente.

 

Fu proposto come presidente dello Stato d’Israele, ma lui declinò l’offerta lasciando spazio a Shimon Peres. Gli fu conferito il Nobel per la pace perché con la sua continua opera ha dato all’umanità una testimonianza “di pace, di espiazione e di dignità umana”.

 

Wiesel, come tanti altri della sua epoca – mentre si godeva serenamente l’infanzia nel suo paesino della Romania, cullato dal ritmo rassicurante della religiosità chassidica – non si rendeva conto che la parte più diabolica della storia si era nuovamente messa in movimento. Finì dentro al suo calderone, impreparato come tutti.

 

La sua testimonianza però può oggi aiutare noi a guardare i segni del nostro tempo con più attenzione, con meno superficialità, con più umiltà, senza preconcetti. Perché è dovere morale di ogni individuo cercare di discernere, senza farsi abbindolare da visioni ideologizzate di qualunque stampo esse siano (sia all’apparenza nobili sia all’apparenza egoiste). Occorre discernere, per poi poter agire.

 

Nuovamente infatti la storia si è svegliata, ha messo in movimento i suoi ingranaggi. Conviene ricordare il monito di Freud. Egli lo riferiva alla storia personale di ognuno di noi, ma ben si adatta a quella universale: «Ciò che non ricordiamo, siamo costretti a ripeterlo».

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