Elezioni, un voto che ci richiede di essere consapevoli

Le elezioni politiche anticipate vengono a cadere in una fase decisiva della nostra storia e di preoccupanti scenari internazionali. Credevamo di essere fuori dalle contraddizioni del Novecento e invece affrontiamo le stesse sfide a cui non ci possiamo sottrarre. Città Nuova dà spazio a riflessioni e proposte da parte dei propri lettori, nell’ottica di un dialogo aperto e costruttivo. Vedi il Focus "Dibattito verso le elezioni politiche".)
Elezioni Foto Cecilia Fabiano - LaPresse

Quando le cose si fanno difficili, ci vuole un supplemento di umanità consapevole, due parole che devono stare insieme, non c’è infatti un buon livello di umanità senza conoscenza e consapevolezza. Ritagliarsi una zona di conforto personale è una aspirazione comprensibile e persino salutare, ma, come diceva il grande angelo dei lebbrosi Raoul Follereau, «finché c’è ancora un fratello in grave difficoltà e assai sofferente, non posso stare in pace».

E siccome di fratelli sofferenti su questa benedetta, ma spesso infelice terra, ce ne sono troppi, non si deve uscire dalla giusta consapevolezza. Una cosa è parlare di migranti a distanza di sicurezza, un’altra è occuparsene di persona, sapendo le loro storie, una cosa è parlare di giovani, un’altra cosa è capirne il tormento e il disagio causato da una società affettivamente distratta e attratta invece da derive individualistiche sfrenate e accecanti.

Una cosa è auspicare zero lavoro precario, un’altra è saperne davvero di più, seguire e magari provare in presa diretta a condividere chi ne è vittima. Una cosa è invocare la riforma fiscale e poi spaccare la società nella disuguaglianza tra chi ha già tanto, e non vuole pagare le tasse, mentre caldeggia i condoni, e chi ha poco e dovrebbe pagare con la stessa aliquota di chi è privilegiato.

Una cosa è commuoversi per i bambini, un’altra confezionare un sistema, in cui siano educati ed amati, e diventino centrale occupazione dello Stato e delle istituzioni, senza escludere, come sta succedendo in Italia, i figli stranieri nati qui, ma resi invisibili da una legge che li esclude dall’anagrafe, se i genitori sono ancora irregolari. Ha scritto Andrea Riccardi: «In un mondo instabile, si offrono soluzioni semplicistiche, che individuano nei migranti il nemico. Non è questa l’Europa che vogliamo», commentando le infelici parole del premier ungherese Orban: «Siamo disposti a mescolarci, ma non vogliamo diventare una razza mista». Da questa cultura presero l’avvio le leggi razziste in Italia.

Non è più il tempo di tenersi in disparte, evocando soluzioni salottiere o seduti al ristorante con amici garantiti come noi e distanti come noi. Ha scritto una mente lucida, profonda e sofferente come Boris Pahor, scrittore sloveno e triestino, dopo l’orrore provato nei lager nazisti: «Pensavamo di aver capito la durissima lezione della storia del Novecento, ma invece siamo stati vigliacchi e ci siamo concentrati solo su noi stessi».

In questo momento cruciale, a poche settimane da un voto politico di importanza unica per il futuro dell’Italia e dell’Europa, dobbiamo pensare alle nuove generazioni, chiedendo loro scusa per aver trascurato le distruzione ambientale e consolidato un’economia del puro profitto, per aver permesso lo sviluppo di un riarmo scandaloso, per aver sottovalutato la scuola e la cultura.

Un voto che, se prende la piega del disordine divisivo nazionalista tra i popoli, ci può far solo peggiorare in ogni campo. Mentre, se invece riparte da una maggiore consapevolezza ed un doveroso impegno civico, può essere una svolta di civiltà.

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