Elezioni, un voto che ci richiede di essere consapevoli
Quando le cose si fanno difficili, ci vuole un supplemento di umanità consapevole, due parole che devono stare insieme, non c’è infatti un buon livello di umanità senza conoscenza e consapevolezza. Ritagliarsi una zona di conforto personale è una aspirazione comprensibile e persino salutare, ma, come diceva il grande angelo dei lebbrosi Raoul Follereau, «finché c’è ancora un fratello in grave difficoltà e assai sofferente, non posso stare in pace».
E siccome di fratelli sofferenti su questa benedetta, ma spesso infelice terra, ce ne sono troppi, non si deve uscire dalla giusta consapevolezza. Una cosa è parlare di migranti a distanza di sicurezza, un’altra è occuparsene di persona, sapendo le loro storie, una cosa è parlare di giovani, un’altra cosa è capirne il tormento e il disagio causato da una società affettivamente distratta e attratta invece da derive individualistiche sfrenate e accecanti.
Una cosa è auspicare zero lavoro precario, un’altra è saperne davvero di più, seguire e magari provare in presa diretta a condividere chi ne è vittima. Una cosa è invocare la riforma fiscale e poi spaccare la società nella disuguaglianza tra chi ha già tanto, e non vuole pagare le tasse, mentre caldeggia i condoni, e chi ha poco e dovrebbe pagare con la stessa aliquota di chi è privilegiato.
Una cosa è commuoversi per i bambini, un’altra confezionare un sistema, in cui siano educati ed amati, e diventino centrale occupazione dello Stato e delle istituzioni, senza escludere, come sta succedendo in Italia, i figli stranieri nati qui, ma resi invisibili da una legge che li esclude dall’anagrafe, se i genitori sono ancora irregolari. Ha scritto Andrea Riccardi: «In un mondo instabile, si offrono soluzioni semplicistiche, che individuano nei migranti il nemico. Non è questa l’Europa che vogliamo», commentando le infelici parole del premier ungherese Orban: «Siamo disposti a mescolarci, ma non vogliamo diventare una razza mista». Da questa cultura presero l’avvio le leggi razziste in Italia.
Non è più il tempo di tenersi in disparte, evocando soluzioni salottiere o seduti al ristorante con amici garantiti come noi e distanti come noi. Ha scritto una mente lucida, profonda e sofferente come Boris Pahor, scrittore sloveno e triestino, dopo l’orrore provato nei lager nazisti: «Pensavamo di aver capito la durissima lezione della storia del Novecento, ma invece siamo stati vigliacchi e ci siamo concentrati solo su noi stessi».
In questo momento cruciale, a poche settimane da un voto politico di importanza unica per il futuro dell’Italia e dell’Europa, dobbiamo pensare alle nuove generazioni, chiedendo loro scusa per aver trascurato le distruzione ambientale e consolidato un’economia del puro profitto, per aver permesso lo sviluppo di un riarmo scandaloso, per aver sottovalutato la scuola e la cultura.
Un voto che, se prende la piega del disordine divisivo nazionalista tra i popoli, ci può far solo peggiorare in ogni campo. Mentre, se invece riparte da una maggiore consapevolezza ed un doveroso impegno civico, può essere una svolta di civiltà.
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