Elezioni in Sicilia, la questione etica resta irrisolta

Mesi complicati di trattative e di veti hanno condotto, con difficoltà, al varo delle candidature in vista del voto del 25 settembre in Sicilia.

Difficile mettere insieme i pezzi di un puzzle complicato nel vasto panorama della politica siciliana. A destra e a sinistra è complicato trovare gli accordi che avrebbero permesso alle coalizioni di andare al voto con il migliore assetto possibile.

Un voto, lo ricordiamo, anticipato di un mese o poco più rispetto alla scadenza naturale della legislatura per volere del presidente della Regione, Nello Musumeci che, nel luglio scorso aveva presentato le dimissioni dall’esecutivo, spiegandone le ragioni.

Musumeci aveva parlato dei risparmi che si ottengono con all’accorpamento delle tornate elettorali. Un’elezione regionale in un momento distinto avrebbe comportato una spesa di 20 milioni in più. Inoltre, un doppio appuntamento avrebbe comportato disagi per le scuole (per la chiusura ravvicinata degli istituti). Una scelta di buonsenso, quindi, anche per evitare due campagne elettorali ravvicinate.

Ma la mossa del governatore è anche un favore a Fratelli d’Italia perché consente di sfruttare il momento favorevole del partito di Giorgia Meloni.

Musumeci, fondatore del movimento “Diventerà Bellissima” (rimasto in vita appena sei anni e che ora confluisce in Fratelli d’Italia), non sarà ricandidato alla presidenza. Il leader di Forza Italia, Gianfranco Miccichè, ha opposto un netto no. Miccichè è stato, per cinque anni, la spina nel fianco del governatore, condizionando molte scelte e facendo mancare spesso la maggioranza in aula.

Al suo posto è stato candidato Renato Schifani, di Forza Italia, già presidente del Senato dal 2008 al 2013, che avrà l’appoggio di tutto il centrodestra che al fotofinish ha ritrovato la sua compattezza, mentre Musumeci ha fatto un passo indietro ed è ora candidato, in un collegio sicuro, al Senato della Repubblica.

La candidata del centrosinistra è Caterina Chinnici, magistrata, nonché figlia di Rocco Chinnici, il consigliere istruttore della Procura di Palermo, ucciso dalla mafia nel 1983, nella “strage di via Pipitone Federico”. Chinnici fu il promotore del cosiddetto “pool antimafia”, poi portato avanti, dopo la sua morte, da Antonino Caponnetto insieme a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Chinnici pagò con la sua vita il suo impegno per cercare di debellare Cosa Nostra. Caterina Chinnici è stata assessora regionale alle Autonomie locali nel governo, guidato da Raffaele Lombardo dal 2009 al 2012. Dal 2014 è parlamentare europea, eletta nelle liste del Pd.

Sulla sua candidatura gioca un antefatto. Il tavolo cosiddetto del centrosinistra aveva deciso di varare le primarie in Sicilia per scegliere il candidato alla presidenza della Regione. Il Pd aveva proposto Chinnici, Centopassi e altri gruppi avevano proposto Claudio Fava, i 5 Stelle avevano schierato Barbara Floridia. Prevalse la Chinnici, con buone affermazioni degli altri due, soprattutto Floridia. Ma le vicende nazionali, la rottura, per ora insanabile, tra Pd e 5 Stelle hanno avuto un riverbero anche in Sicilia. Sia pure con motivazioni diverse, i due partiti hanno diviso i loro percorsi.

Caterina Chinnici sarà candidata con l’appoggio di PD e Cento Passi, mentre Renato Schifani avrà l’appoggio di ben cinque liste: Forza Italia, Prima l’Italia – Lega, Fratelli d’Italia, Popolari e Autonomisti, DC (quest’ultimo soggetto politico, sostenuto dall’ex presidente Salvatore Cuffaro, ha varato una lista unica con l’Udc). Il Movimento 5 Stelle correrà con Nuccio Di Paola e una sola lista. I 5 Stelle, anche in Sicilia, vivono un calo fisiologico, ma qui la loro presenza è ancora abbastanza forte.

L’outsider che potrebbe sparigliare le carte ha il nome e il volto di Cateno De Luca. Proveniente dall’area di centrodestra (Mpa) è stato sindaco del suo comune d’origine, Fiumedinisi, Santa Teresa Riva e poi di Messina dal 2018. Si è dimesso all’inizio di quest’anno per tentare la corsa alla presidenza della Regione, lui che all’Ars era già stato come deputato del movimento che aveva fondato, Sicilia Vera, e con lo schieramento Rivoluzione Siciliana, pur se eletto nelle liste Udc.

Cateno De Luca, autore di proteste clamorose come quella contro l’obbligo del super green pass nello Stretto di Messina, rosicchia voti a destra, sua area di provenienza, ma anche in altri schieramenti. Intercetta il voto di protesta, ha girato le città siciliane per mesi e mesi, anticipando di gran lunga i suoi avversari, ha reclutato candidati anche tra la gente comune, cosicché ora risulta sostenuto da quattro liste. Il suo risultato finale sfugge, per ora, a qualunque previsione o sondaggio, ma la presenza di folle nelle piazze da lui attraversate è costante.

In lizza anche la lista Siciliani Liberi (prima nella scheda elettorale verde) con la candidatura di Eliana Esposito. I temi del sicilianismo e la proposta di una Zona Economica Speciale Integrata sono tra i cavalli di battaglia di Esposito.

Italia Viva che, anche in Sicilia, si allea con il movimento Insieme di Carlo Calenda, candida alla presidenza Gaetano Armao, vicepresidente in carica della Regione, pur se in un governo dimissionario. Armao cambia collocazione politica e però, sia pure per le ultime settimane, continua a rimanere nel governo regionale di destra. Un’altra esponente del governo regionale, Daniela Baglieri, assessora all’Energia e Ambiente in quota Udc, è candidata nelle liste di Forza Italia. Altra anomalia, ma qui Baglieri si sposta comunque tra liste della stessa coalizione.

In Sicilia si vota con un sistema elettorale che permette ancora le preferenze. Gli elettori potranno scegliere una lista e indicare il nome del candidato prescelto. Dovranno indicare il nome del presidente della regione e potranno eventualmente optare anche per il voto disgiunto (scegliere cioè un candidato presidente ed una lista appartenente a una coalizione diversa).

Chiudiamo con un tema, che probabilmente avrebbe meritato di figurare all’inizio di questo articolo: la cosiddetta “questione etica”. È un tema dirimente in una Sicilia che ha conosciuto la stagione durissima della lotta alle mafie, costata la vita a tanti magistrati, poliziotti, carabinieri, esponenti politici, uomini delle istituzioni. Oggi si vive una stagione diversa e il tema dell’antimafia e della legalità sono purtroppo rimasti ai margini di questa campagna elettorale.

Da quando è in vigore la legge per l’elezione diretta del presidente della Regione, la Sicilia si reca al voto per la sesta volta. Più volte ci sono stati candidati presidenti poi eletti e finiti però nelle maglie di inchieste e in processi. Ci sono state assoluzioni e condanne, ma restano comunque molte ombre sulle “strane colleganze”. Ne fu esente solo l’elezione del 2017, ma non ne furono esenti le liste dei candidati.

Di più: l’Assemblea regionale siciliana in carica dal 2012 al 2017 fece registrare un forte numero di inquisiti tra gli eletti.

E oggi? Le ombre ci sono anche oggi. Alcuni candidati alla predidenza hanno avuto processi importanti e ne sono stati assolti e alcuni processi sono ancora in corso. A Catania è stata arrestata proprio in questi giorni una candidata di Fratelli d’Italia, già assessora della giunta guidata da Salvo Pogliese (anch’egli inquisito e poi dimissionario). A Palermo è stato arrestato un candidato dei Popolari Autonomisti che avrebbe siglato un patto con un boss locale per avere dei voti. Nelle mani della Procura anche un’intercettazione recente in un bar di Carini (Pa).

Caterina Chinnici ha chiesto e ottenuto che chi aveva dei carichi pendenti, pur se non importanti, non venisse candidato nelle liste della coalizione. L’ha ottenuto, non senza alcuni mal di pancia, che hanno portato qualche candidato su cui veniva posto il veto a spostarsi in altre liste e in altri schieramenti. Anche i 5 Stelle hanno passato al vaglio i nomi ed i curriculum dei loro candidati, esigendo legalità.

Ma la “questione morale” rimane lontana dai dibattiti di questa campagna elettorale. Purtroppo.

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