Elezioni regionali, anche la Toscana in bilico
Due sondaggi apparsi una quindicina di giorni fa, uno commissionato da Il Sole 24 Ore e uno da il Corriere della Sera, hanno fotografato uno scenario di sostanziale parità fra Eugenio Giani, candidato del centrosinistra, e Susanna Ceccardi, candidata del centrodestra, nelle elezioni del prossimo 20-21 settembre. Accanto Marco Barzanti (Partito Comunista Italiano), Salvatore Catello (Partito Comunista), Tommaso Fattori (Toscana e Sinistra), Irene Galletti (Movimento 5 Stelle) e Tiziana Vigini (Movimento 3V – Libertà di scelta), sono i due esponenti del centrodestra e del centrosinistra a contendersi la successione a Enrico Rossi alla Presidenza della Regione Toscana.
Le tappe di una storia politica
Uno stato di cose, questo, che consegna questo momento elettorale all’incertezza dell’esito, ma rappresenta anche l’ultimo passaggio di un itinerario politico della Toscana che affonda le radici in almeno un decennio di vita politica. Inquadrando la sostanziale spaccatura politica con cui la Regione arriva al voto dentro la prospettiva delle elezioni amministrative, politiche ed europee degli ultimi dieci anni sono abbastanza evidenti i segni di una sorta di mutazione profonda che, a partire da alcune aree, si è via via allargata in modo sempre più rapido ed incisivo.
L’elezione di un sindaco di centrodestra a Prato, nel 2009, si rivela allora non un caso isolato ma l’inizio di un processo che ha poi coinvolto Arezzo, Grosseto e Massa, fino ad arrivare a città che, in una Toscana considerata un paradigma solidissimo di governo del territorio espresso dal centrosinistra, erano additate come icone di un intreccio virtuoso fra politica, socialità, sviluppo economico e benessere. Pistoia, Siena e Pisa rappresentano, in questo senso, le tappe recenti del “cambio di pelle” che sembra caratterizzare la Toscana di questi anni e che ora mette in discussione lo stesso governo della Regione.
La crisi di un modello di governo
Sarebbe superficiale guardare a questa rapida messa in prospettiva della storia politica recente della Toscana con gli occhi di un semplice mutamento di consenso elettorale. E questo perché proprio questo pezzo di Paese, fin dall’istituzione delle Regioni nel 1970, aveva visto emergere e prendere forma un vero e proprio modello diffuso e articolato di governo del territorio e delle sue comunità. Una struttura socioeconomica e culturale nella quale la dimensione politica e istituzionale rappresentava uno dei vertici di un triangolo che includeva anche i soggetti economici e sociali, da un lato, e un forte senso di comunità dall’altro.
Questo schema, declinato in molteplici variabili e adattato alle specificità di una Regione plurale per tradizioni come anche per caratteristiche produttive e per forme di comunità, ha iniziato ad essere messo in discussione sia dall’impatto dei processi di un mercato divenuto globale, sia da un progressivo mutare delle esigenze, delle attese e delle necessità di cittadini che hanno iniziato a non trovare più risposte adeguate nella trama di relazioni che governava le diverse aree della regione. L’esito del combinarsi e del saldarsi di questi processi è stato il progressivo frantumarsi di un modello che aveva saputo trovare, pur nella diversità dei territori, un elemento unitario di sviluppo. È allora emersa la fatica della classe dirigente, tanto politica quanto economico-industriale e culturale, di misurarsi con la sfida di cambiare il modo di leggere la realtà e con esso il paradigma di governo.
Al di sotto dei voti: le fratture profonde di un territorio
Si radicano qui quelle fratture, venutesi via via allargando, di cui gli esiti elettorali degli ultimi anni sono, in certo senso, una manifestazione. Si è creata una cesura fra i distretti manifatturieri e industriali della Regione e l’economia del turismo, con una progressiva crisi dei primi e un loro sostanziale abbandono alle dinamiche di mercato, e una fortissima crescita della seconda, accompagnata e favorita da scelte politiche.
Si è aperta una frattura, per così dire, geografica, fra la costa e le aree interne, che ha visto concentrare gli sforzi legati a trasporti e infrastrutture sulle seconde piuttosto che sulla prima. Si è definita una distanza crescente, divenuta in alcuni casi aperta ostilità, fra Firenze e il resto della Regione, soprattutto le aree limitrofe, alimentata da scelte e prassi di governo che hanno contribuito a costruire l’immagine di un capoluogo che fissa e impone le priorità a partire dalle proprie esigenze.
Si è aperta una ferita sociale fra pezzi sempre più ampi delle comunità, seganti dalla povertà, dagli effetti della compressione del valore del lavoro e dei salari, da oggettive condizioni di disagio sociale, e un numero sempre più ristretto di soggetti ricchi e dotati di grandi potenzialità.
Un quadro che ha una distribuzione sia cittadina, con una divisione molto netta fra centri storici e ricche aree residenziali da un lato, e periferie dall’altro, ma ha anche un carattere geografico, come emerge dalla distanza crescente misurata negli ultimi anni fra il reddito medio dei cittadini di Firenze – quasi 30.000 euro lordi l’anno – e quello delle altre province della regione – compreso fra i 27.700 di Siena e i 26.000 di Pistoia.
Un ritorno alla realtà
È uno scenario complessivo che disegna il quadro di una Toscana nella quale, a seguito della crisi, la realtà cerca un nuovo equilibrio, rispetto al quale però non emerge ancora una capacità di lettura della verità delle cose. In una campagna elettorale giocata sulla superficie rispetto ai grandi nodi del presente e del futuro della Regione, vengono spese parole significative, al cui uso nella dialettica elettorale non sembra tuttavia corrispondere uno spessore politico capace di restituire la portata della sfida di una prassi di governo adeguata in questa incerta transizione.
Le fratture strutturali, che segnano questo pezzo d’Italia e che ora sembrano sovrapporsi e confondersi in questo appuntamento elettorale, rivelano quello che dovrebbe essere il percorso da intraprendere: quello di colmare la distanza fra la realtà e la politica, facendo della seconda prima di tutto ed essenzialmente una forma di intelligenza delle cose e dunque la capacità di articolare e guidare i processi. È uno sforzo che richiede una fedeltà alla realtà, la sola che può consentire di declinare parole come ambiente, equità, sviluppo, lavoro, Europa, col linguaggio mentale e culturale di un territorio, quello toscano, plurale ma proprio per questo capace di esprimere una ricchezza e una varietà di esperienze che possono renderlo luogo di umanità.