Elezioni in Perù, segni di cambiamento
Il voto dello scorso 26 gennaio ha dimostrato che aveva ragione lui, il presidente del Perù Martin Vizcarra: era il momento di sciogliere il Parlamento a convocare a nuove elezioni.
La decisione, osteggiata da una serie di tecnicismi e da grossolane scuse, puntava a sbloccare il Parlamento unicamerale praticamente in ostaggio di forze politiche fortemente invischiate in una rete corrotta che cercava di portare acqua al proprio mulino.
Una buona maggioranza, 73 dei 130 legislatori, appartenevano al gruppo di Fuerza popular, il partito della famiglia Fujimori, dedito a un populismo esasperato e corrotto. La leader, Keiko Fujimori è finita ancora una volta in carcere preventivo perché coinvolta da accuse per finanziamento illegale e riciclaggio di denaro sporco. Dal 2016 questo gruppo teneva in stallo la politica ogni volta che appariva una questione che non era di suo gradimento.
Da quando Vizcarra ha assunto la presidenza, dopo le dimissioni del presidente Kuczynski, ha intrapreso una lotta contro i tentacoli di una rete di corruzione che abbracciava legislatori, i vertici del potere giudiziale e settori dell’imprenditoria.
Fuerza popular ed il Partito aprista, hanno avanzato scuse dietro scuse, mentre le maglie della giustizia facevano a pezzi il loro discorso seguendo la pista delle mazzette ottenute dal colosso brasiliano dell’edilizia, Odebrecht.
Il tragico epilogo di questa storia si è consumato nell’autunno scorso, quando l’ex presidente Alán García, leader aprista, si suicidò minuti prima di essere arrestato per corruzione. Insieme a Keiko Fujimori, l’ex presidente ostacolava le riforme messe in moto dal debolissimo governo di Vizcarra, che fece ricorso alla facoltà costituzionale di sciogliere il parlamento.
Il partito dei Fujimori, ha raccolto appena il 7% dei voti, trasformandosi nel quinto gruppo parlamentare, mentre gli apristi non sono nemmeno riusciti ad entrare in Parlamento dove era necessario almeno il 5% dei voti.
Vizcarra aveva colto nelle manifestazioni di protesta il rifiuto degli elettori per una situazione di vero e proprio ricatto politico permanente.
C’è da dire che la nuova composizione del potere legislativo, in maggioranza di centro destra, ma estremamente frammentata, non ha sciolto uno dei tanti nodi della politica peruviana, quello della governabilità.
Acción Popular, del centrodestra, è il maggior gruppo avendo raccolto appena poco più dell’11% dei voti, che danno loro 25 seggi. È seguito da Alianza para el Progreso (22), e dal Frente popular agrícola (15), un gruppo legato a una chiesa evangelista di stile messianico e fortemente conservatrice, che diventa la terza maggiore forza in Parlamento. Ed anche il resto dei gruppi rappresentati non vanno oltre il 6-8% dei voti.
Questa atomizzazione della rappresentanza parlamentare mostra che ci sarà molto da negoziare, prestando attenzione che non si trasformarsi in uno scoglio alla gestione di Vizcarra, che ha saputo mantenersi con lealtà al di fuori della disputa elettorale senza presentare un suo candidato, dispone di un buon appoggio popolare ed ha dimostrato di possedere capacità decisionale. Bisognerà pensarci due volte prima di entrare in rotta di collisione con lui.
La durata di questo mandato sarà breve, fino alle elezioni del 2021 quando si voterà per una nuova legislatura. Ma intanto continuerà il processo di rinnovamento di un Paese che cresce e di una democrazia che deve consolidarsi.