Elezioni Liguria 2024, vittoria di Bucci e dell’astensionismo
«Sarò il sindaco della Liguria». Così si è espresso Marco Bucci (raccomandando ai giornalisti presenti di riportarlo) nella conferenza stampa svolta al termine di una tornata elettorale combattuta come non si ricordava da decenni. I soli precedenti paragonabili sono le elezioni regionali del 1970 e del 1990, in cui nella prima la Democrazia cristiana e nella seconda il Partito Comunista superarono di soli diecimila voti gli storici rivali.
Al di là delle analisi dei flussi di voti, che ben più illustri politologi faranno a mente fredda, siano consentite quattro brevi riflessioni che si possono dedurre dai risultati delle elezioni liguri.
La prima è sul ruolo decisivo giocato dal nuovo governatore della Liguria Marco Bucci. La sua candidatura, voluta espressamente dal presidente del consiglio Giorgia Meloni, alla fine è stata decisiva per la vittoria. Infatti, se è sorprendentemente vero che a Genova il sindaco uscente è stato sconfitto dall’avversario Orlando (con uno scarto di due punti percentuali e un totale di circa settemila voti di differenza), è altrettanto vero che, in seguito ai fatti giudiziari della scorsa primavera, alle dimissioni e al patteggiamento di Toti, tutti i sondaggi – prima dell’ufficializzazione del nome di Bucci come candidato del centrodestra all’inizio di settembre – davano il centrosinistra e Orlando vincenti di sette punti percentuali.
Il dato si è invece ribaltato nell’ultimo mese e mezzo, nonostante alle europee i partiti che formano la coalizione di centrosinistra avessero ottenuto complessivamente il 50% dei voti a fronte del 44% dei partiti di centrodestra. Questo ridimensiona anche la lettura dell’ex governatore Toti che, citato dal Secolo XIX (edizione del 29 ottobre 2024), si è premurato di sottolineare come la vittoria del centrodestra, anche alla luce dei risultati di Genova non esaltanti per Bucci, sia da attribuire al suo governo e alla volontà dei liguri di continuare con la sua “rivoluzione liberale” (che pure, soprattutto per quanto riguarda il tema della sanità a cui anche Bucci ha fatto riferimento nella conferenza post-risultati, ha spaccato la regione in due fronti sempre più divisi).
Proprio dall’ultimo inciso muove la seconda riflessione: le elezioni regionali registrano un territorio spaccato a metà, molto più di quanto avevano lasciato intendere i precedenti appuntamenti, sia a livello amministrativo sia a livello nazionale ed europeo. Una spaccatura che si riflette anche nelle diverse province: mentre a Genova e a La Spezia vince, di poco, Orlando su Bucci, a Savona e a Imperia vince Bucci. A Imperia, in particolare, dove si è registrata l’affluenza più bassa di tutta la regione – infatti solo il 38,1% degli aventi diritto si è recato alle urne – è stato un trionfo del centrodestra con un 60,1% di voti ottenuti, che probabilmente potevano essere di più con un’affluenza più alta.
La terza riflessione ha a che fare, invece, con gli sconfitti, in particolare, per quanto riguarda il crollo del Movimento 5 Stelle che non è riuscito a raggiungere il 5% dei voti (4,56% il dato definitivo), preannunciato già delle amministrative a Genova del 2022.
Se è vero che tradizionalmente il partito ha sempre sofferto le elezioni amministrative e regionali al nord, un calo così drastico non era mai avvenuto; basti pensare che nel 2015, con un candidato, Alice Salvatore, indipendente rispetto al centrosinistra, ottenne 24,85% dei voti, mentre nel 2020 in cui sostenne Ferruccio Sansa (candidatosi in questa tornata elettorale per Alleanza Verdi e Sinistra e non eletto) il Movimento prese il 7,78%.
È chiaro che, a fronte di un risultato positivo raggiunto dal Partito Democratico (28,47% dei voti, in assoluto il primo partito con otto consiglieri nel nuovo consiglio regionale) e dal candidato Orlando, il veto di Conte ai renziani abbia pesato come contraddizione evidente rispetto al progetto di Elly Schlein di un campo largo capace di far fronte al centrodestra.
I riformisti e liberali di Azione (in cui spiccavano come candidati Cristina Lodi e Sergio Rossetti, precedentemente importanti politici del Partito Democratico genovese), in questo senso, non sono stati sufficienti (il partito ha ottenuto l’1,7%). Peraltro, diversi candidati nelle liste civiche a sostegno di Bucci provenivano proprio da Italia Viva, anche se tale passaggio era avvenuto, prima del definitivo veto dei 5 Stelle verso di loro, con l’ufficializzazione del nome Bucci, sostenuto in Comune a Genova da diversi renziani.
Infine, l’ultima riflessione riguarda il centrodestra: se per la vittoria ha giocato un ruolo fondamentale il nome di Bucci, gli altri protagonisti del successo sono state le liste civiche, meno i partiti nazionali, tradizionalmente non forti nel territorio ligure. Infatti, Lega e Forza Italia sono rimasti all’8% dei voti, superati entrambi dalla lista Vince Liguria (che ha raggiunto il 9,46% dei voti) in cui peraltro la prima dei non eletti è l’ex portavoce di Toti, Jessica Nicolini.
Sebbene non si sia raggiunto il risultato alle elezioni del 2020 di Cambiamo, partito fondato da Toti che prese il 22, 61% dei voti, le liste civiche (oltre a Vince Liguria, va citata anche Orgoglio Liguria con il 5,7%) sono state decisive, come già in precedenza, nel centrodestra, segno della convergenza in tali proposte politiche di un certo numero di moderati.
Fratelli d’Italia, che alle europee in Liguria aveva ottenuto il 26,8 % dei voti e alle politiche del 2022 il 24,3%, si conferma il partito più votato nello schieramento pro-Bucci assestandosi al 15% e ottenendo cinque consiglieri (tre in meno del Pd), migliorando quindi il dato delle amministrative di Genova del 2022 (dove ottenne il 9,33%) e delle regionali del 2020 (dove ottenne il 10,87%).
In tutto questo, una preoccupante notazione finale: il vincitore assoluto si conferma essere l’astensionismo. Solo il 45,9% degli aventi diritto è andato a votare (già le precedenti amministrative a Genova del 2022 avevano dato un segnale preoccupante in questo senso con un’affluenza del 44,17%). Un calo del 7% rispetto alle regionali scorse.
Non possiamo sapere chi e se questo dato abbia favorito qualcuno (nell’indagine dell’Istituto Cattaneo l’ipotesi è che complessivamente il centrodestra possa aver perso qualcosa in questo senso); ma di sicuro chi continua a perdere di fronte all’ennesimo calo di partecipazione, è la salute del nostro sistema democratico. Al di là della facile retorica, se meno di un cittadino su due va a votare, si genera una ferita al cuore della nostra democrazia. Ferita che sa di emergenza. Chiunque abbia a cuore la politica, in particolare chi l’avverte come amore degli amori, deve sentirsi responsabile.
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