Elezioni, la nuova questione meridionale tra Pnrr e autonomia differenziata
Nella società civile e responsabile del Sud dell’Italia, negli ultimi tempi, sta riprendo forza la consapevolezza dell’urgenza di rimboccarsi le maniche per tentare di affrontare il nodo irrisolto di uno sviluppo ancora di là da venire per il Mezzogiorno.
Prima di tutto, c’è bisogno di riattivare il desiderio che il Sud abbia stagioni migliori. Il desiderio, da intendersi come virtù civile, cioè come sforzo progettuale che guarda al futuro. I meridionali più attivi stanno mettendo in campo un disegno di rilancio e di assunzione di responsabilità che parta dal territorio stesso. «Ci dobbiamo salvare da soli, metterci in prima fila e crederci perché abbiamo tante carte da giocare», ha detto l’arcivescovo di Benevento Felice Accrocca nel suo intervento alla summer school del Laboratorio per la felicità pubblica, tenutosi a Pietrelcina nei giorni scorsi.
Il riscatto del Sud deve, perciò, partire dal Sud.
Si tratta dell’ultima chiamata da parte della società civile per una questione che non sembra interessare più a nessuno. Né per quanto riguarda la spaccatura tra le due parti del Paese né per quella tra aree interne e realtà urbane. Non è possibile accettare che i meridionali abbiano vite dimezzate, per quanto riguarda i diritti. C’è bisogno di ricostruire un’unità morale tra le comunità e le persone del Sud e del Nord, in modo che si ritornino a scegliere reciprocamente. Un sentiment comune per costruire una ritrovata unità. Senza questi fattori determinanti, anche le politiche e le strategie di sviluppo non sortiranno gli effetti sperati.
In questo momento è importante riattivare un dialogo generativo tra società responsabile e politica. Le questioni sono tante. Prima fra tutte la questione povertà che al Sud sta diventando sempre più preoccupante. Ci riferiamo prima di tutto alla questione della povertà assoluta, ma anche al problema del lavoro povero, rispetto al quale si assiste, in particolare nel Mezzogiorno, ad uno scivolamento sempre più rapido verso condizioni che non consentono di far fronte ai bisogni essenziali per tante famiglie. Al Sud si guadagna il 20% in meno che al Nord.
Una questione che si profilerà all’orizzonte del dopo elezioni è quella del Regionalismo differenziato, definita dall’economista Gianfranco Viesti la “secessione dei ricchi”, con l’obiettivo di operare un ingentissimo trasferimento fiscale dalle casse dello Stato a quelle delle regioni economicamente più forti del Nord. Autorevoli studiosi temono che con l’autonomia differenziata, almeno per come la si immagina oggi adottando il criterio della spesa storica, cessi l’Unità d’Italia.
Mentre il cuore del rilancio del Paese, a partire dal Sud, sta nell’attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni, appostando le dovute risorse, al fine di garantire in modo uniforme sul territorio nazionale i diritti civili e sociali. È il modo più concreto per dare corpo all’edificio dell’eguaglianza sostanziale, voluto dalla Costituzione, in cui ogni cittadino gode degli stessi diritti a prescindere dal luogo in cui in un determinato tempo risiede.
Un altro aspetto fondamentale riguarda il Pnrr. Esso produrrà un impatto positivo solo se il Sud riaccenderà i motori. Il Nord ormai è saturo e non ha possibilità di fare miracoli. Ma il Mezzogiorno deve unirsi per «dialogare con il Nord in una prospettiva nazionale, qui invece le otto regioni del Sud non hanno presentato neanche un progetto comune», come amaramente dice in un’intervista Adriano Giannola, presidente della Svimez.
Entrando nel merito delle previsioni del Pnrr, più di uno studioso osserva che il 50% delle risorse riguarda immobili, c’è poca attenzione per l’innovazione, così come per le risorse umane.
Con uno slogan potremmo dire che ci vuole un grande “Pnrr delle risorse umane”. Il rischio, in sostanza, è che lo strumento non sia risolutivo. Eppure, la mole di finanziamenti, cioè sovvenzioni e prestiti, è sterminata.
Il limite operativo è che il piano si gestisce con i bandi, ma sembra evidente che, soprattutto al Sud, non si possono mettere in competizione le fragilità. Il limite di fondo, inoltre, sta nel fatto che il Pnrr manca di una visione rispetto alle grandi transizioni, ecologica e digitale, così come relativamente alle disuguaglianze di genere, sociali e territoriali.
La questione delle questioni per il Mezzogiorno, purtroppo, rimane l’emigrazione dei giovani, circa 100mila all’anno. È l’emorragia dei giovani a cui spesso segue quella dei genitori.
Anche rispetto al tema giovani bisogna capire qualcosa in più. «I giovani del Sud hanno un amore senza illusioni per il proprio territorio», come dice Mauro Giardiello, docente di Sociologia dell’educazione all’Università Roma Tre.
Sta emergendo, secondo la ricerca di Giardiello, anche un diverso profilo di giovani, i “nuovi mobili”, che coniugano la mobilità con l’appartenenza. Essi non sono né totalmente stanziali né totalmente mobili. Questi giovani vivono la mobilità come risorsa e non come fuga ed intendono le tecnologie come nuovi modi di appartenere.
È importante, allora, investire su questi giovani, in termini di politiche di sostegno e di allestimento di ecosistemi innovativi, per favorirne l’inserimento pieno nella società meridionale. Si tratta di aspetti certamente complessi da affrontare, ma cruciali tenendo conto che anche rispetto alla mobilità vi è una riproduzione delle disuguaglianze.
«Dal Sud si può aprire una nuova stagione per il Paese», come dice Edoardo Patriarca presidente nazionale di A.N.LA., ma è il tempo di organizzare la voce affinché il «Mezzogiorno trovi il modo di farsi sentire, facendo anche gesti eclatanti a livello mediatico», è l’invito rivolto ai partecipanti della summer school di Pietrelcina da Carlo Mazzone finalista del Global Teacher Prize, il Nobel degli insegnanti. Possiamo, allora, dire che non c’è più da attendere, ma bisogna agire perché “se non ora, quando?”.