Elezioni in Iraq, uno squarcio di sole
Fino al giorno prima nessuno aveva voluto sbilanciarsi. Sulle elezioni irachene le previsioni erano infauste: l’unica cosa certa pareva dovesse essere il bagno di sangue promesso dai terroristi. E, per scongiurarlo, l’unica arma sarebbe stata l’astensione in massa. Pochi i pronostici sull’eventuale successo di questo o quel partito presentatosi alle urne. Tutti perdenti, dunque. E doppiamente perdenti ne sarebbero usciti gli Stati Uniti che hanno voluto questa guerra senza via d’uscita, pagata a caro prezzo di vite e di risorse, da loro stessi, ma anche dai loro alleati, Italia compresa; e soprattutto pagata dal popolo iracheno. Le prime notizie sembrano confermare questo quadro. Per le vie di Baghdad, blindata e deserta, la televisione mostra persone che si recano a votare con fare circospetto, celando il volto. I terroristi, infatti, hanno promesso vendetta postuma. Ma col passare delle ore, l’animazione cresce, prima un rivolo, poi un fiume di persone si dirige verso i seggi elettorali. È gente in festa, come era stato promesso. Intere famiglie col vestito buono. Si fanno coraggio a vicenda e si mettono in fila sfidando gli attentatori che pure ci sono e si producono con qualche colpo di mortaio e con alcuni uomini bomba. Fanno ancora una volta decine di morti, ma non riescono a dissuadere chi va a votare. I veri eroi sono dunque queste persone che, a loro rischio, si sono messe per strada per dimostrare a sé e al mondo cosa vuole veramente la gente. Alla fine secondo le previsioni saranno più del 60 per cento. Una percentuale davvero significativa, formata in gran parte di sciiti, se si considera che i sunniti, nelle loro città e nelle loro circoscrizioni hanno optato per l’astensione. Non tutti, però. A bilanciare queste assenze sta il voto massiccio e prevedibile dei curdi che ha unito all’elezione dei propri rappresentanti nell’assemblea costituente la richiesta di autonomia, se non proprio di indipendenza della loro patria. E altrettanto massiccio è stato il voto degli sciiti del sud: i paria degli anni bui del regime di Saddam. È impressionante la presenza al voto delle donne che si è rivelata determinante. Sono loro che, come spesso nei momenti cruciali della storia dei popoli, fanno coraggio agli uomini. Alcune mostrano con spavalderia il dito intinto nell’inchiostro indelebile a testimoniare che hanno votato. Si sventolano bandiere irachene, consapevoli che, comunque si voti, si vota per l’Iraq. Molti pensano che questo voto affretterà anche l’esodo delle truppe di occupazione. Tutti lo sperano, anche se è chiaro che questa giornata segnerà soltanto un passaggio, l’inizio di una nuova fase non meno difficile, che parte da questo voto. Può dirsi contento Bush, che trova giustificato il suo sforzo per arrivare a questo appuntamento con le urne che, a suo dire, segnerebbe la svolta verso l’introduzione della democrazia in Medio Oriente. Pur nella consapevolezza che inizia ora la parte forse più delicata dell’operazione se si considera il fatto che la democrazia non può essere imposta né trafficata come merce da esportazione. Nell’impossibilità di negare i fatti, troppi interessati alla questione irachena fanno ancora buon viso a cattiva sorte. E non si tratta solo dei sunniti iracheni, ma anche dei paesi confinanti. Nazione composita, l’Iraq è circondato da nemici o da finti amici che in passato ne hanno temuto la forza e che ora, se non proprio spartirselo, vogliono contare nel suo futuro. Così è per la Siria e per la Turchia, così è per l’Iran e per l’Arabia saudita. Anche gli europei che hanno inventato l’Iraq dopo la dissoluzione dell’impero ottomano per esercitarvi la propria influenza, e che oggi mal sopportano Bush e gli americani, difendono fra il Tigri e l’Eufrate i loro interessi. Pure gli italiani si erano messi in coda per le briciole. Gli avvenimenti hanno consentito loro di esplicare a Nassiriya soltanto l’esercizio del buon samaritano. Meglio così. Si deve riconoscere che lo hanno svolto con coraggio e sacrificio grande. Oggi ci auguriamo di poter gioire con questa gente che ha voluto votare per un Iraq libero, mostrando – commenta al Arabiya – il volto del paese reale che non rimpiange Saddam, rifiuta al Qaeda e non desidera la tutela dei regimi teocratici che lo circondano. Mentre al Jazira, che ha sempre sostenuto al Qaeda, continua a parlare di elezioni farsa. Pur senza farci illusioni, ci auguriamo a nostra volta che questo processo verso l’autodeterminazione possa continuare. Almeno per questa volta molti iracheni hanno assaporato la gioia di decidere loro di sé stessi. Non tutti ancora. La vera festa ci sarà se e quando, nel progettato stato federale, potranno farlo senza condizionamenti esterni sciiti e sunniti, insieme con curdi e turcomanni e con gli stessi cristiani che guardano con preoccupazione al proprio futuro, se il nuovo stato assumerà un’impronta marcatamente confessionale. All’orizzonte ci sono ancora lampi e nuvole buie, ma non possiamo lamentarci se oggi ha brillato uno squarcio di sole.