Elezioni in Bangladesh tra scontri e violenze

La Commissione per le elezioni ha dichiarato che l’Awami league, attualmente partito di governo, ha nuovamente vinto le elezioni tenutesi nei giorni scorsi, preparate e svoltesi fra tensioni, scioperi, boicottaggi e uccisioni
Elezioni in Bangladesh tra scontri e violenze

«Le elezioni sono passate e restano un brutto ricordo perché hanno dimostrato ancora quanto in Bangladesh la democrazia sia fragile e violenta». Questo il laconico messaggio che ho ricevuto poche ore fa da un amico che vive nel Paese asiatico da vari decenni.

I risultati ufficiali hanno assegnato la vittoria al partito al governo, l’Awami league, che ha ottenuto 232 seggi lasciando solo una manciata ad altri: Jatiya party 33; Workers party 6; Jatiya party-manju 1; altri 3; indipendenti 13.

Al di là di quanto emerso dalla tornata elettorale resta il clima pesante di una situazione mai così grave. Il Paese era andato alle urne al termine di una campagna elettorale violenta e senza apparenti vie di sbocco democratico. L’anno appena concluso è stato un periodo difficile per questa nazione asiatica con centosessanta milioni di abitanti, poverissima di materie prime e spesso devastata da cicloni e, in passato, teatro di carestie dovute ad alluvioni. Eppure, il Bangladesh è un Paese impegnato a risollevarsi da una situazione endemicamente sfavorevole. Spesso, questo ha significato anche vendersi a potenze e giochi stranieri che non sono certo dettati da progetti etici ed eco-solidali.

Il Paese da tempo non conosce stabilità politica, legato com’è alle vicende di due partiti, guidati da due donne, che hanno scandito la vita del Bangladesh nell’ultimo quarto di secolo. Si tratta del Bangladesh nationalist party (Bnp) di Khaleda Zia, all’opposizione, e l'Awami league  di Sheikh Hasina, fino ad oggi primo ministro, ovviamente riconfermata per un nuovo mandato. La campagna elettorale è stata burrascosa e violenta. Un bilancio stilato dall’agenzia Fides dà cifre impressionanti. Nel 2013 si sono verificate violenze di tutti i tipi, conflitti e abusi sui diritti umani. Oltre 500 persone sono state uccise per motivi politici a causa della violenta lotta di potere, scandita da scioperi e manifestazioni spesso domate dalla polizia o dall’esercito con brutalità. A farne le spese è spesso stata la gente comune.

Oltre alla violenza, si è evidenziato il problema dello sfruttamento del lavoro, che chiama in causa anche grandi multinazionali occidentali: «Ci sono oltre 2,8 milioni di lavoratori, uomini e donne, in circa 5 mila fabbriche – ha rimarcato Rosaline Costa, cattolica, attivista per i diritti umani e collaboratrice della Commissione “Giustizia e pace” dei vescovi del Bangladesh, direttrice della “Hotline human rights trust” –. Questa gente lavora per lunghe ore con i salari più bassi di qualsiasi altro Paese. La maggior parte dei proprietari delle fabbriche non permette ai lavoratori di avere un sindacato. A causa della scarse ispezioni, si verificano incendi devastanti e mortali. Nel 2013 oltre 100 persone sono rimaste soffocate o arse vive. Inoltre il crollo di un edificio di nove piani, il 24 aprile 2013, ha ucciso 1.113 lavoratori e ne ha feriti oltre 3 mila. La maggior parte delle famiglie dei defunti aspetta ancora risarcimenti. Vi è stata una forte pressione, interna e internazionale, per riforme immediate, poi cadute nel vuoto. E finora nessuno dei cinque proprietari dell'edificio è stato punito per negligenza».

Un altro aspetto molto problematico è quello legato ai processi per crimini di guerra, compiuti al tempo del conflitto per l’indipendenza, che risale ai primissimi anni Settanta. Un tribunale speciale ha condannato il leader islamico Salahuddin Quader Chowdhury, oggi capo dell’opposizione. «Molti partiti politici estremisti islamici – spiega Costa a Fides – hanno inscenato molte manifestazioni, con blocchi, sequestri, violenze che hanno colpito persone innocenti: il tragico bilancio vede oltre 100 persone uccise in violenze per motivi politici durante il 2013». Le conseguenze sono devastanti per l’intera società. Per esempio, migliaia di studenti di ogni ordine d’istruzione rischiano di perdere l’anno scolastico, con conseguenze incalcolabili sul loro futuro e, ovviamente, per quello della nazione.

Ma negli ultimi tempi sono cresciute anche le preoccupazioni per le varie minoranze etniche e religiose. Sono un po’ tutti a temere il momento che il Paese attraversa. Cristiani, buddhisti e indù temono per la loro sicurezza. Molti cristiani hanno boicottato il voto e lo stesso hanno fatto gli indù e i buddhisti. A intimorire le persone sono le continue minacce del partito di opposizione. E molti erano ormai convinti che la consultazione elettorale fosse un semplice spettacolo del partito unico, che con la sua politica rende inutile esercitare il diritto di voto. L’opposizione ha scelto la linea dura con scioperi a oltranza che, oltre alla tensione sociale, hanno reso una situazione economica già precaria ancor più problematica. Molti affermano che il Paese, negli ultimi quarant’anni, cioè dall’indipendenza, non aveva mai conosciuto una tale incertezza e tensione sociale. Le tensioni sono cresciute dopo che il leader dell'opposizione Khaleda Zia ha respinto un'offerta del premier Hasina di aderire al comitato per il controllo del voto formato da tutti i partiti. Khaleda Zia, moglie di Ziaur Rahman, settimo presidente del Bangladesh, ucciso nel 1981, da anni ha ingaggiato una battaglia personale con l’attuale primo ministro Sheikh Hasina, figlia di Sheikh Mujibur Rahman, primo presidente del Paese, considerato il padre della patria.

Come in India (con la famiglia Nehru-Gandhi), in Pakistan (con i Bhutto) e in Sri Lanka (con i Bandaranaike) anche il Bangladesh mantiene la tradizione del family raj, la continuità politica attraverso una sorta di successione all’interno di famiglie legate alla vita politica dei rispettivi Paesi.

Le elezioni hanno visto ulteriori scene di violenza: scontri e attentati in cui hanno perso la vita una ventina di persone, seggi devastati. Il grande timore delle minoranze etnico-religiose è che ora il potere sia preso da estremisti islamici, oggi rappresentanti dal Bangladesh national party. Il Bangladesh è invece nato come un Paese laico nel 1972 e dopo una lunga dittatura protrattasi dal '75 al '91 i due partiti maggiori si sono accordati sulla pace. Tuttavia, dopo momenti di una certa stabilità negli ultimi due anni hanno avuto luogo contrasti tra estremismo islamico e governo nazionale, a causa soprattutto di infiltrazione di fondamentalisti dai Paesi arabi, ovviamente finanziati anche dall’estero. La situazione si è ulteriormente aggravata dopo lo scoppio di una bomba in una mosche nell’ottobre scorso. Il futuro è molto nebuloso per questo grande Paese.

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons