Elezioni comunali, vince il Pd di Letta
Roma e Torino, nelle elezioni comunali di ottobre 2021, tornano al centro sinistra dopo la parentesi pentastellata. È il segnale di una tendenza elettorale diffusa a livello nazionale nonostante la scarsa affluenza alle urne. L’antica capitale sabauda e quella odierna palesano in particolare la crisi del voto delle periferie ma confermano la resistenza di una struttura di partito che il Pd di Letta riesce ad esprimere nonostante scissioni e crisi di identità.
Il dato più significativo arriva da Varese, storica roccaforte della Lega che conferma il sindaco dem, e da Latina dove Damiano Coletta, esponente di una coalizione larga che ha ristabilito il rapporto con un Pd segnato da ferite interne, ribalta il risultato del primo turno che faceva presumere la riconquista della città simbolo della bonifica pontina da parte della destra.
Anche nella sempre splendida e inquieta Trieste, teatro di accesi scontri sul porto per la questione green pass, il candidato del Pd ha recuperato forti consensi al ballottaggio del 17 e 18 ottobre, vinto comunque da Roberto Dipiazza, che resta sindaco confermando una postura moderata ad una coalizione dove il maggior consenso è andato alla lista di Fratelli d’Italia, ma nell’opposizione è anche significativa una presenza di sinistra oltre il Pd che, ad esempio, è elettoralmente scomparsa a Roma.
La conquista del Campidoglio da parte di Gualtieri, nonostante il 60% conquistato nel ballottaggio, è rimasta incerta nelle previsioni fino all’ultimo. Una vittoria festeggiata ritualmente nello slargo di Santi Apostoli, vicino piazza Venezia, e che sembra trainata dalla grande manifestazione nazionale antifascista indetta dai sindacati confederali il 16 ottobre, vigilia delle elezioni, in una piazza San Giovanni anch’essa riconquistata simbolicamente dopo le precedenti massicce manifestazioni del M5S che a Roma ha comunque retto confermando all’ex sindaca Virginia Raggi il 19% dei voti al primo turno.
Dopo l’epilogo amaro della sindacatura di Ignazio Marino, sfiduciato dal suo partito con un atto notarile, il Pd romano dovrebbe aver imparato la lezione e lasciare il nuovo primo cittadino libero di agire senza condizionamenti esterni, sapendo molto bene che il governo della metropoli capitolina è un compito difficilissimo ma destinato ad incidere sulle elezioni nazionali fissate per il 2023, salvo imprevisti.
Poteva essere il banco di prova per la leadership di Giorgia Meloni, che, esponendosi direttamente, avrebbe raccolto un largo consenso con i sondaggi che premiano la crescita del suo partito, ma la scelta di Enrico Michetti ha offerto un profilo di minore attrazione, con Salvini che a Roma ha fatto propaganda puntando molto sulla sua visibilità personale e della Lega in una competizione per la supremazia interna in una coalizione che si presenta apparentemente unita nella duplice veste “di lotta e di governo”.
Il nuovo sindaco di Roma è stato fedele alla disciplina di partito che lo ha messo in campo come seconda scelta al posto di Nicola Zingaretti, che resta a capo della Regione, suo storico amico e compagno della Fgci (Federazione dei giovani comunisti) romana assieme al leader Goffredo Bettini, il quale, pur non rivestendo un ruolo formale, resta molto ascoltato relativamente alle strategie da seguire. Prima fra tutte quella di non disprezzare ma riconquistare un rapporto con chi ha votato 5 Stelle proprio in contrasto e polemica contro il Pd.
Gualtieri si è impegnato a ripulire la Capitale in senso letterale e cioè a partire dalla massa dei rifiuti che l’assediano. Non può certo riposarsi o andare in vacanza ma deve mettere in campo tutte le sue competenze di parlamentare europeo ed ex ministro per scegliere bene gli assessori e capire come far funzionare una macchina complessa e piena di trappole come è, di fatto, l’amministrazione capitolina.
Il modo migliore sarebbe quello di spostare il baricentro della propria presenza, a rotazione, tra le diverse città che compongono la metropoli, senza perdere cioè il contatto con quelle periferie che i candidati hanno frequentato in campagna elettorale. È significativo in tal senso che il VI Municipio, quello di Tor Bella Monica, sarà l’unico con un presidente di destra che ha vinto il ballottaggio con quello dei Cinquestelle, con i dem fuori partita nel quartiere ideato dalla giunta Petroselli.
Tra le liste che hanno sostenuto il neo sindaco di Roma ci sono due formazioni di sinistra, con noti esponenti di alcuni centri sociali e basse percentuali di consenso (intorno al 2%), e quella di Demos, notoriamente nata da alcuni esponenti di primo piano della comunità di Sant’Egidio, molto attiva e presente in città nel campo sociale, che non ha raggiunto l’1% dei voti e che esprimerà presumibilmente un assessore.
Un dato che fa riflettere anche in funzione della identità del Pd che dovrebbe essere ridisegnata dalle agorà tematiche promosse dal segretario Enrico Letta, con figure di garanzia quali l’economista Carlo Cottarelli e lo storico Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio.
La formazione della nuova giunta capitolina, a partire dalla scelta della vicesindaco, offrirà un quadro delle alleanze di fatto che si verranno a stringere con l’area 5 stelle, presente in Regione Lazio con l’assessora Roberta Lombardi, e con quella di Carlo Calenda che con il successo della sua lista romana (quasi il 20% al primo turno) può lanciarsi a livello nazionale per esprimere una realtà che parte da alcuni settori critici interni al Pd fino ai renziani di Italia Viva e ai radicali di Bonino e Magi.