Elena al terzo miglio, un’imperatrice santa
Sono numerose, a Roma, le testimonianze su Elena, la madre dell’imperatore Costantino venerata come santa dalla Chiesa cattolica e da quella ortodossa. A differenza del figlio, che all’Urbe preferì la città da lui fondata sulle rive del Bosforo, Elena non si allontanò se non per qualche periodo dal Sessorium, il suo palazzo romano presso Porta Maggiore, venendo poi sepolta al terzo miglio della via Labicana nella proprietà imperiale detta “Ad duas lauros” (Ai due allori).
Quasi per graduale avvicinamento al personaggio, prima tappa di questo itinerario che si concluderà nel suo mausoleo, tornato visitabile dopo lunghi restauri, è la chiesa dedicata a Sant’Elena imperatrice sulla via Casilina, nella storica zona del Pigneto. Voluta da Pio X a ricordo del 1600° anniversario dell’editto di Milano del 313 col quale gli imperatori Costantino e Licinio riconobbero la legittimità, all’interno dell’impero, della religione cristiana, l’edificio venne aperto al culto nel 1914. A breve distanza dalla chiesa, una croce in travertino sul muro di cinta ferroviario ricorda il parroco Raffaele Melis, rimasto ucciso durante il bombardamento anglo-americano del 13 agosto 1943, che colpì il trenino, pieno di reduci dall’Africa, dell’allora ferrovia Roma-Fiuggi-Alatri-Frosinone: andato in soccorso ai feriti, padre Melis fu trovato cadavere con una mano che stringeva ancora l’ampolla dell’olio santo e con l’altra ferma nell’atto dell’assoluzione.
Sant’Elena imperatrice. Su questa donna originaria della Bitinia e di umile condizione (sembra fosse figlia di un locandiere) le notizie certe si mescolano a leggende che hanno ispirato tante raffigurazioni artistiche. Sappiamo che iniziò la sua ascesa sociale sposando l’ufficiale illirico Gaio Flavio Valerio Costanzo, unione dalla quale nacque Costantino. E che, ripudiata da Costanzo quando questi fu scelto a governare da tetrarca la parte occidentale dell’Impero, scomparve di scena. Vi ritornò quando, asceso il figlio al trono imperiale, dalla sede di Treviri venne richiamata a corte, madre venerata e da lui onorata col titolo più alto al quale potesse aspirare una donna: quello di “augusta”. Flavia Giulia Elena (così ora il suo nome) possedette a Roma grandi beni presso il Laterano, come quel Sessorium che si collegava ad altre proprietà nel suburbio orientale, compresa quella “Ad duas lauros”.
Riguardo alla sua conversione al cristianesimo, non è dato sapere. Probabilmente fu lei a favorire quella del figlio, battezzato nel 337 in punto di morte, a Costantinopoli, dal vescovo ariano Eusebio di Nicomedia. Nel corso della sua vita Elena diede prova di coerenza nell’attuare le virtù cristiane e fu generosa verso i poveri, che spesso serviva con le proprie mani; numerosi i prigionieri e i condannati ai lavori forzati da lei salvati. Quando nel 326 la famiglia imperiale fu sconvolta dalle uccisioni del nipote Crispo e della nuora Fausta, ordinate da Costantino, l’ormai anziana Elena si allontanò dagli intrighi di corte recandosi in pellegrinaggio penitenziale in Palestina, per onorare i luoghi dove si era svolta la vita terrena di Cristo. A questo soggiorno si fanno risalire la costruzione, in Terra Santa, di alcuni edifici di culto nonché la scoperta del Santo Sepolcro e il recupero delle reliquie della croce, in parte ora custodite nella basilica romana di Santa Croce in Gerusalemme. Quanto alla data della sua morte, dovette avvenire al ritorno da quel viaggio, nel 328 o nel 329: verosimilmente a Treviri, nella Gallia Belgica, oggi in Germania e all’epoca residenza di Costantino.
Elena fu la prima della sua famiglia ad essere tumulata al terzo miglio della via Labicana, presso la basilica dei Santi Marcellino e Pietro eretta dal figlio tra il 315 e il 326 d.C. sulla catacomba dove erano stati sepolti il presbitero e l’esorcista martirizzati nel 303. Di questo cimitero, celebre per il suo ciclo di affreschi di epoca paleocristiana, ho scritto anni fa in occasione della sua apertura al pubblico. Né posso dimenticare la visita ad esso con la guida competente e gentile della professoressa Angela Di Curzio. Stavolta però la meta è il riaperto mausoleo di Elena, unico resto visibile della basilica costantiniana nell’estremo lembo sud-est del parco urbano di Villa De Sanctis.
Sul bus 105, lungo la Casilina il cui tracciato coincide, in questo tratto, con l’antica via Labicana che collegava Roma ai Colli Tuscolani, sto attraversando uno tra i più popolosi quartieri romani, Tor Pignattara, così chiamato dal sepolcro cilindrico dell’imperatrice (la “torre”) e dalle anfore olearie (le “pignatte”) con le quali i geniali architetti romani avevano alleggerito, annegandole nel conglomerato cementizio, la sovrastante cupola: anfore tuttora visibili nell’imposta della volta crollata. Scendo alla fermata più vicina alla moderna parrocchia dei Santi Marcellino e Pietro, accanto alla quale si apre l’ingresso del sito archeologico. Alla fine di un viale fiancheggiato da due allori in omaggio al toponimo, l’imponente muraglione in laterizio del mausoleo eleniano lascia vedere, attraverso un arco, la chiesetta rurale e l’annessa canonica sorte nel XVII secolo al suo interno: entrambe oggi sede di un Antiquarium con reperti della catacomba cristiana e della necropoli pagana degli Equites singulares (la guardia a cavallo dell’imperatore), insieme a testimonianze sulla frequentazione del complesso tra età medievale e moderna. Non manca un plastico ricostruttivo che permette di apprezzare l’aspetto originario e la sontuosa decorazione di questo monumento divenuto per secoli cava di materiali preziosi e da costruzione.
Emblema di tanto lusso e potere è il colossale sarcofago di Elena in porfido rosso egiziano. Probabilmente realizzato per Costantino, in origine, a motivo delle raffigurazioni scolpite (scene di battaglia e vittoria di cavalieri romani su barbari, poco adatte all’imperatrice madre), venne destinato all’augusta in seguito allo spostamento della corte a Costantinopoli e alla decisione dell’imperatore di farsi seppellire colà.
A Roma, però, le spoglie di Elena rimasero appena due anni: il figlio, infatti, le volle con sé nella nuova capitale sul Bosforo; dopo di che esistono varie versioni sulla loro sorte. Quanto al sarcofago, esso rimase al suo posto nel mausoleo “al terzo miglio” fino al pontificato di Innocenzo II (1130-1143). Ma la sua profanazione dovuta a mani sacrileghe ne determinò il trasferimento, prima nella chiesa dell’Aracoeli in Campidoglio, poi nella basilica del Laterano, dove ospitò il corpo di papa Anastasio V (1153-1154). Fu Pio VI (1775-1799) a restituirlo alla memoria di sant’Elena, a farlo restaurare e trasportare nei Musei Vaticani, dove ora fronteggia il sarcofago “gemello” di Costanza, la figlia di Costantino morta nel 354 e sepolta sulla via Nomentana in un mausoleo cilindrico simile a quello della nonna.