Elea, la città dei filosofi
Ancora poco nota, è uno dei tesori dell'antica Magna Grecia.
Tra i siti più affascinanti della Magna Grecia, sulle coste del Cilento e a pochi chilometri da Paestum, è l’ancor poco nota Elea (o Velia, per citare il nome latino). A fondarla, secondo Strabone, furono – intorno al 540 a.C. – degli esuli venuti da Focea, città dell’Asia Minore caduta in mano ai persiani, dopo infinite peripezie. Dotata di due porti, la nuova città venne a trovarsi in posizione invidiabile, al centro degli intensi traffici che si svolgevano tra i greci di Reggio e l’Etruria. Nel corso dei secoli essa riuscì sia a evitare l’occupazione dei lucani sia a destreggiarsi indenne tra le vicende piuttosto movimentate della Magna Grecia. Solo nell’88 a.C. perse la sua autonomia, diventando un municipio romano.
Ma la fama di Elea è affidata soprattutto alla scuola di pensiero che vi fiorì per impulso dei suoi due più illustri cittadini: Parmenide e Zenone, di cui il primo, medico oltre che filosofo, governò anche la città e fu artefice della sua costituzione politica. Elea conservò la sua caratteristica di città greca per cultura, tradizione e lingua fino ai tempi dì Cicerone; e almeno fino al 62 d. C. fu attiva in essa una scuola medica che si rifaceva agli inse-gnamenti di Parmenide. Il declino economico, invece, fu lento ma inarrestabile: causa le nuove vie commerciali e militari che collegarono Roma direttamente all’Oriente, attraverso l’Adriatico, come pure il progressivo interramento dei suoi porti. Negli ultimi secoli dell’impero, Elea era ormai ridotta ad un misero villaggio di pescatori; pure, sopravvisse fino al IX secolo, allorché i suoi abitanti, per sfuggire alla malaria e alle incursioni saracene, emigrarono altrove. Perso di essa perfino il ricordo del sito, venne identificata soltanto agli inizi del secolo scorso.
Ora, da qualche decennio, lo scavo sistematico ne va riscoprendo la fisionomia urbana, costituita da un quartiere meridionale e da uno settentrionale, separati da una collina; e dall’acropoli, su un promontorio che in antico si ergeva sul mare come una prua rocciosa, mentre oggi, per l’avanzata della linea costiera, è circondato da una piana. Elea oggi silenziosa sorprende per l’elegante bugnato di certe mura, il particolare lastricato delle strade, i mattoni costruiti con una tecnica speciale che si ritrova solo qui, quasi a indicare che il popolo che l’abitò venne da altrove. La via in salita dall’agorà conduce, attraverso la Porta Rosa – il più splendido monumento di architettura civile della Magna Grecia –, su su fino all’acropoli, dove sui resti di un tempio dedicato forse ad Atena s’innesta una torre medievale. E qui è d’obbligo una sosta, per godersi la bellezza del panorama e, perché no?, lasciarsi andare a qualche fantasticheria fìlosofica. Questo Tirreno, ad esempio, con l’avvicendarsi continuo delle sue onde, potrebbe ben rappresentare il perpetuo divenire di tutte le cose sostenuto da Eraclito e dai suoi discepoli. Viceversa, per Parmenide e gli altri eleati unicamente reale, assoluto, universale, immutabile ed eterno era il mondo divino; per cui al di là del mondo fisico, molteplice e ingannevole, affermarono l’immobilità e l’unicità dell’essere. Questi sottolinearono l’uno, quelli il molteplice. Due aspetti della stessa verità.