El Greco a Roma
El Greco è sempre El Greco. Misterioso, acuto, penetrante. Domìnikos Theotokòpoulos, come si chiamava, residente a Toledo per quasi tutta la vita fino alla morte nel 1610 è uno di quei geni dell’arte per cui gli aggettivi sembrano superflui, tanto è grande e “impossibile”.
Autore quasi esclusivamente di soggetti religiosi – tranne alcuni acutissimi ritratti “epifanici” – è dentro e fuori dal suo tempo. Si riconoscono in lui varie influenze: le icone bizantine, Tintoretto e Tiziano, Michelangelo e i manieristi -, ma lui è unico, originalissimo. Nervoso nella luce elettrica che allunga le forme, esalta i volti pallidi, “dice” le emozioni e fa vibrare i colori mentali dati a folgoranti pennellate che ci fanno sussultare.
Bisogna entrare nella chiesa in Piazza Navona, fermarsi davanti alle tele esposte a cura del Dicastero vaticano per l’Evangelizzazione in vista del Giubileo del 2025 e lasciarle parlare (prima di fotografarle).
La prima tela è la Madonna con il Bambino, sant’Anna e san Giuseppe, un soggetto familiare all’epoca, che arriva da Toledo, dall’Hospital de Tavera. E’ del 1595, fase matura della carriera dell’artista. Sullo sfondo di un cielo rannuvolato, spiccano le figure: la Vergine allattante, Anna che benedice il piccolo, Giuseppe rispettoso.
Volti lunghi, molto spagnoli, colori tra il rosso, i l rosa acceso, il giallo: essenziali, e raffinati. Maria è una di quelle bellezze locali che El Greco sublima in immagine di purezza sottile e affettuosa, divina e umana. C’è calore, affetto, una tenerezza e una discrezione commoventi.
Dallo stesso luogo arriva per la prima volta in Italia Il Battesimo di Cristo, una delle diverse versioni del soggetto. La scena è un turbine soprannaturale, uno sconvolgimento dato dalla irruzione del divino sulla terra.
Il Padre candido in alto tra nugoli di angeli piccoli e grandi con ali di rondini gigantesche, la Colomba che sfreccia, il Cristo forte e delicato costruito da un chiaroscuro morbido, il Battista in ombra e i tre angeli in basso rapiti nell’estasi come quello in verde che alza la mano al cielo: è una elettrizzante epifania.
C’è una fibrillazione spirituale che invade ogni angolo della tela, acutizza le tinte in un notturno dove lo Spirito muove tutto. Una visione mistica di un fatto” trinitario” nei giorni in cui a Toledo stavano Teresa d’Avila e Giovanni della Croce.
Ed infine, il Cristo portacroce del 1595 circa. Una di quelle immagini del Greco da cui non ci si riesce a staccare, tanto sono vere, vive, parlanti. Il legno è leggero, “soave”, Gesù ha occhi luminosi e rugiadosi bellissimi, veste di blu scuro e di rosso acceso su uno sfondo vago e tempestoso. Cristo avanza rivolto al Padre, e noi con lui, sulla via della vita, di un dolore portato con forza e addirittura con leggerezza.
Arte e religione insieme in un discorso semplice ma pure misterioso perchè il divino non si può imprigionare, come ci dice El Greco con il suo teatro sacro pieno di luce. Un’arte che è vera trasfigurazione della fede e del sentimento in una dimensione “altra” che ci attira e ci sconcerta.
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