Eid al-Fitr, la festa musulmana per la pace

Oltre un miliardo e mezzo di persone nel mondo ha festeggiato la celebrazione della conclusione del mese di digiuno, che può leggermente variare a seconda dei Paesi nei vari continenti. Il messaggio del papa
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È un momento importante non solo per coloro che seguono la fede musulmana in Paesi dove l’Islam è maggioritario. I grandi processi migratori hanno diffuso questa religione in ogni angolo del pianeta e la celebrazione di Eid al-Fitr non può essere ignorata. In qualche modo coinvolge la società anche qui in Europa e da noi in Italia. Anche perché, oltre a essere una celebrazione religiosa, è un’occasione sociale di preghiera, ma anche di incontro e di rapporti fra le persone. La festa dell’Eid al-Fitr è una festa gioiosa, durante il quale i musulmani, dopo i sacrifici del mese di digiuno, rendono grazie a Dio per averli sostenuti nello sforzo.

Infatti, la festa si celebra fin dalla prima mattina con una preghiera comunitaria e successivamente con visite a parenti e amici. Si offrono e si scambiano doni e si gustano banchetti. Ma l’aspetto sociale tocca anche i meno fortunati. Infatti, è una giornata in cui si offrono elemosine ai poveri e si assolve in tal modo un altro pilastro dell’Islam, la zakat, ovvero l’obbligo dell’elemosina che spetta ai bisognosi. Il tutto è poi accompagnato da una miriade di dolci tipici che variano molto da Paese a Paese. Dal punto di vista sociale, poi, non deve essere sottovalutato un altro aspetto importante: è l’occasione, infatti, in cui tutti i fedeli sono incoraggiati a perdonare e a dimenticare tutte le differenze con gli altri o a lenire animosità o scontri o semplici screzi che possono aver avuto luogo durante l’anno. La si potrebbe veramente definire una festa della fraternità. Tutto questo ci aiuta a capire come possiamo condividere con vicini di casa, conoscenti o colleghi musulmani questo momento così importante per la loro fede e per la loro vita comunitaria.

A seconda dei Paesi, Eid al-Fitr è stato già celebrato a partire dalla giornata di martedì. Molto interessanti le notizie diffuse dall’agenzia AsiaNews sulla celebrazione avvenuta in Indonesia, il Paese con la popolazione musulmana più grande al mondo, circa duecento milioni. Io stesso, alcuni anni fa, mi ero trovato in quel Paese asiatico in occasione di questa celebrazione e avevo potuto vedere e sperimentare di persona il clima di fraternità e di condivisione che coinvolgeva tutta la popolazione al di là del credo professato. In effetti, in Indonesia, Eid al-Fitr è caratterizzato da una grande partecipazione pubblica alle cerimonie religiose nelle moschee. In alcune regioni del Paese, soprattutto sull’isola di Java, è tradizione che i musulmani aprano le proprie case a vicini, familiari e conoscenti per lo scambio di auguri.

Quest’anno, mons. Robertus Rubiyatmoko, arcivescovo di Semarang, si è recato in visita presso la Grande moschea del capoluogo di Central Java, insieme ad una delegazione della curia ed ha, prima, incontrato l’imam e, in un secondo momento, alcuni leader musulmani del luogo. L’imam è rimasto toccato dal gesto dei cristiani ed ha commentato: «Nel reciproco amore per la nazione, troviamo lo stesso Dio che ha creato tutti noi». Ad Ungaran, sempre nella provincia di Central Java, le suore delle Serve di Cristo hanno atteso che i vicini musulmani terminassero la preghiera del mattino per far loro gli auguri, distribuendo regali e dolci. Anche altri vescovi nelle molte isole dell’arcipelago indonesiano, spesso accompagnati da sacerdoti e suore, hanno fatto visita ad ufficiali governativi e autorità religiose locali. Nel Paese asiatico, gli auguri sono stati portati anche da rappresentanti delle altre tradizioni religiose: cristiani protestanti, buddisti e indù. Fra i cattolici si commentava che «durante le festività cattoliche i musulmani “moderati” ci sono sempre vicini. Dobbiamo favorire sempre più questo genere di attività».

La Grande moschea Istiqlal di Jakarta è da sempre considerata dagli indonesiani un simbolo di dialogo interreligioso, perché a costruirla è stato l’architetto cristiano Frederich Silaban nel 1978. L’allora presidente Sukarno ha voluto che la moschea sorgesse nei pressi della cattedrale dell’Assunzione e dell’Immanuel Church protestante, a rappresentare l’armonia religiosa e la tolleranza. Mons. Ignatius Suharyo Hardjoatmodjo, arcivescovo della capitale, ha perciò messo il parcheggio della cattedrale a disposizione dei fedeli che si recavano in moschea per la preghiera. Questi esempi di fraternità nel Paese musulmano più grande del mondo sono incoraggianti, soprattutto in unperiodo caratterizzato da molte tensioni sia prima che dopo le elezioni per le quali si è ancora in attesa di un verdetto definitivo, che confermi la vittoria del candidato che esprime una posizione di Islam moderato a fronte di una fazione più coinvolta in espressioni tipiche di carattere wahhabita.

Infine, un cenno al messaggio che, anche quest’anno, il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso ha inviato ai musulmani del mondo a nome di papa Francesco. Nel testo a firma di mons. Miguel Ayuso Guixot, recentemente nominato dal pontefice presidente dell’organo della Santa Sede per i rapporti con fedeli di altre religioni, si ricordano brani importanti del Documento sulla Fratellanza Umana per la pace mondiale e la convivenza comune, sottoscritto da Francesco e dall’imam al-Tayyeb ad Abu Dhabi nel febbraio scorso.

In particolare si ricorda che «le nostre religioni ci invitano a restare ancorati ai valori della pace; a sostenere i valori della reciproca conoscenza, della fratellanza umana e della convivenza comune; a ristabilire la saggezza, la giustizia e la carità». Si auspica che possa crescere l’apertura reciproca fra fedeli cristiani e musulmani e che, in tal modo, si possano «abbattere i muri alzati dalla paura e dall’ignoranza», impegnandosi a costruire ponti di amicizia, elemento fondamentale per il bene di tutta l’umanità.

Il documento si augura che tale messaggio possa penetrare all’interno delle «nostre famiglie e nelle nostre istituzioni politiche, civili e religiose», portando così un nuovo modo di vivere in cui la violenza viene rigettata e la persona umana rispettata. Infine, la Santa Sede si augura che si possa «continuare a portare avanti la cultura del dialogo come mezzo di cooperazione e come metodo per accrescere la conoscenza reciproca». Importante, a questo proposito la sottolineatura della triplice raccomandazione di Francesco riguardo a un dialogo chiaro e senza compromessi: il dovere dell’identità, il coraggio dell’alterità e la sincerità delle intenzioni.

È in questo spirito che possiamo contribuire insieme a musulmani che si trovano sul nostro territorio a costruire un tessuto sociale che miri veramente al bene comune delle nostre comunità civili e sociali. I musulmani non sono rivali o minacce da cui difendersi ma cittadini, partner per creare delle società organiche che seguono l’evolversi della storia che, sebbene maestra di vita, non si ripete mai, ma che ci insegna, come spesso ripete papa Francesco, che i muri non servono a difendere le identità, ma solo a creare divisione.

 

 

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