Egitto, permane l’incertezza

Dopo gli scontri tra esercito e cristiani copti reperire informazioni rimane difficile. A colloquio con il nostro corrispondente al Cairo
scontri in egitto dopo strage cristiani

Le notizie in arrivo dall’Egitto continuano ad essere contraddittorie: sui giornali si leggono titoli quali “Giallo sulle dimissioni di Sharaf” – in quanto non è chiaro se il primo ministro abbia davvero rimesso i suoi poteri, né se la rinuncia alla carica sia stata accettata – e “Esodo di centomila cristiani”, salvo precisare – come ha fatto lo stesso ministro Frattini – che non c’è certezza sulle cifre. Anche il nostro corrispondente al Cairo, infatti, ammette che la situazione è poco chiara perfino a chi è sul posto: «Gli organi di Stato stanno facendo sì che l’informazione non passi – riferisce –, tanto che è stato impedito agli operatori televisivi di filmare quanto accaduto, e sui giornali sono comparse solo poche righe. E questo è estremamente grave».

 

L’unica cosa certa è lo shock della popolazione, e un vuoto di potere governativo che rende la vita più facile a chi intende creare disordini: «Nel quartiere dove sono avvenuti gli scontri le scuole sono chiuse, e la gente ha paura: finora ad accanirsi sui cristiani erano perlopiù gruppi estremisti, ma adesso ho avuto notizia di tre persone picchiate da gente comune. E persino l’esercito, quindi lo Stato, ha sparato contro i copti».

 

Riguardo all’opinione largamente condivisa che una manifestazione inizialmente pacifica sia degenerata solo per opera di un gruppo di provocatori, il nostro corrispondente ritiene che ciò sia possibile in quanto «potrebbe essere una manovra per rimandare le elezioni, o comunque per distogliere l’attenzione dal vuoto di potere che si è creato. Ma anche se così fosse, la reazione dell’esercito non è giustificabile: otto persone sono state schiacciate sotto i carri armati, ne ho avuto un riscontro diretto». In quanto alle dimissioni di Sharaf e del vice ministro degli Esteri, pare che non siano state ancora accettate, e che probabilmente mai lo saranno.

 

L’esodo di cristiani invece è una triste certezza, per quanto la cifra di 100 mila persone sia senza dubbio sovrastimata: «Fuggono soprattutto verso il Canada, dove la politica di immigrazione è più favorevole. Molti ritengono che questo sia solo l’inizio, e che si vada verso una vera e propria persecuzione. Non c’è alcuna protezione per i cristiani, tanto che perfino il governatore di Assuan ha minimizzato la distruzione della chiesa dicendo che era stata costruita illegalmente». Anche i provvedimenti dello Stato in favore della libertà religiosa, come una legge sull’uguaglianza tra chiese e moschee, rimangono spesso solo promesse: «Dicono che verrà approvata entro due settimane, ma se ne parla da anni senza farne nulla».

 

La reazione della popolazione, comunque, non è solo violenza o paura, ma anche un rifiuto “attivo” di questo stato di cose: «Un mio amico che lavora in televisione ha lasciato il suo impiego, in forma di protesta verso il divieto di filmare questi eventi. È stato annunciato un digiuno di tre giorni per la pace, vengono celebrate tante messe e le chiese sono piene». Una dimostrazione che, nonostante tutto, i cristiani ci sono e non si scoraggiano.

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