Egitto, le continue scoperte di Saqqara
Le scoperte archeologiche in Egitto sono continue. È intuitivo, se si pensa che l’antica civiltà egizia si è sviluppata a partire dal 3.200-3.000 a.C. e che in oltre 5 mila anni l’Egitto non è mai stato in seconda fila nello sviluppo della civiltà, anche nei momenti più difficili della sua lunghissima storia. Ed è interessante considerare che le piramidi non sono solo dei monumenti straordinari, ma anche espressioni di una cultura che va ben oltre l’Egitto, non ultimo un modo di concepire la società e lo Stato.
Un concetto di Stato che fu inventato proprio in Egitto nel quarto millennio a.C. per regolare la gestione delle acque. Pare che già allora si litigasse per l’acqua del Nilo, un po’ come oggi per la diga di Hidase, la Grand Ethiopian Renaissance Dam.
Ma torniamo alle piramidi: in Egitto non ci sono solo le 3 notissime piramidi di Giza. Anzi, quando Khufu (che noi chiamiamo Cheope), faraone della quarta dinastia, fece innalzare la sua incredibile tomba intorno al 2580 a.C., era passato quasi un secolo dalla costruzione della prima piramide, la più antica dell’Egitto, che si trovava nella necropoli reale di Inebu-Heg (muro bianco), alle porte dell’antica capitale Menfi. E che esiste ancora oggi, anzi è stata appena restaurata: si capisce che dopo 4.700 anni ne avesse bisogno. Si trova ad Al Badrashin, una trentina di chilometri a sud del Cairo, nel sito di Saqqara: è la cosiddetta piramide a gradoni di Djoser (faraone della terza dinastia, 5 faraoni prima di Cheope), progettata dal mitico scienziato e architetto Imhotep (2700-2630 a.C.), una sorta di Leonardo da Vinci dell’antichità.
Ma le tombe ritrovate nei mesi scorsi in Egitto si trovano sì, nella necropoli di Saqqara, ma si tratta di tombe antiche, non antichissime. Sono cioè datate all’epoca della ventiseiesima dinastia (tra il 672 e il 525 a.C. circa), oltre duemila anni dopo la costruzione della piramide di Djoser, accanto alla quale si trovano. Un cimitero molto prestigioso, o di grande significato, se persone dell’alta società del VII-VI secolo a.C. ci tenevano ad essere sepolte lì.
Ma cosa è stato ritrovato? Lo raccontava a ottobre scorso con una punta d’orgoglio, il Segretario generale del Consiglio supremo delle Antichità egiziane, Mostafa Waziri: «La missione ha iniziato i lavori di scavo lo scorso agosto, quando sono state trovate 13 bare, e con il proseguimento degli scavi, gli archeologi hanno scoperto altre 14 bare, fino a quando il numero di bare è arrivato a 59. Trovate anche 28 statue in legno del dio Ptah Sokar, che è il dio principale della necropoli di Saqqara, oltre a un gran numero di statue e amuleti ushabti in maiolica (statuine rituali), nonché una statua in bronzo del dio Nefertum, adorato a Menfi… La statuetta, intarsiata con pietre preziose, come agata rossa, turchese e azzurro, è alta 35 cm, e sulla base c’è un’iscrizione che porta il nome del suo proprietario, il sacerdote Badi-Amon”» Senonché, a novembre, poco più di un mese dopo il primo annuncio, ce n’è stato un secondo, sempre relativo al sito di Saqqara: ritrovate altre 100 tombe, moltissime intatte dopo più di 2.500 anni, con mummie, sarcofagi e oltre 40 statue (alcune dorate), 20 cassette di legno e moltissimi oggetti legati al culto dei morti. Risalgono a diverse dinastie fra il VI e il IV secolo a.C., alcune all’ultima dinastia, quella dei Tolomei (IV-I secolo a.C.), alla quale apparteneva la regina Cleopatra.
Quindi, in attesa che venga inaugurato il nuovo Grand Egyptian Museum, a Giza, in occasione del centenario della scoperta della tomba di Tutankhamon (1922-2022), dove i nuovi reperti verranno collocati; e in attesa che passi la pandemia di Covid-19 e che magari nel frattempo venga anche liberato Patrick Zaki, mi viene in mente una considerazione collaterale, che riprende il motivo per cui molte personalità egizie al tempo della XXVI dinastia ci tenevano ad essere sepolte nella necropoli di Saqqara, accanto alla bimillenaria (all’epoca) piramide di Djoser. Mi piace pensare che fosse un’affermazione di identità e di orgoglio egizio: nel VII-VI sec. a.C., infatti, l’Egitto dei faraoni non se la passava troppo bene, conquistato e controllato dagli Assiri di Assaradon e di Assurbanipal, e più tardi invaso dal mitico re babilonese Nabucodonosor II, il conquistatore di Gerusalemme nel 597 a.C., colui che deportò a Babilonia gli ebrei (che ispireranno il Nabucco di Giuseppe Verdi quasi 2.500 anni dopo).
L’Egitto politicamente non si riprese più, perché dopo Assiri e Babilonesi arrivarono i Persiani, poi i Macedoni, seguiti dai Romani, ecc. Ma la necropoli di Saqqara continuerà paradossalmente a rappresentere per secoli l’identità egizia dei grandi faraoni. E noi ancora oggi ammiriamo una grande civiltà che con la sua cultura millenaria continua a stupirci e ad affascinarci.