Egitto in balia di violenza e incertezza

Dalle ultime notizie sembra che l'esercito abbia sparato sui manifestanti pro Morsi uccidendone 47, ma le fonti sono frammentarie perchè qualcuno le imputa agli stessi manifestanti. Chiuse anche alcune tv e resta l’incertezza sul premier ad interim. No ad El Baradei. Sono ripresi già dallo scorso mercoledì gli attacchi ai cristiani
L'esercito presidia piazza Tahrir.

«Quello che, da alcuni, viene definito un colpo di Stato democratico o una destituzione, per altri è ancora un colpo di Stato militare, ma di certo si tratta di un fenomeno che entrerà nei libri di storia dell’Egitto (e non solo) e che nessun analista politico o sociale poteva prevedere». Si esprimono in questi termini alcuni amici di Città Nuova che stanno seguendo da vicino le vicende nella capitale, in Alto Egitto e ad Alessandria. Si sono vissuti giorni di straordinaria intensità: per strada, nelle piazze milioni e milioni di egiziani hanno protestato pacificamente, sul modello di quella disobbedienza non violenta propugnata
da Gandhi nella marcia per il sale.

«Gli egiziani hanno voluto esprimere chiaramente il dissenso verso un partito che li ha privati della rivoluzione e che ha voluto appropriarsi delle istituzioni e dei posti chiave del governo per imporre una Costituzione di matrice islamica che non assicura i diritti fondamentali della persona e non esprime le aspirazioni della maggioranza della popolazione». La decisione di destituire Morsi, secondo questi osservatori privilegiati è stata presa dall’esercito, ma in piena sintonia con quanto chiedeva la piazza.

Eppure da venerdì il sangue è tornato a imbrattare queste stesse strade e la violenza contro la comunità cristiana ha continuato a consumarsi lontano dai riflettori dei grandi media e dal Cairo. Tra mercoledì e giovedì alcuni gruppi islamisti sotto diverse sigle di battaglia hanno dato fuoco ad alcune chiese nel governatorato di Minia, di Assiut, mentre 23 case di copti sono state bruciate a Luxor, uccidendo vari cristiani, come confermano anche alcuni organi di stampa locali. Episodi gravi legati chiaramente alla destituzione di Morsi. Per proteggere i fedeli da ulteriori violenze la Chiesa copta ha sospeso non
solo tutte le attività di preghiera e liturgia del venerdi, sbarrando le porte delle chiese, ma ha anche dovuto cancellare tanti ritiri e congressi spirituali in tutto il Paese finché non si calma la situazione.

L’ex presidente Morsi, anche dagli arresti domiciliari, continua a restare fermo sulle sue opinioni e non ha voluto in alcun modo venir incontro alle richieste della piazza, anzi nel suo ultimo discorso pubblico ha pronunciato per ben 130 volte la parola legalità, per dire: «Io sono il presidente legittimo». C’è questa visione intransigente dietro il venerdi del “rigetto”, la
manifestazione voluta dai Fratelli musulmani per ribadire l’appoggio incondizionato a Morsi e per ottenerne la liberazione. Le proteste sono iniziate nel quartiere di Nasser City di fronte alla moschea di Rabaa el Adaweya, già in agitazione da diversi giorni. Qui il leader spirituale del movimento, Mohammed Badie, ha pronunciato un discorso infuocato ricordando
ai suoi seguaci di «essere dei soldati che devono riportare in carica il loro presidente». In questa piazza è nata l’idea di accerchiare la guardia repubblicana che vigilava su Morsi con conseguenze poi imprevedibili: scontri violenti e alcuni morti tra i Fratelli musulmani. Le battaglie più dure erano nelle strade di Alessandria con 14 morti e 200 feriti e la notte di venerdì a Tahrir con varie vittime.

Fioccano le accuse contro la polizia e l’esercito, rei di aver sparato sui manifestanti, mentre in realtà hanno cercato di mantenere la calma e l’ordine tra i sostenitori dell’ex presidente e gli oppositori ora asserragliati nella spianata antistante la moschea di Rabaa el Adaweya. Il tribunale ha aperto un’inchiesta su alcuni leader dei Fratelli musulmani,
già indagati per i fatti di sangue risalenti alla prima rivoluzione nel novembre 2011 e che ora sembra abbiano parte della responsabilità anche sugli ultimi atti di violenza.

Intanto sono state prese alcune misure straordinarie da mercoledì sera: la chiusura momentanea di Misr 25, il canale dei Fratelli musulmani e di due canali di Al Jazeera proprio per evitare che i media aizzassero un bagno di sangue inutile. Intanto nel nord del Sinai l’esercito ha chiuso il varco di Rafa che collega l’Egitto alla Striscia di Gaza, a seguito dei ripetuti attacchi con mitragliatrici e razzi ai posti di blocco, dove sono morti diversi militari. Ad Arich, sempre nello stesso territorio, un
gruppo islamista ha occupato il governatorato issando una propria bandiera e uccidendo dei poliziotti: è stato proclamato il coprifuoco in tutta la zona. Nonostante queste precauzioni è stato ucciso un sacerdote copto davanti la sua chiesa ad Arich.

Sembra che i Fratelli musulmani e altre forze islamiste usino ora come ultima carta da giocare quella di dar colpa ai copti di essersi schierati con le forze politiche e civili non islamiste e quindi contro il presidente Morsi. Non si possono spiegare diversamente i tanti attacchi simultanei in tutto il Paese. La polizia ha fermato anche combattenti provenienti dalla Palestina e dalla Siria che sparavano ad Alessandria sui manifestanti, così riferisce il giornale Masr el youm.

L’incertezza regna anche sul premier che dovrà governare questa fase di transizione. Smentito il nome di Mohamad El Baradei, il nobel per la pace inizialmente dato per certo. La sua figura è invisa alle fazioni islamiche per le sue aperture troppo occidentali. L’attuale presidente ad interim Adly Mansor invita tutti al dialogo e alla collaborazione, mentre diverse iniziative religiose, trasversali alle diverse fedi invitano alla preghiera e la digiuno per chiedere la pace.

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