Egitto, il gigante che affonda nella sabbia

Il recente viaggio in Egitto di Giorgia Meloni, secondo l’informazione generica vigente in Italia, è stato criticato dall’opposizione e osannato dalla maggioranza, senza preoccuparsi troppo del merito. Con il rispetto dovuto alle altre fonti di informazione, che pur ci sono. È doveroso guardare le cose un po’ più a fondo.
Leader europei al Cairo per il meeting Ue-Egitto con Al-Sisi che porterà ad elevare le relazioni al livello di partenariato globale e strategico, con uno stanziamento totale tra prestiti e sovvenzioni di 7,4 miliardi fino al 2027, 17 marzo 2024. A prendere parte al meeting, la premier Giorgia Meloni, assieme alla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, al premier belga Alexander De Croo, quello greco Kyriakos Mitsotakis, al cancelliere austriaco Karl Nehammer e al presidente cipriota, Nikos Christodoulidis. ANSA/ US/ PALAZZO CHIGI/ FILIPPO ATTILI

Il palco dei rapporti con l’Egitto si è finalmente allargato negli ultimi tempi. Ad incontrare il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, il 17 marzo, non c’era solo la premier italiana Giorgia Meloni, ma anche la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, con il presidente di turno del Consiglio Ue e primo ministro belga Alexander De Croo; e il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis, il cancelliere austriaco Karl Nehammer e il neo-presidente della repubblica cipriota, Nikos Christodoulides.

La delegazione italiana ha svolto proprie trattative con l’Egitto oltre a partecipare alla messa a punto ed a sostenere l’accordo firmato dalla presidente von der Leyen a nome dell’Unione europea.

Entrando nel merito, per quanto riguarda l’Europa, a grandi linee l’accordo con l’Egitto sarebbe nell’ordine di 7,4 miliardi di euro (in 3 anni) e consisterebbe in 5 miliardi di prestiti (ma si parla anche di 8), 1,8 miliardi di investimenti e i restanti 600 milioni sarebbero concessioni a fondo perduto, 200 dei quali da utilizzare per migliorare la gestione dei flussi migratori verso l’Europa (sul modello dell’accordo con la Tunisia di luglio 2023). Insomma la “quota” sui flussi migratori non è poi un granché rispetto al resto.

In relazione agli accordi bilaterali Italia-Egitto, sempre a grandi linee, si è parlato di progetti agricoli per migliorare la sicurezza alimentare; di supporto tecnico e finanziario ad alcune industrie chiave; di infrastrutture e commercio; di investimenti minerari (in particolare di gas egiziano) e collaborazioni in campo ferroviario; di stabilire una linea di interconnessione marittima tra Damietta e Trieste; di formazione professionale nel settore del turismo e della gestione alberghiera, anche per mitigare i flussi di migrazione irregolare verso l’Italia e facilitare invece la migrazione legale negli ambiti in cui ci sono possibilità di lavoro; perfino, a margine, di formazione e sostegno a persone con disabilità.

La premier Giorgia Meloni al Cairo per il vertice Ue-Egitto e per siglare una serie di accordi bilaterali con il presidente Abdel Fattah al-Sisi nell’ambito del Piano Mattei per l’Africa, 17 marzo 2024. ANSA/ US/ PALAZZO CHIGI/ FILIPPO ATTILI

È evidente che non si è parlato del caso Regeni: il regime di al Sisi ha ampiamente dimostrato di non avere nessuna intenzione di parlarne, né intende in alcun modo ammettere il coinvolgimento di agenti dell’intelligence egiziana. Ma non si è parlato neppure di diritti umani o di prigionieri politici (60 mila secondo Human Right Watch). Che si parli o non si parli di questi temi, è evidente che la repressione del dissenso in Egitto è un dato di fatto. Lo sanno molto bene, tra gli altri, anche i cristiani copti (circa 9-10 milioni), compreso Patrick Zaki, che il regime su queste cose non fa sconti. Eppure i copti sostengono al Sisi. Perché? Sembra che sia abbastanza semplice: prima di al Sisi i cristiani stavano molto peggio. Lo stragismo jihadista si è accanito per anni contro i copti. In questa fanatica lotta per il potere (o qualunque cosa sia) chi ha pagato un prezzo altissimo (in vite stroncate, orrori e danni) sono stati proprio i copti. E al Sisi ha fatto molto per i copti.

Tutto ciò non significa affatto assolvere o giustificare, né tanto meno approvare il regime. Ma non si può ignorare che un Paese, un grande Paese di oltre 100 milioni di abitanti, arbitro fondamentale degli equilibri mediterranei e ben oltre, rischia di diventare l’ennesima immensa tragedia mediorientale.

Perché la situazione economica del Paese è molto pesante, e trovare una sponda di sostegno come l’Europa è un’occasione preziosa. E non basta l’Europa, infatti stanno offrendo aiuti anche gli Emirati Arabi Uniti e il Fondo Monetario Internazionale (che non si capisce mai se migliora o piuttosto peggiora le situazioni).

La grave situazione economica dell’Egitto è figlia del mancato arrivo di grano ucraino e russo, degli attacchi Houthi nel Mar Rosso (con il Canale di Suez in crisi) e della guerra di Gaza, che insieme al resto ha dato il colpo di grazia al turismo, sorgente fondamentale di ossigeno, prima del Covid, per l’economia egiziana. Di fatto l’Egitto è divorato dal debito pubblico e da un’inflazione al 35% annuo, mentre i progetti del regime, negli ultimi anni, hanno solo ingrossato il bilancio e aumentato il debito, anche per la ben nota inefficienza delle onnipresenti aziende statali legate all’esercito. E senza l’esercito non cade solo il regime di al Sisi ma tutto l’Egitto va a rotoli, compresi quegli oltre 100 milioni di egiziani di cui sopra. A quel punto, i migranti illegali o i prigionieri politici rischiano di diventare davvero bazzecole.

Certo, tutta questa gente che si affolla intorno al faraonico paziente non è lì per fornire panacee, ma per spingere la ruota del do-ut-des in modo da farla girare di nuovo, e si spera meglio. L’Egitto, quel che sia il regime, sembra apprezzare, anche perché di alternative in vista non se ne vedono granché.

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