Effetto intolleranza
La volontà di porre un argine all’immigrazione – che nel Regno Unito non è certo una novità, dato che risale ai tempi delle colonie – è stato uno dei punti fondamentali della campagna pro-uscita: e l’enfasi che vi è stata posta ha avuto l’“effetto collaterale” di fomentare episodi di intolleranza verso chi, anche se immigrato da più generazioni, non vanta un albero genealogico totalmente britannico.
Il Guardian ha già pubblicato una sorta di vademecum video su come difendersi dagli episodi di razzismo; gli articoli di denuncia e di analisi del fenomeno sono innumerevoli ed evidenziano come il voto abbia agito solo da detonatore di un disagio già presente nella società inglese; e c’è chi, sui social network, si è preoccupato di dare voce a chi è stato vittima di questi episodi o vi ha assistito, raccogliendo i tweet e i post di denuncia; difficile dire quanti di questi si siano rivolti anche alla polizia, ma sempre il Guardian riferisce di un aumento del 57 per cento delle denunce nella settimana dopo la Brexit.
Tra le raccolte che più si stanno diffondendo c’è Worrying signs (segnali preoccupanti) di Sarah Childs, in cui si leggono tweet e post che hanno dell’inquietante. James scrive che sua figlia le ha riferito di aver trovato nei bagni della scuola la scritta «Vattene a casa», rivolta ad una compagna di classe rumena; un reporter della Bbc scrive che non riesce a trovare un solo polacco che acconsenta a mostrare la sua faccia in video, per paura di rappresaglie; Fiona racconta di una giovane donna polacca con un bambino in braccio fatta scendere in malo modo dall’autobus, mentre Sanj (di ascendenze pakistane, pur essendo nata in Inghilterra) sull’autobus non è nemmeno riuscita a salire perché cacciata da altra gente che attendeva alla fermata.
Sylvia, belga, scrive di «essermi sentita dire di andarmene più volte nelle ultime 24 ore che negli ultimi 17 anni»; e le denunce di episodi di violenza fisica e verbale verso i musulmani, in particolare donne velate, sono numerose. «Abbiamo votato per cacciarvi via», «Come mai siete ancora qui?», «Questo è il NOSTRO Paese», «Abbiamo vinto», sono tra le frasi più ricorrenti. Gli insegnanti riferiscono di bambini immigrati in lacrime per paura di essere rimpatriati e per le offese ricevute non dai compagni, ma dai genitori degli amichetti britannici. A Huntington, nelle cassette della posta delle famiglie polacche sono state recapitate lettere di minaccia, prontamente fotografate e fatte circolare; e un tassista polacco riferisce che, per tutto il giorno, si è sentito dire dai clienti di tornarsene a casa. Diversi camerieri stranieri – la ristorazione è uno dei settori a più alta presenza di immigrati – riferiscono di clienti inglesi che si sono rifiutati di farsi servire da loro; ed episodi del genere sono capitati anche medici e infermieri.
Esagerazioni? Episodi inventati di sana pianta per tirare acqua al proprio mulino? Certamente alcuni potrebbero esserlo, ma la quantità di attacchi denunciati e quelli accertati dalle stesse forze dell’ordine è tale da ritenere che il problema sia serio, e non possa essere derubricato a “reazione di pancia” post voto. «Evidentemente, lasciare l’Ue significa che non ci sono più leggi né la basilare buona educazione», commenta sconfortata Sophia. «Ho paura. Questo è solo l’inizio», scrive un tassista ghanese. E ancor più drastico è un commento anonimo: «Mi sento come se avessimo votato per i nazisti».