Educazione, resistenza e pace. Dialogo con Danilo Amadei
Intorno alla festività della Liberazione si apre un dibattito che non si può archiviare girando la pagina del calendario. Può essere invece lo spunto per una riflessione in grado di scavare sulle fondamenta e le ragioni della nostra convivenza civile, senza timore di affrontare nodi irrisolti e questioni complesse.
Parma è una bella, elegante città, laboriosa e benestante, che ha vissuto in maniera non passiva l’avvento del regime fascista come dimostra la resistenza opposta dal quartiere Oltretorrente nell’agosto 1922 all’aggressione di circa 10 mila squadristi che volevano reprimere lo sciopero indetto dai sindacati operai contro la montante violenza delle camice nere e “l’indifferenza dello stato”.
Dopo alcuni giorni di scontro fu lo stesso prefetto ad invitare Italo Balbo, ras di Ferrara che coordinava i manipoli fascisti, ad allontanarsi dalla città per evitare l’intervento dell’esercito. Come è noto, invece, il successo della “marcia su Roma” dell’ottobre 1922 avvenne proprio grazie alla decisione del re Vittorio Emanuele III di non schierare le forze armate a difesa della Capitale ma di affidare l’incarico di governo a Mussolini che arrivò in treno da Milano con il testo di un discorso con cui presentò i suoi adepti al monarca come espressione dell’Italia vittoriosa della “grande guerra”.
La resistenza di Parma è perciò emblematica di un diverso corso della storia che sarebbe stato possibile per il nostro Paese. Ad opporsi alle truppe di Italo Balbo, implicato poi nel 1923 nel delitto di don Minzoni e futuro fondatore della regia aeronautica militare, furono non solo i gruppi di sinistra degli “arditi del popolo”, reduci del 15-18, ma uno schieramento più vasto come testimonia la morte sulle barricate di Ulisse Corazza, giovane segretario del Partito popolare.
È proprio a partire da tale premessa che abbiamo posto alcune domande a Danilo Amadei, animatore e portavoce delle numerose realtà associate nella “casa della pace” di Parma. Amadei, da vero educatore, ha insegnato con la sua stessa vita di impegno sociale e nel campo della solidarietà, tra i primi obiettori di coscienza al servizio militare in Italia, ha collaborato per 18 anni con Danilo Dolci, figura di riferimento del movimento nonviolento nel nostro Paese.
Sui 40 anni di impegno nella scuola, alla ricerca di una “maieutica nonviolenta”, Danilo Amadei ha scritto un libro pubblicato da Erickson, “Quanto ho imparato insegnando”, che si può scaricare gratuitamente dal sito dell’editore.
Come ti poni, da promotore della cultura nonviolenta, davanti alle “Barricate”, un mito fondativo della Parma insorgente che riuscì a respingere i fascisti di Balbo con la resistenza armata del quartiere Oltretorrente? In fondo anche il motto della città confida nella protezione della Vergine che fa “tremare i nemici…”
Ero (giovane) assessore al welfare negli anni ’90 a Parma quando decidemmo di realizzare il monumento alle Barricate. Attilio Bertolucci donò una sua poesia che è incisa sulle prime lastre di piazzale Rondani che allarga la visione di quei giorni di agosto oltre il conflitto armato. Anche la ricerca storica collegata diede valore all’ampia resistenza al fascismo che non era solo collegata alle persone armate (e nemmeno solo all’Oltretorrente e agli Arditi del popolo) ma a tanti mondi diversi tra i quali la Chiesa del vescovo (San) Guido Maria Conforti e di tanti parroci vicini al popolo immiserito da guerre, spagnola e fame. Io ho fatto con la scuola dove ho insegnato a Parma ricerche sui parroci bastonati dai fascisti e sulla componente socialista (un nome su tutti: Guido Albertelli, neutralista, papà di Pilo, ucciso alle Fosse ardeatine), che si opposero senza armi e subirono violenze e devastazioni delle loro case o luoghi di ritrovo e lavoro.
Lo stesso percorso è stato fatto per la Resistenza, soprattutto nella valorizzazione del ruolo delle donne e dei tanti che hanno scelto confino, carcere, deportazione alla collaborazione.
Come nonviolento ho sempre ritenuto valida anche la lotta che ha favorito attraverso tante forme di sabotaggio, boicottaggio e di controinformazione la resistenza all’occupazione nazifascista. Alla protezione della Vergine (mai caduta la statua nemmeno durante i bombardamenti alleati proprio del Palazzo dove guarda la piazza principale di Parma) la sinistra in armi ha sempre contrapposto Garibaldi fiero sul suo monumento di fronte alla Vergine. Ho sempre sostenuto che guardavano entrambe dalla stessa parte più lontano delle nostre scaramucce.
Leggendo la storia più recente di Parma si resta colpiti dall’ingenuità di quei ragazzi che, nel 1968, occuparono la cattedrale di Parma in nome di un radicalismo evangelico che prendeva sul serio l’esperienza cristiana. I giovani di oggi appaiono, in genere, più pragmatici o sono solo disincantati dal fallimento epocale dei padri e dei nonni di cambiare il mondo secondo giustizia?
Che bello ricordare l’occupazione della cattedrale. Molti dei giovani presenti allora sono ancora attivi in molte esperienze sociali (non ecclesiali!). Io allora ero nell’Azione cattolica diocesana (avevo 16 anni) incaricato con un gruppo di giovanissimi di aiutare la costituzione dell’Azione cattolica ragazzi. In quel periodo conobbi Vittorio Bachelet. Fui, a 17 anni, il primo presidente diocesano dell’Acr. Si dava fiducia ai giovani allora, anche giovanissimi, e il dialogo con chi faceva scelte provocatorie, come un’occupazione di una cattedrale, era considerato necessario per dare verità nella comunione a quanto si crede e si era deciso nel Concilio.
Che tipo di scelte comportava questa visione della vita?
Le esperienze di rinnovamento nella catechesi, nella lettura della Bibbia, nella liturgia erano sempre intrecciate a scelte concrete. Io con la mia comunità parrocchiale andavo dai bambini di un palazzone dove una trentina di famiglie immigrate dal Sud vivevano in condizioni disumane, anche in cantine senza pavimenti né riscaldamenti. Poi c’è stata la scelta (all’inizio non capita dalla Chiesa) dell’obiezione di coscienza che ha coinvolto tanti giovani (nel 1981 a Parma i giovani che avevano scelto l’obiezione superarono quelli che andarono a militare).
Cosa è cambiato nel frattempo e quali segnali positivi riesci a cogliere oggi?
A me pare che oggi si sia persa questa fiducia nei giovani, nel lasciare loro la possibilità di portare la loro cultura, le loro esperienze, i loro modi di comunicare, anche i loro dubbi nella vita ecclesiale, che vivono come degli adulti (ancora più spesso dei vecchi). Sono vitali ancora associazioni e esperienze aperte di parrocchie che si aprono a tutti e dove i giovani trovano la possibilità di testimoniare quanto credono.
Io sono in molte esperienze sociali ed ecclesiali (piccole cooperative sociali, dopo di noi, doposcuola di quartiere, Caritas, oltre alla casa della pace) e vedo che in tutte se si dà fiducia ai giovani, li si lascia anche sbagliare, correggendosi insieme a loro, le esperienze assumono nuove modalità, ritrovando le radici in frutti diversi, ma riconoscibili. Io ho già vissuto l’entusiasmante fatica del passaggio generazionale in molte di queste realtà, nate ormai oltre 40 anni fa, con esiti imprevisti e davvero nuovi.
Fine prima parte
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