Educazione chiama lavoro
La crisi economica amplia lo squilibrio generazionale, tra padri e figli, fino a creare un apartheid delle giovani generazioni.
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«I giovani sono le vere vittime di questa crisi». Così il governatore della Banca d’Italia, Draghi, nella sua recente relazione annuale sullo stato del Paese. Un richiamo severo, scandito con forza: serve un più radicale senso di responsabilità collettiva. Soprattutto nei confronti dei giovani, la fascia più debole, il cui tasso di disoccupazione è drammaticamente aumentato.
Qui non è in gioco solo l’equità di una manovra finanziaria ma, in prospettiva, il dialogo e la coesione sociale. Il rischio è che si ampli lo squilibrio generazionale, tra padri e figli, fino a creare un apartheid delle giovani generazioni.
Una società, quindi, a doppio standard? Da una parte gli insider (adulti con posti di lavoro maggiormente garantito) e dall’altra gli outsider (giovani semi-occupati, precari con basse retribuzioni)? Alcuni commentatori liquidano questa previsione come allarmistica. Sta di fatto, come dicono i dati Istat, che sempre più il mondo giovanile è in deficit di rappresentanza, senza voce.
Se questa emergenza dovesse continuare, le conseguenze a medio periodo sarebbero comunque preoccupanti. E si sa che è un’intera società che alla fine ne pagherà i danni. Perché togliere futuro ai giovani è togliere ricchezza a tutti. Come sarà la qualità di vita, lo stato della famiglia, il senso di appartenenza sociale e comunitaria tra 5-10 anni?
Occorre far presto e riequilibrare le regole del lavoro, ma anche quelle della formazione e dell’orientamento. Per esempio, evitando una licealizzazione spinta, sostenendo un’intelligente battaglia culturale che rivaluti il lavoro tecnico-manuale. Ma soprattutto riprendere le fila di un discorso, avviato e poco approfondito in questi anni, di un patto generazionale tra padri e figli, di riequilibrio dello stato sociale. Dalla crisi non si esce solo con un pur necessario ri-quadro ragioneristico.
Più lavoro ai giovani, più formazione e ricerca, più equità.
È il mondo dell’educazione, oggi, che si sente in dovere di richiamare il mondo dell’economia e della politica a un nuovo, generoso “slancio generativo”.