Educazione alla cittadinanza. Le linee pedagogiche necessarie alla “Agenda Monti”
Il testo dell’Agenda auspica una serie di cambiamenti nell’esercizio della politica in Italia e evidenzia alcune linee fondamentali da percorrere in questa prospettiva.
Sono chiaramente presenti, a vario livello, sia elementi di critica alla realtà attuale e, in particolar modo, alla politica attuata negli anni più recenti (es: Europa intergovernativa, a più velocità, distante dai cittadini; populismo, demagogia, assenza di etica pubblica; intolleranza, xenofobia, pregiudizi nazionalistici, antisemitismo, discriminazioni…, etc.), sia l’indicazione di valori e finalità da perseguire (Europa comunitaria, unita, democratica; una società più giusta e moderna; portare la famiglia al centro delle politiche di sviluppo; valorizzare le nostre eccellenze artistico-culturali; la dignità della donna; ecc.), sia una serie di linee metodologiche coerenti da applicare, in relazione alle suddette finalità, attraverso un modo nuovo di interpretare l’agire politico.
A tutti questi aspetti, che evidentemente si riferiscono soprattutto a cambiamenti politici in prospettiva “macro”, si dovrebbero accompagnare radicali cambiamenti a livello “micro”, capaci perciò di investire direttamente i cittadini, le persone singole e i loro “piccoli mondi vitali”. Senza questi cambiamenti basilari, che possono insistere in particolare sui comportamenti reali, sul protagonismo di ciascun-attore, il progetto di “cambiare l’Italia” rischierebbe di diventare un mero slogan politico, degno di ascolto ma probabilmente inattuabile: è quindi necessario agire capillarmente nel micro, attraverso un lavoro che è certamente culturale e “politico” (in quanto riguarda la nuova costruzione della nostra polis, della nostra convivenza a tutti i livelli), ma che, per essere veramente tale, deve configurarsi necessariamente anche come lavoro “educativo-formativo”.
Seppure implicitamente, l’Agenda implica tale impegno capillare: un impegno pre-politico – per diventare autenticamente politico – che dovrebbe muoversi lungo le seguenti direzioni:
– educarci a vivere la “crisi”, alla “sobrietà”: affrontare le difficoltà, dare un senso al difficile evitando le facili strategie di sottrazione e di fuga (che giustificano i venditori di illusioni, i quali – come in un circolo vizioso – le sollecitano). “Eliminare gli sprechi”. Saper guardare intelligentemente alla realtà oggettiva, superando l’approccio ingenuo-superstizioso e sapendo leggere “criticamente” il tempo presente (Cf. Paulo Freire, La pedagogia degli oppressi: coscienza intransitiva – coscienza transitiva-critica – coscientizzazione). Positiva “decrescita” (anche per un ritorno ad una vita più sana);
– educarci all’intercultura (argomento non sufficientemente presente nell’Agenda). Il testo dell’Agenda, fin dalle prime battute afferma: “Il rifiuto del populismo e dell’intolleranza, il superamento dei pregiudizi nazionalistici, la lotta contro la xenofobia, l’antisemitismo e le discriminazioni sono il denominatore comune delle forze europeiste” (p. 1). Sarebbe necessario ampliare questi riferimenti sintetici e insistere sulla necessità e attualità di una visione autenticamente aperta all’interculturalità, alla mondialità, alla “globalizzazione della solidarietà”, a partire naturalmente dalla valorizzazione della nostra cultura e delle nostre tradizioni (non viste, tuttavia, come un recinto chiuso e come un patrimonio cristallizzato e definitivo). Il testo non fa esplicito riferimento alla complessità della realtà multiculturale sempre più presente nel nostro Paese e alla prospettiva dell’intercultura, che ritengo debba essere esplicitamente assunta come prospettiva culturale-politica. Al riguardo, un riferimento imprescindibile (poco conosciuto, spesso trascurato) è il documento ministeriale “La via italiana per la Scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri” (MPI. Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e l’educazione interculturale, del cui Comitato Scientifico ho fatto parte, durante il governo Prodi); vanno inoltre attentamente considerati, proprio per un’operatività in ambito europeo, i seguenti due documenti di carattere internazionale: il Libro Bianco sul dialogo interculturale, lanciato a Strasburgo il 7 maggio 2008 dai Ministri degli Affari Esteri del Consiglio d’Europa (47 Paesi membri), intitolato Vivere insieme in pari dignità e il Libro Verde – Migrazione e mobilità: le sfide e le opportunità per i sistemi d’istruzione europei, presentato a Bruxelles il 3 luglio 2008 dalla Commissione delle Comunità Europee (Unione europea, 27 Paesi membri)[1];
– educarci alla solidarietà, a partire da una valorizzazione della comunicazione di qualità e democratica in famiglia e nella scuola: è l’unico modo per educarci alla comunità, attraverso appunto una “pedagogia di comunità” capace di ricostruire un tessuto sociale che sia segno di coesione partecipativa, di partecipazione dinamica delle differenze (non certo nel senso del “pensiero unico”);
– educarci al dialogo, alla gestione dei conflitti, che sono inevitabili e che nell’immancabile dialettica delle differenze possono avere una funzione giustificata e creativa: per risolvere i problemi, a tutti i livelli, “non serve battere i pugni sul tavolo” (cito…), ma è necessario acquisire le non facili competenze nel dialogo autentico, nella mediazione; educarci alla collegialità (contro l’individualismo); didattiche fondate sul “cooperative learning”;
– “attenzione all’inclusione sociale”: necessità di tenere ben fermi gli elementi teorici e le pratiche dell’educazione inclusiva, dell’integrazione attiva delle persone con disabilità (che fanno dell’Italia un Paese all’avanguardia in quest’ambito, a partire dalla normativa in vigore anche nelle scuole dalla legge 517 del 1977) ;
– “attenzione alla sostenibilità ambientale”: anche in quest’ambito va data importanza alle molteplici – ma ancora insufficienti – iniziative di educazione ambientale ed ecologica presenti nel nostro Paese;
– “Attenzione alle relazioni con i Paesi in via di sviluppo improntandole alla difesa della pace e alla solidarietà”: anche su questo versante è importante partire da un’educazione realmente capace di rendere le persone soggetti di pace e di solidarietà nei loro piccoli-grandi mondi vitali di appartenenza e di azione. È possibile incrementare – specie con interventi in ambito universitario – la formazione alla cooperazione internazionale e ad un’attiva operatività – sottoposta ad adeguate verifiche – degli organismi non governativi, delle istituzioni e delle associazioni che a vario titolo lavorano in questi settori;
– educare all’arte, alla bellezza: rendendo le opere d’arte e i beni culturali accessibili ai cittadini e, d’altra parte, educando alla creatività, alla produzione di arte.
– educare all’invecchiamento attivo (con attenzione alle persone più anziane);
– educare alla relazione uomo-donna, alla pari dignità, pari opportunità (“salto di qualità nel modo in cui vediamo la donna nella società italiana”). Promuovere e sostenere i progetti di educazione alla reciprocità e alle pari opportunità;
– valorizzare la famiglia come “cuore pulsante” (p. 19) della società, non solo come soggetto economico ma come ambito educativo, fonte di fiducia, di progettualità, di identità;
– educarci all’obiettività, ad essere “meno comprensivi verso la cattiva politica e i comportamenti non virtuosi”;
– educare alla legalità e al contrasto alle mafie”: alleanze con l’associazionismo (ad es., Libera) che possano aiutare attraverso l’articolazione circolare ricerca-formazione-azione.
È evidente che queste linee pedagogiche, in rapporto agli obiettivi connessi, vanno promosse e attuate nei tradizionali ambiti educativi, come la famiglia e la scuola, con la valorizzazione di specifiche attività (e relativo sostegno economico). È tuttavia necessario investire anche il territorio, la polis nel suo complesso, con iniziative che promuovano competenze diffuse. In questa prospettiva credo che un’iniziativa politica lungimirante dovrebbe offrire il massimo sostegno al volontariato, all’associazionismo e, in particolare, a quelle figure professionali (ora sottostimate), come gli “educatori sociali” che – in dialogo con scuola-famiglia- istituzioni-comunità locale – possono essere catalizzatori di promozione alla cittadinanza attiva, responsabile, solidale, interculturale, investendo nel processo educativo tutte le età (e non soltanto, come quasi sempre succede i soggetti in età scolare). Infatti, l’educazione autentica del cittadino (non ridotta a sola istruzione!) postula – come strategia fondamentale – la testimonianza degli adulti.
Credo perciò, in ultima analisi, che l’Agenda possa essere realizzata – oltre che dall’autorevole azione politico-economica che essa propone – da un’intelligente alleanza educazione-politica, che veda queste due dimensioni dell’agire umano strettamente interconnesse – ma senza subordinazioni – nel perseguire finalità alte: una Politica alta necessita di un’Educazione alta!
[1] Su questi Documenti, cfr. Milan G., Multiculturalità, cittadinanza e educazione interculturale. Uno sguardo alle indicazioni presenti in recenti documenti in materia, in «Studium Educationis», 2009, p. 101-110.