Educarsi per educare. Un’alleanza per le nuove generazioni
Educazione e solitudine sono concetti che si respingono, come l’olio e l’aceto. Così pensano i pedagogisti e gli psicologi che sostengono l’importanza di una “comunità educante”, un’idea non nuova, ma mai passata di moda. L’educazione, per loro, è il frutto di una “rete”, di una tessitura a volte faticosa di relazioni profonde tra tutti i soggetti (qualcuno li definisce “agenzie educative”) a vario titolo impegnati nell’educazione (in primo luogo la famiglia, poi la scuola, ma anche la parrocchia, i gruppi giovanili, le associazioni sportive), per formare una sola, variegata comunità “a responsabilità diffusa”: il “villaggio” necessario per crescere un bambino, secondo il noto proverbio africano.
Di alleanza educativa secondo un modello “a rete” si parlerà nel convegno per genitori, educatori, formatori per bambini e ragazzi “Educarsi per educare – crescere insieme nella relazione educativa”, promosso dal Movimento dei Focolari in collaborazione con l’Università Lumsa, l’Istituto Universitario Sophia, Amu (Azione Mondo Unito onlus), EdU (progetto EducazioneUnità) e Afn (Azione Famiglie Nuove onlus). Il convegno si svolgerà dal 2 al 6 marzo a Castel Gandolfo (Roma).
Mario Iasevoli, psicologo dello sviluppo e dell’educazione, e Pierre Benoit, pedagogista e rappresentante all’Unesco della ong New Humanity, fanno parte del gruppo di studio internazionale che sta preparando l’evento. Abbiamo rivolto loro alcune domande.
È ancora possibile dar vita ad un’alleanza tra diversi soggetti in campo educativo, nonostante la tendenza alla frammentazione e all’isolamento della nostra società?
Pierre Benoit: sarà proprio questa la nostra proposta con apporti molto qualificati di studiosi e specialisti di diverse nazioni, nelle plenarie al mattino e nei forum tematici e workshop del pomeriggio: mettere in relazione persone e gruppi, nella specificità dei loro approcci all’educazione. Già al tempo dei Greci, l’Amore – spiega il pedagogista francese – era ritenuto il motore dell’educazione. Qui abbiamo voluto dare particolare rilievo all’esperienza di vita e di pensiero di Chiara Lubich, da cui quotidianamente traiamo ispirazione. In un testo del 1959 rivolto agli educatori, invitava a mettersi tutti, maestri e scolari, alla scuola dell’amore insegnato da Gesù, l’unico “maestro”. È l’amore che nella comune ricerca della verità più profonda rende tutti reciprocamente educatori e “discenti”. Insieme impariamo a co-conoscere e a co-nascere alla verità. Sarà un vero e proprio laboratorio di idee e pratiche educative, con contributi di esperienze e testimonianze di vita. Stiamo lavorando per ripetere l’evento anche in altri Paesi. Di questi tempi – prosegue Iasevoli –, è necessario recuperare il valore più profondo dell’esperienza educativa. Educare significa accompagnare l’altro, i nostri figli, a diventare quello che sono già, a realizzare se stessi. Molto spesso per educare si intende riempire la testa dei bambini e dei ragazzi di tante cose: nozioni, regole, istruzioni, come bisogna essere, cosa bisogna fare… Invece, l’etimologia della parola (dal latino e-ducere) richiama l’arte maieutica del “tirare fuori”, del “portare alla luce”. Occorre scoprire e liberare il potenziale già presente in loro. Con un’espressione spesso utilizzata in campo educativo, «il bambino non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere».
Quale sarà la vostra proposta?
Mario Iasevoli: mettere la relazione al centro. Il titolo del convegno lo evidenzia: solo attraverso il riconoscimento e la valorizzazione dell’altro una comunità può crescere. Questo vale per le persone e per le istituzioni, protagoniste di un patto educativo per ridurre la competitività e la conflittualità, e promuovere la reciprocità, la cooperazione, la sinergia. Occorre tornare a essere squadra, a sognare insieme, a progettare con il contributo di ciascuno. L’effetto di questo processo è una crescita della persona, ma anche della comunità nel suo insieme. In questa esperienza ciascuno si sente libero di appartenere a qualcosa di importante. La comunità così intesa diventa il luogo e l’opportunità in cui reciprocamente ci si educa.
Sullo sfondo c’è una nuova visione dei bambini e dei ragazzi?
Mario Iasevoli: la visione va cambiata: da portatori di bisogni e fragilità, a co-costruttori attivi di rapporti personali; da oggetto di iniziative educative a soggetti che contribuiscono a pieno titolo alla crescita della società. I cinque giorni del convegno proporranno un itinerario attraverso altrettante tappe: riscoprire l’identità dell’educatore e delle nuove generazioni, apprendere nuovi linguaggi e strumenti per il dialogo intergenerazionale e tra le agenzie educative, aprirsi e donarsi al territorio, sognare e costruire il futuro. Come insegna il pedagogista Paolo Freire, «l’educazione non può cambiare il mondo, ma può cambiare le persone che possono cambiare il mondo».