Educare al saper amare
«Ti amo». Si tratta sicuramente di una di quelle espressioni tanto antiche quanto la stessa storia dell’umanità. Un’espressione che conosciamo o che, dovremmo dire, crediamo di conoscere. Infatti, chi potrebbe giurare che questa stessa affermazione mantenga sempre lo stesso significato in persone diverse o, anche per lo stesso individuo, in contesti ed età diverse?
Inoltre, pur accettando tale varietà nel modo d’interpretare l’espressione “ti amo”, possiamo affermare che esista un eventuale significato universale, condiviso, di tale espressione? Cioè, quando diciamo “ti amo”, possiamo intendere tutti, più o meno, la stessa cosa? E il nostro interlocutore, coglierà le nostre parole nello stesso significato che noi vi attribuiamo?
Sono questi alcuni degli interrogativi a cui intendo rispondere con questo testo, ritenendo che, alla base dei diversi significati che l’amore assume tra i partner, molto sia da attribuire al livello di consapevolezza, di formazione e di maturità della persona, alla sua storia e alle esperienze che hanno caratterizzato la sua vita. In tal senso, si apre la necessità di un’educazione all’amore, della possibilità di percorsi di crescita socio-affettivi, che investano la sfera degli schemi cognitivo-emotivi, delle proprie visioni circa la sessualità e delle personali posizioni esistenziali, fino ad arrivare a considerare le diverse weltanschauung, cioè le personali concezioni del mondo e della realtà dell’uomo.
Ecco che, allora, imparare a dire “ti amo” avrà necessariamente a che fare con l’educazione, per cui questo testo vuole essere innanzitutto un libro sull’educazione e, più specificamente, sull’educazione all’amore e al saper amare. In realtà, ciò non sarà possibile e mai separabile da una più ampia formazione all’essere persona: solo alla maturità dell’individuo potrà corrispondere una maturità nell’amare. In tal senso, «l’educazione sessuale non è né scissa né scindibile dall’educazione globale della persona e dall’educazione emotiva e affettiva in particolare» (Del Re – Bazzo 1997, 31).
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La scelta di tornare a farlo con questa proposta cade in un contesto da più parti definito come emergenza educativa (Negri 2008; Verdone 2009; CEI 2010). In realtà, chi si occupa e riflette sul tema dell’educazione sa che la formazione delle nuove generazioni non potrà mai essere considerata un’emergenza, rappresentando piuttosto un impegno, una “occupazione” sempre presente e non già una “pre-occupazione” (non dimentichiamoci che i maggiori “disastri” educativi si sono verificati proprio nei momenti storici in cui ci si è rifugiati nella tanto nostalgica “età dell’oro” con gli immancabili richiami “una volta non era così” oppure “oggi, non si capisce più niente, al di là di una”).
Torno a scrivere di educazione, quindi, e lo faccio parlando di educazione socio-affettiva e di genere. È bene evidenziare, in tal senso, che ogni qualvolta si voglia riflettere, parlare o scrivere riguardo a una qualsiasi forma di educazione settoriale della persona umana, qualificandola con un aggettivo particolare (affettiva, sessuale o di genere, relazionale, civica, fisica ecc.), non si dovrà mai dimenticare che, al di là di determinate informazioni su questo o quell’ambito della vita umana (che può riguardare la sua affettività, la sessualità, la capacità relazionale o la legalità) ogni intervento educativo sarà sempre rivolto all’individuo nel suo insieme, per cui si tratterà sempre di chiarire che ogni riflessione educativa riguarderà, parlerà o scriverà di come educare la persona.
L’intenzione consapevole è di voler evitare, in tal senso, la parcellizzazione della persona umana che, a volte, rischia di aver luogo anche in ambito medico, per cui ogni specialista tende a ridurre il suo intervento al fegato del paziente, o alla sua milza, dimenticando che sempre ci si rivolge alla persona nella sua totalità, maturità, dignità e valore.
Ecco perché non sarà mai possibile parlare di educazione sessuale e di genere o di educazione socio-affettiva come se ciò autorizzasse a separare tale ambito specifico da una più globale educazione della persona. E pertanto, almeno in questo testo, eviterò di farlo.
Per questo motivo, coerentemente a quanto evidenziato, questa proposta vuole inserire il tema dell’educazione socio-affettiva e di genere nel più ampio discorso sull’educazione della persona.
A questo punto, d’altra parte, nasce immediata l’esigenza di un altro chiarimento riguardo alla metodologia utilizzata nello sviluppo del testo e cioè, parlando di persona, andrà chiarito a quale visione di uomo si farà riferimento e secondo quale approccio si rifletterà sulla realtà umana e, in particolare, su termini quali: educazione, amore e sessualità.
Ritengo che molto spesso, nella cultura contemporanea, la riflessione sull’educazione sia inficiata da filtri di carattere ideologico che finiscono col ridurre la persona a una sua dimensione, cadendo nell’errore di ignorarne le altre (Bellantoni 2012a, 66-77).
In tal senso, il mio discorso tenderà ad approcciare la persona umana considerandola nella sua triplice dimensione biologica, psicosociale e spirituale e utilizzando una metodologia eminentemente fenomenologico-esistenziale, mostrando cioè attenzione all’esperienza quotidiana che ciascuno di noi può fare e che, pertanto e proprio per questo motivo, spesso risponderà anche a criteri di buon senso (Bellantoni 2005b, 151-153).
Di prossima pubblicazione: Domenico Bellantoni, RUOLI DI GENERE, per un’educazione affettivo-sessuale libera e responsabile (Città Nuova, 2015)