Educare al saper amare

Imparare a dire “ti amo” è frutto di una più ampia formazione all’essere persona. È il tema del saggio di Domenico Bellantoni: Ruoli di genere, per un’educazione affettivo-sessuale libera e responsabile, di prossima pubblicazione per i tipi di Città Nuova. Anticipiamo l’introduzione dell’autore.
Ruoli di genere

«Ti amo». Si tratta sicuramente di una di quelle espressioni tanto antiche quanto la stessa storia dell’umanità. Un’espressione che co­nosciamo o che, dovremmo dire, crediamo di conoscere. Infatti, chi potrebbe giurare che questa stessa affermazione mantenga sempre lo stesso significato in persone diverse o, anche per lo stesso indivi­duo, in contesti ed età diverse?

Inoltre, pur accettando tale varietà nel modo d’interpretare l’espressione “ti amo”, possiamo affermare che esista un eventuale significato universale, condiviso, di tale espressio­ne? Cioè, quando diciamo “ti amo”, possiamo intendere tutti, più o meno, la stessa cosa? E il nostro interlocutore, coglierà le nostre paro­le nello stesso significato che noi vi attribuiamo?

Sono questi alcuni degli interrogativi a cui intendo rispondere con questo testo, ritenendo che, alla base dei diversi significati che l’amore assume tra i partner, molto sia da attribuire al livello di consapevo­lezza, di formazione e di maturità della persona, alla sua storia e alle esperienze che hanno caratterizzato la sua vita. In tal senso, si apre la necessità di un’educazione all’amore, della possibilità di percorsi di crescita socio-affettivi, che investano la sfera degli schemi cognitivo-emotivi, delle proprie visioni circa la sessualità e delle personali posi­zioni esistenziali, fino ad arrivare a considerare le diverse weltanschau­ung, cioè le personali concezioni del mondo e della realtà dell’uomo.

Ecco che, allora, imparare a dire “ti amo” avrà necessariamente a che fare con l’educazione, per cui questo testo vuole essere innan­zitutto un libro sull’educazione e, più specificamente, sull’educazio­ne all’amore e al saper amare. In realtà, ciò non sarà possibile e mai separabile da una più ampia formazione all’essere persona: solo alla maturità dell’individuo potrà corrispondere una maturità nell’amare. In tal senso, «l’educazione sessuale non è né scissa né scindibile dall’e­ducazione globale della persona e dall’educazione emotiva e affettiva in particolare» (Del Re – Bazzo 1997, 31). 

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La scelta di tornare a farlo con questa proposta cade in un contesto da più parti definito come emergenza educativa (Negri 2008; Verdone 2009; CEI 2010). In realtà, chi si occupa e riflette sul tema dell’edu­cazione sa che la formazione delle nuove generazioni non potrà mai essere considerata un’emergenza, rappresentando piuttosto un impe­gno, una “occupazione” sempre presente e non già una “pre-occu­pazione” (non dimentichiamoci che i maggiori “disastri” educativi si sono verificati proprio nei momenti storici in cui ci si è rifugiati nella tanto nostalgica “età dell’oro” con gli immancabili richiami “una volta non era così” oppure “oggi, non si capisce più niente, al di là di una”).

Torno a scrivere di educazione, quindi, e lo faccio parlando di edu­cazione socio-affettiva e di genere. È bene evidenziare, in tal senso, che ogni qualvolta si voglia riflettere, parlare o scrivere riguardo a una qual­siasi forma di educazione settoriale della persona umana, qualificandola con un aggettivo particolare (affettiva, sessuale o di genere, relazionale, civica, fisica ecc.), non si dovrà mai dimenticare che, al di là di deter­minate informazioni su questo o quell’ambito della vita umana (che può riguardare la sua affettività, la sessualità, la capacità relazionale o la legalità) ogni intervento educativo sarà sempre rivolto all’individuo nel suo insieme, per cui si tratterà sempre di chiarire che ogni riflessione educativa riguarderà, parlerà o scriverà di come educare la persona.

L’intenzione consapevole è di voler evitare, in tal senso, la parcel­lizzazione della persona umana che, a volte, rischia di aver luogo anche in ambito medico, per cui ogni specialista tende a ridurre il suo inter­vento al fegato del paziente, o alla sua milza, dimenticando che sempre ci si rivolge alla persona nella sua totalità, maturità, dignità e valore.

Ecco perché non sarà mai possibile parlare di educazione sessuale e di genere o di educazione socio-affettiva come se ciò autorizzasse a separare tale ambito specifico da una più globale educazione della persona. E pertanto, almeno in questo testo, eviterò di farlo.

Per questo motivo, coerentemente a quanto evidenziato, questa proposta vuole inserire il tema dell’educazione socio-affettiva e di ge­nere nel più ampio discorso sull’educazione della persona.

A questo punto, d’altra parte, nasce immediata l’esigenza di un altro chiarimento riguardo alla metodologia utilizzata nello sviluppo del te­sto e cioè, parlando di persona, andrà chiarito a quale visione di uomo si farà riferimento e secondo quale approccio si rifletterà sulla realtà umana e, in particolare, su termini quali: educazione, amore e sessualità.

Ritengo che molto spesso, nella cultura contemporanea, la ri­flessione sull’educazione sia inficiata da filtri di carattere ideologico che finiscono col ridurre la persona a una sua dimensione, cadendo nell’errore di ignorarne le altre (Bellantoni 2012a, 66-77).

In tal senso, il mio discorso tenderà ad approcciare la persona umana considerandola nella sua triplice dimensione biologica, psi­cosociale e spirituale e utilizzando una metodologia eminentemente fenomenologico-esistenziale, mostrando cioè attenzione all’esperien­za quotidiana che ciascuno di noi può fare e che, pertanto e proprio per questo motivo, spesso risponderà anche a criteri di buon senso (Bellantoni 2005b, 151-153).

 

Di prossima pubblicazione: Domenico Bellantoni, RUOLI DI GENERE, per un’educazione affettivo-sessuale libera e responsabile (Città Nuova, 2015)

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