Educare al maschile e al femminile
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Accanto a discipline come sociologia, antropologia e filosofia, ultimamente anche la psicologia, con alcuni suoi esponenti, sta contribuendo a rendere la polarità maschile e femminile una relazione dai contorni incerti e dalle dinamiche confuse. Al di là delle importanti conseguenze teoriche, ciò che maggiormente bisognerebbe vagliare sono le ricadute pragmatiche.
Tralasciando l’ambito clinico, concentriamo ora la nostra attenzione, invece, sull’ambito educativo, di prevenzione e promozione del benessere. È questo, infatti, il settore più delicato, poiché spesso riguarda i minori.
È l’ambito educativo il piano sul quale converge molta attività professionale, perché cerca di intersecare il flusso di investimenti che la Comunità Europea vi riversa per le politiche di prevenzione della violenza di genere, per le politiche di promozione della consapevolezza di genere e per le politi-che volte a incoraggiare l’uguaglianza e l’autonomia nel pro-cesso decisionale nella scelta del lavoro (cf. Rodrigues 2015).
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Qui, nel cercare di esplicitare la metodologia pedagogica di taluni progetti educativi, sorgono problematiche notevoli di cui la comunità professionale degli psicologi si dovrebbe occupare responsabilmente. Forse nell’urgenza di spiegare la differenze tra Ideologia gender, Teoria gender e Studi di genere si è persa l’occasione di andare incontro alla preoccupazione reale di numerose famiglie che cercano conforto e sicurezza.
[…] Ho consultato numerosi progetti portati avanti in questi ultimi anni e in molti di questi viene esplicitato come obiettivo la diminuzione della discriminazione di genere attraverso laboratori e interventi che mirano ad abbattere gli stereotipi di genere attraverso la decostruzione della polarità maschile e femminile già in tenera età.
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Una cosa è utilizzare, appunto, lo stereotipo come una sorta di categoria. Altra cosa è, invece, utilizzare lo stereotipo come un rigido pregiudizio insindacabile nel quale costringere la realtà fisica e relazionale.
Ritengo, sicuramente, che sia opportuno stimolare le persone e i ragazzi ad abbandonare una visione del mondo eccessivamente intransigente e impositiva. Ritengo, senza dubbio, che sia positivo lavorare con loro sulle rigidità che pregiudicano la piena espressione di sé e la conoscenza autentica dell’altro. Una cosa, però, è lavorare su questo, ben altra cosa è voler sradicare gli stereotipi intesi come schemi rappresentazionali del reale. […]
È proprio nei primi anni di vita, infatti, che i bambini hanno bisogno di punti di riferimento validi e riconoscibili nel tempo. Hanno bisogno di questi punti fermi per usarli, poi, come ancore per ormeggiare la propria personalità ancora fluttuante e in continua costruzione. […]
Intervenire in ottica decostruttiva, proprio nel momento in cui i bambini hanno bisogno di punti di riferimento come ancoraggio nel processo di costruzione dell’identità personale, lo trovo molto poco prudente.
Forse questa imprudenza, più che da superficialità, è dovuta al fatto che, a volte, si dedicano a questi progetti persone che non sono formate specificatamente in psicologia evolutiva o scienze dell’educazione. […]
Si rischia, dunque, di non fare il miglior bene del bambino, pur avendo un ottimo e condivisibile obiettivo e grandi capacità organizzative e progettuali. Infatti, se mancano le informazioni utili riguardo allo sviluppo infantile che permettono di stabilire metodi e tempi congrui all’intervento, difficilmente si raggiungeranno risultati positivi.
Educazione sessuale e rispetto di genere
Nella scuola italiana e nel nostro sistema educativo non esiste, in generale, una forte tradizione di educazione sessuale centralizzata. Gli enti che sviluppano ricerche, teorie, strumenti e buone prassi su queste tematiche sono, per lo più, legati a realtà locali.
In altri paesi europei, invece, soprattutto del Nord Europa, esiste da tempo. Esiste ed è anche fortemente sovvenzionata a livello nazionale oltre che molto presente nelle politiche scolastiche. I risultati, in realtà, non sono sempre buoni. Rimaniamo, però, in Italia.
A fronte di questa realtà frammentata e poco organizzata, si è posta di fatto una novità: la sovvenzione di cospicui finanziamenti da parte del Fondo Sociale Europeo legati a politiche educative in ambito di educazione sessuale, promozione dell’equità di genere e lotta al bullismo.
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Trattare nelle scuole il tema della diversità sessuale maschile e femminile in ottica del perseguimento di obiettivi importanti come l’equa accessibilità alle possibilità di studio e lavoro, la prevenzione della violenza di genere, ma anche l’educazione affettiva sessuale, si corrono, come abbiamo detto, alcuni rischi. Corsi mal gestiti, obiettivi errati, metodologie inadatte: il rischio di non fare il miglior interesse del bambino è alto.
La questione, comunque, non riguarda solamente il mondo della scuola o casi marginali, ma anche una delle aziende più conosciute al mondo: Google. Ha fatto scalpore, infatti, il caso della lettera di un ingegnere programmatore BigG che ha affrontato su una piattaforma di comunicazione aziendale il tema della differenza sessuale e di come intervenga sulla leadership e sulle preferenze professionali.
L’ingegnere, evidentemente ben informato, afferma che queste differenze sono anche biologicamente determinate e non solo socialmente costruite. A causa di questa lettera, il dipendente di Google è stato licenziato, dopo che il suo caso è diventato virale e fatto oggetto di commenti banali, poco informati e più propensi al linciaggio che alla comprensione e alla discussione argomentativa. Non vi erano forse argomenti solidi da contrapporre alle questioni da lui sollevate.
Le differenze biologiche preordinate a qualsiasi altra variabile interveniente esistono e le abbiamo già trattate in Educare al femminile e al maschile (Cantelmi – Scicchitano 2013).
Proprio per questo motivo, quindi, stupisce la scarsa attenzione agli effetti prodotti, malgrado l’inconsistenza delle sue basi, dalla teoria che afferma che le differenze di genere siano solo culturali e da livellare e destrutturare pragmaticamente perché fonte di discriminazione.
Le ricadute pratiche, infatti, ci sono. Eccome. Si manifestano concretamente nella cultura, nelle politiche istituzionali, nel sistema educativo e nell’ambiente lavorativo. Si arriva al punto, come nel caso dell’ingegnere di Google, che chi non si allinea venga emarginato e penalizzato.
Siamo convinti, invece, che sia necessario ribadire questo concetto: la differenza tra maschile e femminile è originaria ed è fonte di attrazione e vitalità, rappresenta un patrimonio dell’umanità che trova le sue radici nello sviluppo della specie e nella trasmissione genetica; è un valore a sé, che conserva la sua portata anche qualora le tecniche bioingegneristiche trovassero il modo di sostituire il necessario apporto biologico alla generatività; è un patrimonio che va custodito per poter continuare a restare umani.
Da RESTARE UMANI, sette sfide per non rimanere schiacciati dalla tecnologia di Giuliano Guzzo e Marco Scicchitano (Città Nuova, 2018); pp. 144 – prezzo: € 15,00