Eduardo e i suoi attori in cerca d’autorità

Fausto Russo Alesi mette in scena “L’arte della commedia”, pièce in cui Eduardo De Filippo pone riflessioni sul mestiere e la condizione dell’attore, sulla funzione che ricopre il teatro nella società. Al San Ferdinando di Napoli.
In primo piano Sem Bonventre con David Meden in "L'arte della commedia". Regia Fausto Russo Alesi, foto Anna Carmelingo

«Perché è proprio così, credetemi: teatro e vita, finzione scenica e realtà vissuta sono una cosa sola. E non è una frase fatta, la mia». Sono parole di Eduardo De Filippo. A mostrarci questa visione eduardiana del mondo è, soprattutto, la sfilata di eterogenei personaggi – il medico condotto, il prete del paese, la maestra elementare e il farmacista – che, nel secondo atto de L’arte della commedia, si presentano davanti al prefetto De Caro senza mai rivelare la propria identità di persone in carne e ossa o i guitti di tal Campese, capocomico di una compagnia famigliare di attori.

Questi si era prima recato dal signor prefetto, da poco insidiatosi nel piccolo paese, per esporgli i problemi derivati dall’aver perso in un incendio il capannone dei suoi spettacoli, dal quale è riuscito a salvare solo le casse dei trucchi e dei costumi, e a chiedere aiuto. Essendo stato concesso il teatro comunale per un’ultima recita, e malgrado il prefetto consideri il teatro un mestiere da “buffoni”, Campese lo invita: “Venga a teatro Sig. Prefetto! A teatro la suprema verità è stata e sarà sempre la suprema finzione…”.

Da qui prende spunto la commedia che, nel primo atto, vede i due personaggi impegnati in un serrato dialogo/confronto sulla crisi del teatro, sul ruolo dell’attore, sui repertori e infine sul rapporto tra finzione e realtà, manifestando profonde divergenze. La discussione degenera e nella concitazione, per sbaglio Campese si appropria di una lista di persone che, nel pomeriggio, devono essere ricevute dal prefetto. Da questi umiliato, prima di andare via gli lancia una sfida: sarà in grado di distinguere fra le persone reali e i suoi attori travestiti?

Intrisa di pirandellismo, soprattutto nei dialoghi, che poi diventano quasi monologhi, la pièce pone riflessioni sul mestiere e la condizione dell’attore, sulla funzione che ricopre il teatro nella società, e sul rapporto contraddittorio tra lo Stato e il ruolo dell’arte e degli artisti; argomenti che ricordano il vivo impegno sociale e politico di Eduardo, e i quali, seppur sollevati nella commedia scritta quasi sessant’anni fa, descrivono una situazione di disagio e frustrazione che ancora oggi persiste, e che penalizza chi il teatro lo fa, chi lo scrive e chi lo ama.

Fausto Russo Alesi, che di Eduardo è appassionato “…per quel confronto spietato con l’umano attraverso le sue potenti metafore” (e ricordiamo un suo personale adattamento di Natale in casa Cupiello, unico interprete di tutti i personaggi), riporta in scena oggi quest’opera poco frequentata (produzione Teatro di Napoli-Teatro Nazionale, Fondazione Teatro della Toscana, e Elledieffe) ma importante per gli argomenti sollevati, latrice di tematiche e di istanze di ampio respiro che chiedono ascolto, dialogo, riconoscimento. L’allestimento vira, con estro e mano felice, verso un’atmosfera pirandelliana, dicevamo.

Sul nudo palcoscenico di quinte, graticci, botole, e corde che solleveranno il retro di un tramezzo definito da una porta centrale – a comporre l’interno delle azioni e ricordare a noi spettatori che stiamo osservando dal retropalco -, si evoca il “teatro nel teatro” già in apertura di sipario, con la presenza di un flemmatico suggeritore che, quasi in disparte per tutto il tempo della rappresentazione, legge a tratti le didascalie del copione, gestisce gli oggetti, orientando i diversi tempi del “gioco delle parti” al quale assisteremo. All’avvio pieno di ragionamenti e di disquisizioni tra i personaggi segue uno scivolamento esilarante nella comicità implacabile e grottesca, e nell’ironia della vita, con figure dai diversi dialetti in gag e pantomime, e momenti che strizzano l’occhio al varietà.

Sul dilemma finale se i personaggi che hanno chiesto udienza al Prefetto siano o no attori – e non lo sapremo mai -, Russo Alesi chiude con una poetica sequenza ancor più di suggestione pirandelliana, che richiama i celebri “Sei personaggi”, qui definiti dallo stesso Eduardo “attori/persone in cerca di autorità”. Raggruppandoli in un balletto di sagome in penombra, lentamente escono di scena dietro la parete bloccandosi infine sulla soglia. E sono, oltre allo stesso Russo Alesi nei panni di Oreste Campese e del prete (questi, forse troppo urlato), Alex Cendron, Paolo Zuccari, Imma Villa, Filippo Luna, Sem Bonventre, David Meden, Gennaro De Sia, Demian Troiano Hackman (il farmacista, dall’eccessiva frenesia fisica), Michele Schiano.

L’arte della commedia”, di Eduardo De Filippo, adattamento e regia Fausto Russo Alesi, scene Marco Rossi, costumi Gianluca Sbicca, musiche Giovanni Vitaletti, light designer Max Mugnai, consulenza per i movimenti di scena Alessio Maria Romano. Un progetto a cura di Natalia Di Iorio, produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Fondazione Teatro della Toscana – Teatro Nazionale, Elledieffe. Al Teatro San Ferdinando di Napoli.

 

 

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