Edoardo e Luisa
«Tutto è cominciato per caso, se così si può dire – racconta Luisa, ex maestra di scuola materna, oggi in pensione –. La mia prima figlia aveva iniziato a frequentare il catechismo di preparazione alla Prima Comunione. Il parroco aveva convocato noi mamme per conoscerci e, in quell’occasione, ci disse che stava cercando persone disponibili ad aiutare i bambini con difficoltà scolastica durante il doposcuola».
Siamo a Rho, nella parrocchia di San Vittore Martire, presso l’Oratorio San Carlo. È il 1993, e Luisa lì per lì pensa che due ore la settimana non avrebbero sconvolto più di tanto gli equilibri della sua famiglia.
«Invece mi sbagliavo. Incontrare i bambini con difficoltà scolastica ha significato incontrare anche le loro famiglie. Così, ho varcato la soglia di una realtà diversa. Prima pensavo che il mondo fosse tutto come quello in cui avevo vissuto io fino a quel momento: pulito, sicuro, tranquillo, felice…».
Quella realtà a lungo ignorata, all’inizio entra in sordina nell’anima di Luisa, almeno finché non giunge il ciclone Edoardo.
«Era il giorno dell’Immacolata ed io mi trovavo in Oratorio. Ad un certo punto, arriva quest’uomo, un noto etilista, che quando beveva diventava anche violento e per questo era sempre schivato da tutti nella nostra comunità. Mi dice disperato che non ha nulla da mangiare, che vive in un tugurio, una specie di pollaio senza luce né gas».
Edoardo è un omino smilzo ma dagli occhi intensi, malvestito, indossa sempre, come unico vanto, un paio di stivaletti con il tacco, perché lo fanno sembrare più alto.
«Quel giorno, pensando al fatto che non poteva cucinare, lì per lì gli diedi del pane, del tonno e dell’olio, spiegandogli cosa poteva cucinarsi. Ma il giorno dopo ritornò tutto conciato! Aveva bevuto, era evidente, ma era anche successo che, passando da una cascina, era stato attaccato da un gallo che gli aveva rotto il piumino e, per questo, camminava barcollando, seminando piume».
La situazione sarebbe stata anche comica, se non fosse stato per lo sconforto dell’uomo. «Mi spiegò che non aveva potuto mangiare niente il giorno prima perché l’olio si era gelato per il freddo!».
A Luisa sembra tutto assurdo, incredibile, si sente impotente. Qualche settimana dopo, con in cuore la situazione di Edoardo, parte con il marito e le figlie per la settimana bianca. Ritorna con l’influenza e lì, a casa, al caldo, coccolata da tutti, paragona la sua vita a quella di Edoardo.
«Così, chiamai il parroco, gli dissi che dovevamo almeno trovare un posto dove farlo mangiare. Perché non potevamo lasciar morire di fame un uomo!». All’inizio, tentano con alcune trattorie ma gli viene risposto che non è possibile, perché l’uomo è sempre ubriaco. Puzza e così ridotto non contribuisce di certo ad alzare il livello del locale!
«È a quel punto che ci è venuta in mente l’idea della mensa per i poveri, in collaborazione con la Caritas. Gli anziani ci raccontavano che nel vicino Santuario della Beata Vergine Addolorata, durante la Seconda Guerra Mondiale, i padri Oblati davano da mangiare attraverso uno sportellino, e il mercoledì era sempre una festa perché facevano il lesso e servivano il brodo di carne. Così, abbiamo dato inizio a questo servizio, in principio con pochi posti, proprio in un sottoscala dei padri Oblati».
Parallelamente, Luisa tenta di fare avere a Edoardo un alloggio nelle case popolari. «Con il Comune mi sono impegnata a seguirlo di persona, e lì è stato come vederlo sbocciare! Ho dovuto mettere in atto una specie di maternage…».
Luisa insegna ad Edoardo a fare la spesa, a pulire la casa. «Era abituato a dormire in una pelle di pecora. Quando ha avuto la casa, nel suo letto faceva dormire una gallinella di peluche, mentre lui si era ricreato sul divano un giaciglio simile a quello in cui dormiva prima».
Poi comincia il percorso per la cura della dipendenza. «Anche mio marito e la mia famiglia lo hanno adottato. È stato attraverso di lui che ho capito, come posso dire… il mio mandato. Chiedevo sempre a Dio di muovere le mie mani e il mio cuore verso l’incontro, per capire che cosa fare per chi ne aveva bisogno. Edoardo è stata la mia risposta».
Luisa e la sua famiglia lo chiamano ogni sera, prima di andare a dormire, per assicurarsi che stia bene. «Finché un giorno non mi ha risposto e, preoccupata, sono andata a vedere come stava. E lo abbiamo trovato morto. Aveva solo 60 anni! Quest’esperienza, una specie di adozione, ha cambiato me e la mia famiglia. Tutto quanto è venuto dopo penso sia nato da questo seme di amicizia».
Oggi a Rho, la Caritas Cittadina attraverso il lavoro di 94 volontari gestisce una serie integrata di servizi di promozione della persona. C’è la mensa per i poveri che da mangiare a 90 persone a pranzo e 70 la sera; c’è NutriRho, per la diffusione di una cultura contraria allo scarto, soprattutto alimentare; un dormitorio che è anche il luogo dove 11 medici volontari si alternano e visitano chi è nel bisogno; e Doccia Amica, un servizio di docce accessibili a chi vive per strada.
«Che cosa abbiamo imparato in tutti questi anni? A cambiare il passo e a essere umili, per trovare insieme a chi vive il disagio la strada giusta per aiutarli. Quando ci vengono a trovare i bambini per conoscere il nostro lavoro – conclude Luisa –, io dico sempre che qui si vive davvero il Padre Nostro. Uno non è obbligato a dare un soldo però, incontrare gli occhi dell’altro e sorridere, quello lo possono fare tutti. E perché tu quella persona l’hai guardata, gli hai ridato esistenza».