Editoriale

 Il presente fascicolo, numero 1/2010, si caratterizza per la ponderata audacia con la quale intende inserirsi con discrezione nel dialogo intorno ad alcune questioni cruciali proprie di un’epoca di transizione culturale quale la nostra, nell’intento di evocare suggestioni di approfondimento e di allargamento degli orizzonti.

 

Esso offre, infatti, gli atti del Seminario a carattere interno che l’Istituto ha organizzato, nei giorni 12 e 13 marzo 2010, sul tema: “L’innovazione culturale. Fenomenologia e prassi”. Obiettivo primo del Seminario era quello di mettere a fuoco lo spettro semantico dei termini “cultura” e “innovazione” a partire dai diversi contesti scientifici d’uso, declinati in relazione al dibattito interno a ciascuna disciplina e delle diverse discipline in dialogo tra loro, in modo da delineare con accresciuta puntualità la figura e il compito dell’Istituto Universitario Sophia, in quanto laboratorio d’innovazione culturale pertinente e realistica. Il nesso di questo secondo Seminario col precedente, tenutosi lo scorso anno, i cui atti sono pubblicati nel numero 1/2009 di “Sophia” e che aveva per tema “L’idea di università”, risulta evidente. Se infatti, come amava dire Giovanni Paolo II, la cultura è ciò in cui la persona umana accede, esprime e incrementa la sua umanità, l’innovazione è forma costitutiva e sfida incessante dell’umano e delle sue istituzioni, profondamente segnati, perlomeno in Occidente, dalla novità dell’evento di Gesù e dalla sua incidenza storica.

 

Il numero si compone di tre sezioni. Nella prima, che intende effettuare una ricognizione delle questioni in gioco, Pál Tóth, in prospettiva epistemologica, si concentra sul problem solving, interpretando la cultura come sistema di significati condivisi da una comunità umana per la risoluzione dei propri problemi, e leggendo, in questo contesto, i carismi come capacità innovativa per la risoluzione di problemi. Elena Granata, ancora in chiave epistemologica, propone un’idea d’innovazione come cambiamento di prospettiva che reinterpreta e conferisce nuova forma comunitaria a elementi provenienti dal passato, e dunque come creazione di una tradizione condivisa. Dal versante filosofico, Antonio Maria Baggio si occupa della relazione esistente tra innovazione e contesto comunitario, nel quale soltanto il nuovo può dispiegarsi e comunicarsi, sostando in particolare sull’amicizia come condizione della conoscenza nell’insegnamento platonico. Il nodo di un rapporto tra novità scientifica e innovazione culturale tale da rendere possibile un “umanesimo scientifico” è invece al centro dell’intervento di Sergio Rondinara, che illustra la propria proposta a partire dal significato della nozione di “cambio di paradigma”. Nell’ottica delle scienze economiche si situa il contributo di Luigino Bruni che, alla luce del rapporto tra “innovatori” e “imitatori”, legge le grandi innovazioni, anche economiche, come frutto di un’eccedenza antropologica della quale i carismi sono espressione. Tre gli interventi di carattere teologico: il primo, a firma di Piero Coda e di taglio sistematico, guarda all’evento di Gesù come riarticolazione delle direttrici fondamentali dell’esistenza umana. In questo senso, per sé la fede è già cultura, in quanto rilettura globale dei rapporti tra divino e umano a partire dal Dio trinitario, rivelato in Gesù, che attende però di essere pensato, interpretato e vissuto all’interno delle categorie di pensiero di tutti i popoli e rinnovando quelle categorie medesime, secondo una logica pasquale. Di taglio biblico è l’intervento di Gerard Rossé, che si sofferma sull’esperienza della filialità ricevuta mediante lo Spirito di Gesù come fonte e criterio d’innovazione nella Chiesa apostolica. Fabio Ciardi si occupa infine, mediante una rapida e suggestiva carrellata, del fatto dei carismi come fonte di innovazione culturale nel corso della storia della Chiesa. Seguono due contributi che intendono indagare lo specifico del carisma dell’unità come fonte d’innovazione culturale. Il primo è di Judith Povilus: alla luce dell’esperienza di pensiero maturata all’interno della “Scuola Abbà”, si propone la “cultura dell’unità” come un coltivare ogni particolare disciplina a partire dalla consapevolezza di una radicale unità del sapere, che ha in Gesù Abbandonato il suo centro e nel Risorto, presente in mezzo a due o più riuniti nella carità, il suo vero Soggetto, così che il nuovo che ne sgorga sia illuminato dal pensare stesso di Cristo (cf. 1Cor 2, 16). Il secondo testo, a firma di Bernhard Callebaut, si colloca invece nella prospettiva della sociologia della conoscenza: analizzando i primi anni della storia del Movimento dei Focolari, ci si domanda in quale senso, anche sotto il profilo dell’analisi sociologica, si possa intendere come innovazione la centralità attribuita a Gesù Abbandonato nell’esperienza e nel pensiero di Chiara Lubich.

 

Il Forum, che costituisce la seconda sezione del presente volume, si compone di quattro interventi, che intendono gettare degli sguardi iniziali su altrettanti aspetti del tema oggetto del Seminario: nel primo, Giovanni Casoli consegna alcuni spunti sulla dialettica tra artista, comunità d’appartenenza e innovazione, alla luce dell’evento di Gesù crocifisso e abbandonato; il secondo, di Vida Rus, si occupa delle indicazioni sul rapporto tra fede, cultura e innovazione offerte autorevolmente da Giovanni Paolo II nel corso del suo lungo pontificato; Andrea Ghidini pone in relazione gli scenari offerti dalle pedagogie del ‘900 e l’originalità della proposta culturale che sta prendendo forma nello IUS; Michele Zanzucchi, infine, si occupa del rapporto tra mass media e trasmissione della cultura dell’unità.

 

A partire da questo numero, infine, prende avvio la rubrica Recensione, che costituisce la terza parte del presente fascicolo e che ospiterà, a una o più voci, la presentazione critica di un’opera particolarmente importante, in ragione del suo valore intrinseco e del contributo che si ritiene possa offrire al dibattito scientifico, in relazione alle finalità che l’Istituto si propone di conseguire. Questo fascicolo propone, a firma di Gerard Rossé, la recensione del volume Tutto il vangelo in quel grido, traduzione (parziale) del lavoro di abilitazione svolto presso la Facoltà Teologica Evangelica di Tübingen in Germania da Stefan Tobler, oggi docente di Teologia Sistematica presso il dipartimento di teologia protestante di Sibiu (Romania).
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