Edipo a Colono vive in un luogo della memoria

Nella riscrittura di Ruggero Cappuccio, e la regia del lituano Tuminas, il personaggio di Sofocle approda in uno spazio sospeso nel tempo, in cui i segni incancellabili della classicità si specchiano con il clima novecentesco della psicanalisi, delle guerre, delle lotte tra popoli per il raggiungimento del potere

La regia di questo Edipo a Colono, nella versione di Ruggero Cappuccio (che ha debuttato la scorsa estate al festival Pompeii Theatrum Mundi), avrebbe dovuto firmarla Eimuntas Nekrosius. Ma l’improvvisa morte, nel novembre 2018, del grande regista lituano, interruppe le prove privandoci del suo inconfondibile e originale graffio d’artista, straordinario evocatore di immagini, artefice di un teatro visionario denso di simboli arcaici.

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Nel proseguimento del lavoro in prova al suo posto subentrò un altro lituano Rimas Tuminas dirigendo, per la prima volta nella sua carriera, un cast di attori italiani con un testo italiano. Comprensibilmente ne ha fatto uno spettacolo con la propria cifra stilistica, diverso dall’impianto originario pensato, e ricordando il connazionale con una dedica esplicita in chiusura di spettacolo facendo srotolare un’immagine con il volto del grande maestro. Di altri segni teatrali e citazioni è comunque costellata lo rappresentazione, ravvisabili da chi conosce la poetica di Nekrosius. Tra questi c’è un cumulo di scarpe – simbolo dello zoppicare del re esiliato, e dei piedi gonfi del suo vagare – buttate addosso al suo corpo morto disteso sopra un letto, sommergendolo. Un altro richiamo è dato da uno degli attori del Coro, Gianluca Merolli, il quale in una sequenza, mentre intona, con pathos, una sua personale versione della canzone napoletana Carmela, si carica sulle spalle l’enorme porta che lo divide dalla donna alla quale, struggendosi, cantava. Nel suo camminare curvo sotto il peso dell’uscio, riproduce esattamente un’immagine dal superbo allestimento del 2001 di Otello (era la suggestione di un dettaglio, di un gesto amplificato visivamente nel quale Nekrosius sapeva concentrare una intera sequenza di sentimenti).

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Anche le scene e altri elementi dell’allestimento di Tuminas – una scheletrica torre di legno, dei letti di ferro battuto – rimandano a quei materiali poveri usati dal celebre collega, che sovente richiamavano gli elementi naturali caricandoli di afflato poetico. E densamente poetica è la riscrittura di Cappuccio dell’opera di Sofocle, che fa parlare i personaggi e il Coro anche con l’inflessione napoletana e siciliana mescolata al rigore dei versi in endecasillabi e settenari. «La lingua che riaccende le luci dell’istinto e della ragione dei personaggi – spiega l’autore –, è un italiano eroso al suo interno dal vitalismo ellenico della Sicilia e di Napoli.

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Gli endecasillabi e i settenari che compongono la partitura di questo Edipo, liberano una polifonia ancestrale di suoni tesi ad illuminare il dramma del re cieco attraverso una potenza sensuale oltre che cerebrale. …Il percorso di purificazione di Edipo svela che la natura dei rapporti che l’uomo intrattiene con il proprio io, non sono di ieri o di oggi, ma di sempre». Nella sua riscrittura approdiamo in un luogo della memoria sospeso nel tempo, in cui i segni incancellabili della classicità si specchiano con il clima novecentesco della psicanalisi, delle guerre, delle lotte tra popoli per il raggiungimento del potere. La vicenda del re cieco, avanzato negli anni, scacciato e vilipeso dalla sua città, destinato a morire nel bosco sacro delle Eumenidi, dee della vendetta e del rimorso; della figlia Antigone che lo accompagna nell’erranza, e della sorella Ismene; del figlio Polinice in combutta per il potere col fratello Eteocle; dell’avverso re tebano Creonte e del giusto re Teseo che trasmetterà alla discendenza di Edipo il segreto del luogo della sua sepoltura, è ambientata da Cappuccio – complesso e affascinante testo scritto vent’anni fa – in un reclusorio “dove si esalta e custodisce la follia”. L’allestimento di Tuminas però non rispetta quest’ambientazione, né la presenza dei “poveri ospiti sofferenti” nei loro giacigli, qui sostituiti con un coro di guitti, cantanti e musicanti impegnati in esibizioni canore di vario genere su un palco improvvisato di letti, che si aggirano poi a osservare e intervenire come comparse di un teatrino espressionista, prendendo molto spazio.

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Vira anche in altri atmosfere la messinscena ma senza sperdere quella mesta e dolente considerazione conclusiva sulla vita, sull’infelicità che essa porta con sé, senso ultimo che caratterizza l’opera sofoclea della vecchiaia. Quell’alone di mistero, di dubbio, d’interrogazione dell’uomo che, della tragedia, Tuminas comunque mantiene, ci arriva soprattutto dalla superba interpretazione di Claudio Di Palma nel ruolo del protagonista Edipo. Il suo condursi fino alla morte come liberazione da una condizione di esasperato conflitto interiore, ci dà il senso di quella soglia dalla quale guardare retrospettivamente l’esistenza, per cercare di decifrarne il significato ultimo.

“Edipo a Colono”, di Ruggero Cappuccio liberamente ispirato all’opera di Sofocle, regia Rimas Tuminas, con Claudio Di Palma, Marina Sorrenti, Fulvio Cauteruccio, Franca Abategiovanni, Gianluca Merolli, Davide Paciolla, Rossella Pugliese; coro Nicolò Battista, Martina Carpino, Cinzia Cordella, Simona Fredella, Gianluca Merolli, Enzo Mirone, Francesca Morgante, Erika Pagan, Alessandra Roca, Piera Russo, Lorenzo Scalzo; scene e costumi Adomas Jacovskis, disegno luci Eugenius Sabaliauskas, musiche Faustas Latenas, coreografie Anzelica Cholina. Produzione Teatro Stabile Napoli – Teatro Nazionale, Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia. A Napoli, Teatro San Ferdinando, dal 6 al 16/2.

 

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