Edifici religiosi? In aree riservate
È ormai trascorso un anno da quanto il Consiglio regionale del Veneto ha approvato le modifiche alla legge regionale 11/2014, “Norme per il governo del territorio in materia di paesaggio”, conosciuta come “legge antimoschee”, finita non solo sotto gli strali da parte dell’opinione pubblica ma anche sotto quelli del governo – che ha fatto ricorso alla Corte Costituzionale – : diversi indizi infatti davano a credere che tale modifica, pur non nominando mai espressamente i luoghi di culto musulmani, volesse colpire questi in particolare. In realtà il dettato della norma pone dei vincoli in quanto ad aree dove è consentita l’edificazione di sedi di associazioni con finalità religiosa ed edifici di culto che riguardano tutte le fedi.
La legge prevede che gli edifici di questo genere possano sorgere soltanto nelle cosiddette “aree F”, quelle destinate a infrastrutture e impianti di interesse pubblico, nella maggior parte dei Comuni collocate in periferia; e che debbano disporre di strade, parcheggi e opere di urbanizzazione adeguate («con oneri a carico dei richiedenti», ossia a loro spesa), previa convenzione stipulata col Comune, che è l’ente preposto a valutare l’adeguatezza delle strutture, con criteri che però il testo delle legge non esplicita e che quindi sono lasciati alle singole amministrazioni. La legge ha inoltre disposto l’uso obbligatorio dell’italiano per le pratiche non strettamente connesse alle attività di culto. Unica deroga, comprensibilmente, quella per gli edifici già esistenti.
Il ricorso era stato promosso in quanto il provvedimento era considerato discriminatorio: molti gruppi religiosi sono infatti formalmente delle associazioni, la libertà religiosa e quella dell’utilizzo della propria lingua sono considerati diritti fondamentali, e la facoltà del sindaco di decidere i criteri di adeguatezza era vista come arbitraria. La corte si è pronunciata pochi giorni fa, con un verdetto che lo stesso governatore del Veneto, Luca Zaia, ha definito “sorprendente”: la legge è infatti uscita pressoché intatta dal vaglio della Consulta, eccetto per quanto riguarda l’obbligatorietà dell’italiano.
Proprio il fatto che la legge non ponga alcuna distinzione religiosa è, secondo la Corte, motivo per non ravvisare profili di incostituzionalità: tanto le associazioni musulmane quanto quelle cattoliche, dagli scout alla Caritas, ne sono destinatarie. I giudici definiscono “conforme al dettato costituzionale la possibilità che le autorità competenti operino ragionevoli differenziazioni”; ma sottolineano comunque che “si dovranno valutare tutti i pertinenti interessi pubblici e si dovrà dare adeguato rilievo all’entità della presenza sul territorio dell’una o dell’altra confessione, alla rispettiva consistenza e incidenza sociale e alle esigenze di culto riscontrate nella popolazione”.
Se la Giunta brinda all’“indiscutibile vittoria”, come l’ha definita Zaia, le voci più allarmate si levano non dal mondo musulmano ma da quello cattolico: e una delle più prominenti è quella de La Difesa del Popolo, il settimanale della diocesi di Padova. «Se l’obiettivo era quello di impedire per questa via la preghiera del venerdì ai fedeli di religione musulmana o il proliferare di luoghi di culto improvvisati – si legge -, non sfuggono a nessuno le conseguenze che un’applicazione ferrea della legge potrebbe avere […]. Si pensi alla parrocchia che decide di realizzare un campo da gioco in un terreno di proprietà attiguo alla chiesa: il sindaco potrà vietarlo perché le aree in cui sorgono le nostre parrocchie non sono di tipo F. Stesso discorso vale per una comunità che volesse costruire in centro paese una nuova scuola per l’infanzia. Ma si arriva ai casi assurdi per cui, siccome la legge norma anche gli spazi all’aperto usati saltuariamente per il culto, un gruppo scout dovrà sottostare alla legge urbanistica per le proprie attività. Per non parlare dei gruppi che si ritrovano a pregare nelle case private». «Tutto costituzionale» dunque, conclude il giornale, «ma non per questo meno preoccupante».
Finita qui dunque? Non necessariamente, e non solo perché le associazioni coinvolte da queste norme promettono di continuare a dare battaglia. Il ministro dell’Interno Minniti, ha infatti ricordato Zaia, recentemente «ha sottoscritto un accordo con la comunità islamica moderata italiana che prevede proprio l’uso della nostra lingua nelle moschee. Anche l’accordo del Governo è quindi da ritenersi incostituzionale?».