Economia di pace, dallo Yemen alla Germania

Tre anni di impegno concreto per la pace del Comitato riconversione Rwm, dal Sulcis al mondo intero
Pace, Run for unity Iglesias

Da cosa nasce l’impegno per la pace in Sardegna, nel territorio del Sulcis iglesiente? La riconversione di una fabbrica che produce in loco e vende (legalmente) bombe d’aereo anche a Paesi in guerra, nonostante la Costituzione, i trattati internazionali, la L.185/90, richiede di guardare al tema in maniera globale.

Lo abbiamo capito da subito, quando abbiamo scelto un nome lunghissimo per il nostro Comitato: “per la Riconversione della RWM per la pace, il lavoro sostenibile, la riconversione dell’industria bellica, il disarmo, la partecipazione civica a processi di cambiamento, la valorizzazione del patrimonio ambientale e sociale del Sulcis-Iglesiente”.

Ci siamo decisi all’indomani di una grande manifestazione nella piazza principale di Iglesias, a seguito della Run for unity, nel maggio 2017, iniziativa annuale promossa ogni anno dal Movimento dei Focolari a livello mondiale per sostenere percorsi di unità e pace nelle diverse nazioni.

Ci siamo autoconvocati con tante associazioni presenti per capire come dare gambe a un bisogno di pace non astratto, capace di mettere il dito nella piaga del territorio, con lo sguardo sul mondo. Dopo una settimana abbiamo fatto delle scelte di metodo e di sostanza.

Uno statuto esile, un nome complesso, il dialogo tra associazioni differenti, ognuna delle quali già in rete con altre. Si è trattato di entrare insieme nella complessità, condividendo le risorse di esperienza e competenza accumulate da ciascuna realtà in anni di impegno sul territorio.

Costruire la pace comporta conoscere molti dei temi connessi e scegliere azioni concrete che individuino i punti nodali, offrendo un percorso che, pur partendo dal locale, abbia caratteri di universalità.

A guardare la piega che ha preso la politica della difesa in vari Paesi del mondo, pare che non ci sia spazio per la speranza. A leggere le dichiarazioni sulla stampa provenienti dagli ambienti che contano, si incontra un linguaggio inquietante a cui è importante accedere con opportune chiavi di lettura.

L’industria bellica è considerata il fiore all’occhiello della nazione, il caso Regeni deve essere tenuto in una sfera a parte rispetto alla necessità di vendere armi all’Egitto, l’adesione al “cessate il fuoco globale” di Guterres e papa Francesco, è concepita dai Governi che vi hanno aderito, come il nostro, come una questione formale. Non un fatto capace di orientare le decisioni concrete in campo politico ed economico.

Insomma, a guardare la storia attuale sembra non ci sia spazio per la pace, ma che questa istanza sia patrimonio di ingenui. La guerra, invece, con i soldi che riesce a muovere, viene considerata un elemento imprescindibile, realistico e concreto, per persone avvedute e tecnologicamente orientate.

Nemmeno in tempo di Covid sembra che l’economia voglia puntare sul miglioramento della salute e della cultura, sottraendo terreno all’industria bellica, che ha funzionato anche durante il lockdown.

La Rwm, azienda controllata dalla multinazionale tedesca Rheinmetall, ha fatto sapere, attraverso la voce degli esponenti della politica locale, il proprio impegno di solidarietà nel regalare mascherine protettive a una comunità che nutre delle aspettative dall’offerta di lavoro dell’impresa.

E, sempre la stessa azienda, pur lamentando una crisi aziendale legata all’embargo temporaneo imposto dalla corretta applicazione della L.185/90, ha proseguito nei lavori di costruzione dei nuovi reparti trovando ampia collaborazione dalle amministrazioni locali nel progetto di espansione sul territorio.

Una strategia che si basa sulla promessa di lavoro e di investimenti in alta tecnologia, mentre le industrie belliche, è bene ricordarlo, producono guadagni ingenti per pochi senza creare sviluppo duraturo nei territori.

Osservando, tuttavia, in profondità la realtà sociale, si scorge una nuova vitalità dei gruppi per un’economia di pace che costruiscono connessioni e collaborazioni in un modo creativo. Anche il Comitato è un contenitore di esperienze in rete, di contatto con esperti nei vari settori, da quello industriale a quello ambientale, dal diritto all’economia, alla sociologia del lavoro, al giornalismo, alle associazioni vicine alle popolazioni stremate dalla guerra e dalla fame o impegnate strenuamente a difendere i propri territori dalle produzioni belliche.

Si tratta di un patrimonio che stenta ad emergere nei grandi media, ma esiste anche una qualificata informazione libera e la possibilità di comunicazione diretta offerta dai sociale.

Dalla nascita del Comitato abbiamo promosso uno spazio di condivisione nel mese di maggio sui temi della pace. Lo abbiamo fatto anche adesso, in tempo di pandemia, con tre collegamenti web sui temi della riconversione e dell’impegno, consentendo a molti di conoscere cosa si muove nelle pieghe della storia.

Lo abbiamo fatto collegandoci con gli attivisti per i diritti umani in Yemen, dove le bombe prodotte in Italia vengono utilizzate, che hanno offerto il quadro drammatico della vita in quel Paese dove il contrasto al contagio da Covid 19 è vissuto in ospedali bombardati e sotto l’incalzare dell’epidemia di colera indotta dal conflitto in corso dal 2015.

Abbiamo cercato di condividere le proposte di cambiamento operanti in Italia, l’intervento degli “azionisti critici” di Banca etica all’assemblea dei soci della Rheinmetall, i contributi di docenti universitari di differenti discipline, giornalisti e artisti che esprimono il ripudio della logica della guerra. Uno spaccato della società del cambiamento possibile.

Nello storytelling ha trovato spazio anche la nostra ultima iniziativa, in partenariato con la Chiesa evangelica della regione tedesca del Baden e la Federazione delle Chiese evangeliche italiane. Si tratta della costituzione di una rete di imprese libere dall’impronta della guerra (war free) a partire dal Sulcis-Iglesiente.

Là dove si preparano le guerre, sostenendo l’economia che uccide, deve nascere una reazione di pace, a favore di un’economia disarmata, capace di produrre ricchezza da redistribuire sul territorio.

Un percorso dei cittadini, dal basso, con azioni concrete per stimolare le istituzioni a compiere scelte responsabili in linea con la nostra Costituzione che ripudia la guerra e non ci permette di restare indifferenti al grido di giustizia e pace delle persone di ogni latitudine che sentiamo nostri fratelli e sorelle.

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