Economia globale e bolla cinese

Il terremoto finanziario che parte dalle borse cinesi è il risultato di scelte di politica economica basate sull'incentivazione dei consumi senza un programma di investimenti in grado di far crescere l'economia reale. Intervista a Andrea Baranes di Banca etica
china market

Continuiamo la pubblicazione dell'intervista a Andrea Baranes , presidente della Fondazione culturale di Banca etica.

 

Quali sono le conseguenze a livello mondiale della finanza ipertrofica che sta facendo sussultare i mercati cinesi? 

«Il rischio reale è quello di assistere a un contagio a tutte le principali Borse mondiali, con cali più o meno repentini. Da un lato esiste ormai un unico mercato finanziario globale, con capitali che ruotano 24 ore su 24 alla ricerca di possibili profitti. Un collegamento sempre più stretto che fa sì che problemi locali si ripercuotano rapidamente in tutto il Pianeta. C’è però anche una seconda questione: la ripresa, in particolare in Europa, stenta. Soprattutto, a causa delle decisioni di politica economica di questi anni, parliamo di una ripresa che si fonda in massima parte sulle esportazioni. I piani di austerità e i tagli hanno depresso la domanda interna, mentre si è puntato tutto sulla competitività per esportare più del vicino».

 

Dal quadro generale offerto sulla bolla speculaiva cinese (esposto nella prima parte dell'intervista) ne ricaviamo  la sensazione di assistere a meccanismi finanziari automatici sottratti ad ogni tipo di intervento esterno. È così?  

 

«Si potrebbe e si dovrebbe intervenire alla radice dei problemi. Da un lato rivedere le assurde politiche di austerità, la competitività come un valore assoluto, l’economia fondata unicamente su chi esporta di più al prezzo più basso. Una competizione sulla pelle di chi lavora che non porta da nessuna parte. Non si può fondare la ripresa economica sui consumi, meno che mai sull’export».

 

Da dove ripartire allora?

«Occorrono non consumi ma investimenti, e investimenti di lungo periodo: nella mobilità sostenibile, nelle energie rinnovabili, nella riconversione ecologica dell’economia. Il problema è che le risorse per tali investimenti non arrivano da una finanza pubblica massacrata dall’austerità e non arrivano da una finanza privata sempre più scollegata dalla realtà. Questo porta al secondo intervento necessario: chiudere una volta per tutte questo casinò finanziario, e riportare la finanza a essere uno strumento al servizio della società, non un fine in sé stesso per fare soldi dai soldi.

Per questo servono regole dall’alto, ma anche una riflessione “dal basso” sull’uso dei nostri risparmi. Quanto i nostri soldi, una volta depositati in banca o affidati a un gestore, alimentano questo stesso sistema del quale siamo vittime? Possiamo e dobbiamo esigere la massima trasparenza sull’uso dei nostri soldi, e farne un uso consapevole. Sottrarli alle logiche speculative e al contrario indirizzarli verso progetti che creano lavoro e con ricadute positive sull’ambiente e la società. La finanza etica mostra che un’alternativa concreta esiste ed è già una realtà per decine di migliaia di clienti».

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