Economia e carismi: un incontro necessario

L'autore, professore all’Università di Milano-Bicocca e membro dell’Istituto Superiore di Cultura Sophia di Loppiano, sviluppa in questo articolo il contenuto di un suo saggio (Milano 2006).

“Oggi arriva la salvezza nella nostra parrocchia: una famiglia con sei bambini, tutti handicappati” (Don Milani).

Occhi che sanno vedere 

È sempre più urgente riscrivere la storia economica e civile dei popoli prendendo sul serio il ruolo, civile ed economico, dei carismi.

Che cos’è un carisma? Sono molte le definizioni possibili. In queste pagine per carisma intendo un dono di “occhi diversi” capaci di vedere cose che altri non vedono, occhi che vedono di più e di diverso dagli altri. Colei o colui che riceve un carisma, è capace di vedere dei valori laddove gli altri vedono solo disvalori, bellezze in bruttezze, doni in problemi.

L’azione dei carismi è vasta e potente, ricopre e permea di sé il mondo, è come il sangue che scorre nelle vene delle storia. Le religioni sono da sempre luoghi privilegiati nei quali i carismi fioriscono, perché vi trovano un terreno particolarmente fertile; ma l’azione dei carismi va ben oltre i confini visibili delle religioni, è ciò che di più laico si possa immaginare.

Restando solo nell’ambito economico, pensiamo, per fare solo qualche esempio in età recente, ai tanti uomini e donne che si sono impegnati per dar vita al movimento sindacale, alle cooperative, ai fondatori di casse di risparmio, di casse rurali, che, ieri come oggi, continuano a trasformare problemi in risorse e in opportunità, grazie agli “occhi” diversi con cui guardano il mondo e le persone.

La storia dell’umanità, compresa quella economica e sociale, è anche il frutto di questi carismi. Potremmo pertanto parlare di una vera e propria economia carismatica che, per usare la griglia teorica e concettuale di Urs Von Balthasar, è in dialogo con l’economia istituzionale delle grandi imprese, dello Stato.

L’economia carismatica è, dunque, una dimensione co-essenziale della vita civile, senza la quale ci sfugge molto della realtà. Senza i carismi di fondatori di ordini e congregazioni sociali tra seicento e novecento, ad esempio, la storia del welfare-state europeo sarebbe stata ben diversa: gli ospedali e l’assistenza sanitaria, la scuola e l’istruzione, la “cura del disagio”, sono stati senz’altro frutto di politiche pubbliche e di “istituzioni”.

Ma non meno importante e generalizzata è stata l’azione dei carismi, che hanno fatto da apripista, da innovatori in questi terreni di frontiera2. Chi può negare, ad esempio, l’influsso che ha avuto sulla cultura sociale europea un Vincenzo de’ Paoli che nel seicento diede vita in Francia a sistemi complessi di assistenza e di promozione di molti emarginati!3.

Un grande ambito dove i carismi da sempre sono all’opera trovando soluzioni nuove è la povertà. Ma qui occorre una premessa per me di fondamentale importanza.

Dobbiamo usare molta attenzione quando parliamo di povertà. La povertà, certamente dopo il Cristianesimo, ha uno spettro semantico molto ampio, che va dalla tragedia di chi la povertà la subisce (dagli altri, dagli eventi), alla felicità di chi la povertà la sceglie liberamente per amore degli altri (che cos’è se non anche questo il senso profondo dell’azione delle decine di migliaia di missionari che operano nei paesi più svantaggiati?)4.

L’economista iraniano M. Rahnema, ad esempio, ne individua cinque forme: “Quella scelta da mia madre e da mio nonno sufi, alla stregua dei grandi poveri del misticismo persiano; quella di certi poveri del quartiere in cui ho passato i primi dodici anni della mia vita; quella delle donne e degli uomini in un mondo in via di modernizzazione, con un reddito insufficiente per seguire la corsa ai bisogni creati dalla società; quella legata alle insopportabili privazioni subite da una moltitudine di esseri umani ridotti a forme di miseria umilianti; quella, infine, rappresentata dalla miseria morale delle classi possidenti e di alcuni ambienti sociali in cui mi sono imbattuto nel corso della mia carriera professionale” (2005, p. x).

Anche per esperienza diretta sono convinto che nessuna forma di povertà può essere risolta senza amarla: solo chi sa vedere in una forma di povertà qualcosa di bello riesce a redimerla. Ecco quindi perché senza i carismi dalle trappole di povertà non si esce mai del tutto: le istituzioni non bastano. 

Cenni di storia di economia carismatica 

La società antica vedeva nel lavoro manuale qualcosa che si addiceva solo allo schiavo. Benedetto e i padri del movimento monacale vi videro qualcosa di “più e di diverso” e lo posero al centro della nuova vita delle loro comunità: ora et labora.

La città di Assisi nei poveri vedeva solo lo scarto della società. Francesco vide in essi “madonna povertà”, qualcosa di così bello che lo portò a sceglierla come ideale della sua vita e di quella dei tanti che lo seguirono e lo seguono.

Fu dai francescani minori che nel XV secolo nacque l’istituzione dei Montes Pietatis che rappresenta la prima forma di banca popolare, nata come “cura della povertà”. Dove quel “pietatis” rimandava all’Imago pietatis, il Crocifisso, che i francescani, grazie alla luce del loro carisma, vedevano anche nelle vittime dell’usura nelle città italiane della prima economia di mercato.

Negli indigeni del Paraguay i regnanti portoghesi e spagnoli vedevano una specie non sostanzialmente diversa dagli animali della giungla, a cui si negava persino l’anima. Il carisma di Ignazio di Loyola consentì di vedere in quelle popolazioni qualcosa di “più e di diverso” e di inventare quell’esperienza profetica di civiltà e di inculturazione che furono le “reductiones” nei secoli XVII e XVIII, forme di economie sociali ante litteram.

Luisa de Marillac, Francesco di Sales, Giovanna di Chantal, e poi Don Bosco, Scalabrini, Cottolengo, Don Calabria, Francesca Cabrini, Don Milani, hanno ricevuto occhi per vedere nei poveri, nei vergognosi, nei derelitti, nei ragazzi di strada, negli immigrati, nei malati, persino nei deformati, qualcosa di grande e di bello per cui valse di spendere la loro vita e quella delle centinaia di migliaia di persone che li seguirono, attratti e ispirati da quei carismi.

Oggi possiamo trovare – se li sappiamo e vogliamo vedere – tantissime persone portatrici di carismi che ancora fondano cooperative sociali, ONG, scuole, ospedali, banche, sindacati, lottano per i diritti negati degli altri/e, dei bambini, degli animali, dell’ambiente, perché vedono “di più e di diverso” da tutti gli altri.

Nell’età attuale, se è vero che su alcuni fronti mostra una radicale tendenza all’individualismo e all’impoverimento ideale e spirituale, è altrettanto vero che si assiste anche ad una ricca fioritura di carismi, all’opera nelle mille battaglie di civiltà e di libertà: Gandhi, Nelson Mandela, Martin Luther King, Dorothy Day, ma anche Mohammad Yunus, o, per restare in casa nostra, Andrea Riccardi, Don Benzi, Ernesto Olivero, Luigi Giussani, Chiara Lubich.

Persone diverse, ma tutte capaci di non fuggire di fronte ai problemi dei mondo, ma restarne attratti, amarlo, e trasformare così il dolore in amore, la croce in resurrezione.

Inoltre, anche se resta vero che la forma dell’amore tipica del “carismatico” è l’agape, occorre sempre tener presente che l’amore agapico è fecondo e umanamente maturo quando racchiude in sé anche le forme della philia e dell’eros.

Il portatore di un carisma non è essenzialmente un altruista né un filantropo, ma un costruttore di comunità (philia) e un innamorato (eros). Chi, perché animato da un carisma va in cerca dei diseredati, dei lebbrosi, dei “soli”, è mosso anche dall’amore-eros, dal desiderio, perché ha occhi per vedere qualcosa che lo affascina (altrimenti si può solo fuggire, alla lunga, dai problemi e dai mali)5.

Ciò è eminentemente vero per i carismi religiosi, ma lo è non di meno pei carismi non esplicitamente o primariamente religiosi. Solo chi è appassionato e innamorato riesce a trascinare e attrarre altri dietro di sé, e la passione appartiene al repertorio dell’eros.

Sono convinto che quando il Nobel per la pace M. Yunus iniziò negli anni settanta la sua Grameen Bank lo fece perché era profondamente attratto e “innamorato” delle persone dei villaggi poveri del suo Paese. Senza eros non si risolve nessun “problema”, perché chi è aiutato deve sentirsi attraente, bello, amabile.

I carismatici, le persone portatrici o che partecipano di un carisma, redimono dunque le povertà non scelte dagli altri perché le vedono come qualcosa che nasconde una forma di ricchezza: “non chiamateli problemi”, ripeteva spesso Madre Teresa, “chiamateli doni”.

Un altro ambito dell’umano dove i carismi sono evidenti a tutti è l’arte. Il carismatico, infatti, somiglia molto all’artista, e l’artista è certamente un portatore di un carisma, e non è certamente un caso che, ieri come oggi, attorno ai grandi carismatici fioriscono tanti artisti.

Mi raccontava un artista che lavora col legno: “Ogni tanto trovo un pezzo di legno nel bosco, o nella catasta della mia baracca, e vi vedo dentro la scultura”. I “non artisti” nei pezzi di legno vedono solo qualcosa da ardere per la stufa; l’artista ha invece occhi diversi, e vi vede un cerbiatto, un aquila, una rosa, un crocifisso.

I carismatici sono così: in persone e situazioni che tutti gli altri scartano essi sanno vedere il capolavoro, sanno vedere la rosa con la spina, il risorto assieme al crocifisso. Gli artisti, poi, certamente i grandi, sono loro stessi dei “trasformatori” di bruttezze in bellezze, di “ferite” in “benedizioni”: l’opera d’arte nasce normalmente da un dolore amato e sublimato in se stessi, negli altri, nella natura. Chi non credesse alla presenza dei carismi nell’umanità dovrebbe spiegare la presenza e l’azione degli artisti6. 

Carismi e gratuità 

La parola carisma proviene dal greco kharis, grazia, che letteralmente significa: “ciò che dà gioia”, che poi è la stessa radice della parola gratuità. C’è dunque un grande nesso tra carismi e gratuità, dove per gratuità qui intendo quell’atteggiamento interiore che porta ad accostarsi ad ogni persona, ad ogni essere, a se stessi, sapendo che quella persona, quell’essere vivente, quell’attività, me stesso, non sono “cose” da usare, ma realtà da rispettare e amare in sé perché hanno un valore che accolgo e rispetto perché lo riconosco come buono.

Ecco perché non c’è gratuità senza motivazioni intrinseche. Se quando mi accosto a te trovo la ricompensa nel rapporto che assieme stiamo generando, allora è possibile che non strumentalizzi il rapporto con te per uno scopo individuale.

Solo se quando pratico uno sport traggo soddisfazione dalla stessa pratica sportiva allora non strumentalizzo il mio corpo per il successo o per il denaro (ecco perché l’uso del doping, o la corruzione degli arbitri, è grave in ogni sport, perché segnala una crisi di gratuità, e senza gratuità non c’è più sport-gioco ma solo spettacolo o business).

Per questa ragione ritengo che un’azione gratuita non debba necessariamente essere altruista (cioè rivolta verso un’altra persona umana). Invece esiste una forte relazione tra gratuità, carisma e vocazione. Chi ha una vocazione (dal missionario all’artista) può operare in modo non strumentale, accostare un povero o fare un dipinto trovando in quell’attività la principale ricompensa.

Senza gratuità-carisma-vocazione le azioni umane sono sempre strumentali e non hanno la leggerezza del dono.

Nella mia visione della gratuità, anche quando dipingo, pratico uno sport, amo la natura, o leggo un libro, posso fare esperienze di gratuità se sono animato da motivazioni intrinseche7.

È questa, credo, la ragione che ci porta a provare gioia nel vedere un’altra persona svolgere un’attività per motivazioni intrinseche, anche quando a noi da quella azione non ne viene nulla (quando osserviamo un poeta, o uno sportivo “genuino”, ecc.), e a restare profondamente delusi e amareggiati quando ci accorgiamo di esserci ingannati circa le vere motivazioni, una volta rivelatesi in realtà non intrinseche e genuine8.

La gratuità è una sorta di “bene meritorio”, che produce, anche inintenzionalmente, effetti positivi sugli altri. 

Carismi e innovazione 

Non c’è sviluppo pienamente umano, e non c’è innovazione sociale, senza i carismi. Esiste, nel sociale, un meccanismo molto simile a quello ipotizzato da Schumpeter (1911) per l’innovazione imprenditoriale.

Nella sua Teoria dello sviluppo economico, il grande economista austriaco ha proposto una delle teorie economiche più suggestive, e rilevanti, del novecento, distinguendo tra imprenditori “innovatori” e imprenditori “imitatori”.

L’innovatore è quella persona che rompe lo stato stazionario e con una nuova idea crea valore aggiunto e sviluppo, portando avanti l’economia. Poi arrivano, come uno sciame di api attratte dalla nuova opportunità di profitto, altri imprenditori “imitatori” che fanno propria quell’innovazione, che da quel momento in poi diventerà parte integrante dell’intero mercato e della società, riportando così il sistema in equilibrio e allo stato stazionario.

Finché non arriveranno altri innovatori, che spingeranno avanti “i paletti dello sviluppo economico”, per un nuovo processo di innovazione-imitazione, che è il vero circolo virtuoso creatore di ricchezza e di sviluppo.

Sono convinto che nella dinamica civile sia all’opera un meccanismo simile, una dinamica tra “carisma” e “istituzione”. Il carismatico innova, vede bisogni insoddisfatti, individua nuovi poveri, apre nuove strade alla fraternità, spinge più avanti i “paletti dell’umano” e della civiltà. Poi arriva l’istituzione (lo stato, ad esempio), che imita l’innovatore, fa sua l’innovazione, e la fa diventare “normale”, la istituzionalizza.

Pensiamo, come esempio sempre in ambito economico, al tema della responsabilità sociale dell’impresa. Negli anni cinquanta e sessanta sono stati degli innovatori sociali, dei carismatici (nel mio linguaggio)9, che hanno iniziato liberamente e per vocazione interiore (per motivazioni intrinseche) a scrivere una rendicontazione non solo economica e finanziaria, ma anche ambientale e sociale. Oggi, a distanza di decenni, in certi settori o Paesi (vedi la Francia) redigere un bilancio sociale sta diventando un obbligo di legge: lo Stato ha imitato e ha istituzionalizzato l’innovazione.

Altro caso in tema di consumo etico e responsabile: i primi ad innovare e a proporre più alti standard etici nella produzione sono stati dei carismatici (i fondatori del commercio equo e solidale, ad esempio). Oggi anche imprese più tradizionali e grandi istituzioni economiche li stanno imitando, alzando (perché magari costretti dalla domanda) i loro standard, e gli Stati e le istituzioni internazionali stanno via via rendendo obbligatorie certe innovazioni sociali ed umane (sul lavoro minorile, ad esempio).

Un processo analogo lo ritroviamo nel campo dei diritti umani, o dell’ambiente: persone portatori di carismi che innovano, spingono avanti la frontiera dell’umano, e le istituzioni che poi seguono10.

Gli innovatori, quindi, sono presto raggiunti dalla istituzione (e per fortuna: la “temperatura civile” dell’umanità si alza!), e se non sono capaci di nuove innovazioni presto gli innovatori saranno indistinguibili dagli imitatori.

La civiltà avanza grazie a questa dinamica carisma-istituzione: fermarla o combatterla significa frenare lo sviluppo civile; e quando ci sono tali tentazioni, abbiamo già i primi segnali di crisi della forza carismatica di una esperienza.

Il vero innovatore non ha mai timore dell’imitatore: quando l’innovazione entra in crisi, si guarda all’imitatore come un rivale in un “gioco a somma zero” (come il poker), e tutta l’attenzione ricade sugli aspetti redistributivi dello scambio, si prende cioè la “torta” come un dato, cercando solo di accaparrarsi la “fetta” più grossa11. 

Una conclusione 

La storia dell’umanità è stata da sempre accompagnata da doni di carismi che hanno reso il giogo della vita economia e civile sopportabile e in certi casi soave. Se oggi, per un esperimento, bloccassimo l’azione dei carismi nella vita pubblica, la società imploderebbe nello spazio di un mattino.

Nel mondo pre-moderno i carismi hanno visto e curato soprattutto le ferite fisiche, dando vita a strutture di benedizione, come sono stati per secoli ospedali, scuole, orfanotrofi, ecc., ferite amate dai tanti fondatori di ordini religiosi e non solo che hanno reso l’umano sempre più umano e l’esistenza terrena sopportabile per molti svantaggiati e esclusi.

Nella modernità e post-modernità la ferita da curare è sempre più la ferita della relazione, l’incapacità di incontrarsi nella reciprocità: questa ferita “spirituale e relazionale” mostra sempre più la sua drammaticità. Siamo in attesa di nuovi carismi (e se fossero già in azione?12), di occhi nuovi che ci aiutino a vedere benedizioni in queste ferite.

Il carisma dell’unità di cui è portatore il Movimento dei Focolari è già uno di questi carismi che curano le piaghe spirituali di tanti uomini e donne del nostro tempo, un dono di occhi nuovi che fanno capaci coloro che partecipano del carisma di vedere oltre le piaghe sanguinanti delle solitudini e delle incomunicabilità del nostro tempo la possibilità della fraternità universale.

 

NOTE

1 Bibliografia: L. Bruni (2006), Reciprocità, Bruno Mondadori, Milano 2006; Id., La ferita dell’altro, Il Margine, Trento 2007; M. Ranhema, Quando la povertà diventa miseria, Einaudi, Milano 2005; J.A. Schumpeter, Teoria dello sviluppo economico, in Nuova collana degli economisti, Utet, Torino 1971 (1911).

2 Credo che la diversa storia del “welfare state” in Europa e in Usa non possa essere spiegata senza tirare in ballo il diverso ruolo che in questi due contesti culturali hanno svolto i carismi, una diversità che affonda le sue radici nell’etica protestante, da una parte, e quella cattolica dall’altra. Non voglio qui riferirmi direttamente alla nota teoria di Weber sui diversi “spiriti” protestante e cattolico in relazione allo sviluppo del capitalismo, ma porre l’accento su qualcosa di diverso: i due diversi contesti culturali hanno fatto emergere carismi diversi, che, negli USA, ha preso essenzialmente le forme del filantropo, mentre in Europa (quella mediterranea certamente), quella di “comunità carismatiche” (religiose, ma anche civili: si pensi al movimento cooperativo e all’associazionismo).

3 Interessante, infatti, è notare che tutta l’opera di San Vincenzo de’ Paoli ben prima della moderna riflessione anti-assistenzialista parlava già di reciprocità e di promozione umana dei poveri: “Vi prego di aiutare i poveri a guadagnarsi la vita, dando loro qualche utensile con cui lavorare alla mietitura. Potreste raccomandare loro di preparare qualche pezzo di terra, ararlo e concimarlo e di pregare Dio che mandi un po’ di semente da gettarvi; e, senza promettere ancora nulla, dar loro speranza che Dio vi provvederà. Vorremmo che anche tutti gli altri poveri che non hanno terra, si potessero guadagnare da vivere, tanto gli uomini che le donne: dando agli uomini utensili per lavorare, alle donne e alle ragazze delle macchine per tessere/en della filaccia e della lana da filare. La Compagnia non intende fomentare la pigrizia dei poveri validi, né delle loro famiglie: perciò non darà loro se non il necessario per integrare il modesto guadagno del loro lavoro. Quelli che saranno trovati a mendicare durante la settimana nelle strade o nelle chiese, o di cui le Dame avranno fatto giusti lamenti, non avranno nulla la domenica seguente” (Vincenzo de’ Paoli a Giovanni Parre C.M, in www.sanvincenzoitalia.it/sanvincenzo/3.htm).

4 Sono queste povertà, quelle di Francesco d’Assisi o di Gandhi, che non possono essere sradicate dalla terra, che non possono diventare solo storia (per citare alcune espressioni dei programmi dell’ONU), perché se per disgrazia accadesse l’umanità ne uscirebbe terribilmente impoverita (ora sì l’aggettivo è adeguato). Sono infatti convinto che non c’è felicità senza qualche forma di povertà (da se stessi, dalle merci, dal potere, ecc.) liberamente scelta: questa povertà è una di quelle ferite alle quali è legata una benedizione. Per le povertà subite, non scelte, esistono in italiano altre “belle” parole: indigenza e miseria, che sarebbe bello trovare più spesso nel media.

5 Parlavo durante una conferenza dei carismi “civili”, e una professoressa (scienziata) ha esclamato: “Non dica carismi civili: esistono carismi e basta, senza aggettivi”. Mi è parsa una bella precisazione.

6 Anche nella scienza, nella poesia (che è una forma alta d’arte), nello sport, sono all’opera carismi che spingono avanti le frontiere dell’umano, e rendono il cammino della vita gioioso.

7 Mi rendo conto che con questa mia definizione di gratuità tengo dentro anche il terrorista che uccide per motivazioni intrinseche. Preferisco, comunque, allargare in questa direzione (cosa che potrebbe essere ovviata aggiungendo a “gratuità” un semplice aggettivo o qualche parola in più), piuttosto che confonderla con il semplice “dare” o “fare” qualcosa per gli altri.

8 Mi ha colpito un commento di un telecronista sportivo di fronte all’annuncio che un campione di un importante gara ciclistica era stato trovato positivo ad un controllo antidoping: “È l’esperienza peggiore per un giornalista, poiché hai l’impressione di aver raccontato bugie per anni”.

9 In Italia penso, nel campo della responsabilità sociale, una persona che è stato portatore di una carisma è stato Adriano Olivetti il quale, non a casa, parlava di “impresa di comunità”.

10 Ciò non vuol dire che non ci siano dei carismi anche nelle istituzioni: la dinamica carisma-istutizione si svolge anche all’interno delle istituzioni stesse. Inoltre, realtà carismatiche nel tempo si istituzionalizzano, e hanno bisogno di riformatori, di “profeti”, che tengano viva la dimensione carismatica. Sono persone concrete coloro che ricevono i carismi, e quando queste operano nelle istituzioni le rendono “carismatiche”: basti pensare al sindaco di Firenze Giorgio La Pira, al politico Igino Giordani, e ai tanti che lavorano nelle istituzioni essendo elementi di rinnovamento e di profezia. La relazione carisma-istituzione è dunque dinamica, complessa, fluida, non statica e astratta.

11 Sulle “tentazioni” del Commercio equo e solidale e esperienze simili, mi sono soffermato anche in Bruni (2006, cap. 9).

12 Personalmente sono in “attesa” di carismi – magari ci sono e non li ho ancora scoperti – per il mondo tragico del carcere, per gli anziani (invecchiare oggi in Occidente con famiglie sempre più “corte” — nello spazio e nel tempo — e con la fede sempre più incapace di dare un senso alla morte, è una esperienza spesso di grande sofferenza), per i manager e imprenditori soli e tristi, quella grave forma di povertà di cui parla Rahnema nella citazione di qualche pagina fa (che sono spesso tanto poveri da non accorgersene di esserlo). Occorrerebbero persone portatrici di doni per curare queste nuove ferite.

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