Ebollizione araba
La Tunisia vota, la Libia proclama la liberazione, un’italiana viene rapita in Algeria. È necessario che l’Europa ponga attenzione al Sud del Mediterraneo, e non solo ai suoi problemi finanziari
A Bruxelles si celebrano i riti di un’Europa che non sa dove andare, con siparietti e sorrisetti più o meno istruttivi; ma nella “capitale d’Europa” ci si è dimenticati di quanto sta succedendo nella riva sud del Mediterraneo, e in generale nei Paesi arabi. Eppure basterebbe scorrere i take delle agenzie di stampa per capire che la primavera araba, diventata transizione araba, rischia di diventare addirittura un’ebollizione araba. Il weekend è stato bollente.
In medio Oriente, scambiato l’ostaggio Shalit in mano da cinque anni ad Hamas con un migliaio abbondante di prigionieri palestinesi, in una Terra Santa in cui la divisione del campo palestinese è se possibile ancora più evidente di prima, la Siria non riesce a godere di un spolo giorno senza contare i suoi morti, mentre crescono gli esiliati in Libano e Turchia. Turchia in cui, dopo un sabato in cui si sono contati 49 guerriglieri curdi ammazzati dall’esercito nel Sud Est del Paese, poco più a Nord, a Van, s’è verificato un disastroso sisma di cui ancora non si contano i morti. Probabilmente migliaia.
Nel frattempo, nella Penisola araba, s’è appresa la morte del principe ereditario dell’Arabia Saudita, Sultan, non più un giovanotto peraltro; mentre il Consiglio di sicurezza dell’Onu condannava le repressioni del governo yemenita di Ali Abdullah Saleh, e mentre in Oman il sultano Qabus ben Said delegava parte dei suoi poteri ad un consiglio appena eletto, la Shura, per cercare di arginare le proteste crescenti. In Iraq è frattanto arrivato l’annuncio di Obama della partenza dell’ultimo soldato statunitense per la fine dell’anno. Annuncio salutato con particolare soddisfazione dal presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad, guarda caso.
Sul fronte nordafricano, mentre continuano gli scontri tra le truppe del Sudan e i ribelli del Nilo Azzurro, al confine col Sud Sudan, in Egitto non si riesce proprio a capire che cosa uscirà dal rebus elettorale, mentre l’ex presidente Mubarak scoppia in lacrime nel vedere le immagini della morte del rais. Morte che sempre più si dimostra un atto di barbarie mediatizzato, solo parzialmente controllato dal Cln, e su cui le autorità di mezzo mondo chiedono chiarimenti. In Libia viene proclamata la liberazione dal presidente del Cln, Jabril, accompagnata dall’affermazione di una sempre maggiore instaurazione della shari’a, la legge islamica; mentre osservatori d’ogni ispirazione mettono in guardia contro una possibile, strisciante guerra civile. In Tunisia la speranza alberga nei cuori dei votanti, più del 70 per cento della popolazione, che hanno scelto i loro rappresentanti tra più di 600 liste. Ma si resta col fiato sospeso per vedere che volto avrà il nuovo Parlamento, se cioè i partiti che più si rifanno ad un Islam radicale avranno un peso decisivo nella composizione dell’assemblea. Infine, nella vicina Algeria una volontaria italiana del Cisp, Rossella Urru, è stata rapita in un campo profughi saharawi dall’Aqmi, sostanzialmente al Qaeda nel Naghreb islamico.
Notizie impressionanti, non c’è che dire. La mutabilità degli eventi nella regione è sconvolgente. Eppure, archiviato per il momento il caso libico, l’Europa sta a guardare. Anzi, non guarda nemmeno, impegnata com’è a raddrizzare i conti delle banche in crisi di liquidità e indebitate fino al collo. Eppure la crisi politica dei Paesi arabi potrebbe nel medio e lungo futuro rivelarsi ben più grave di quella finanziaria. Guardiamo certo ai conti, ma non dimentichiamo quanto avviene oltre il Mare Nostrum. Anzi, investiamo in questi Paesi. Ne va della salvezza stessa dell’Europa.