È tornato Lang Lang

Il pianista cinese ha imparato perfettamente tecnica, virtuosismo e, cosa ancor più richiesta oggi, capacità mediatica, ma serve l'anima e per questo bisogna crescere
Lang Lang

È tornato il divo della classica. Il cinese che vende milioni di dischi, che ha milioni di fan e gioca a fare la rockstar del classico. Piccolino, maglietta sotto il vestito scuro, capelli a cresta, mosse e occhiatine d’intesa al pubblico mentre suona, mani alzate in segno di vittoria alla fine del brano. È spettacolo di uno showman astutissimo (molto di più i suoi manager). Già, ma come suona?

L’avevo ascoltato e non m’era sfuggita la perizia tecnica straordinaria, il carisma comunicativo. Da buon cinese ha imparato perfettamente tecnica, virtuosismo e, cosa ancor più richiesta oggi, capacità mediatica. Ma c’era Antonio Pappano sul podio dell’orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia a Roma a dirigere la semisconosciuta ouverture dall’opera "Dinorah" di Meyerbeer, geniale operista ottocentesco, oggi trascurato, roboante e piacevole (con coro annesso).

Pappano poi accompagnava – da par suo – Lang nel terzo concerto per pianoforte e orchestra di Prokofiev e qui il pianista si sbizzarriva in scorrevolezze timbriche, tocchi argentini, trilli sostenuti con una abilità pirotecnica quale è richiesta da questa musica virtuosistica e pericolosa, densa di richiami popolari, di incursioni ritmiche, di accenni jazzistici, insomma musica sospesa fra tradizione e modernità (dell’epoca), dove Lang ha sfoggiato la sua incredibile verve comunicativa, spettacolare.

Di più tuttavia non bisogna chiedergli, perché l’acclamatissima rockstar finora non lo può dare. L’anima infatti, quasi, non c’è. Ma Lang è un frutto del nostro tempo di visibilità e di apparenza. Speriamo cresca. Pappano comunque ci ha regalato la terza sinfonia – enciclopedica e piacevole – di Saint-Saëns che si ascolta così raramente: un gioiello della serata, ad equilibrare urla e battimani del funambolo mediatico.

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