È tempo di (sor)ridere
Rossini, “Il barbiere di Siviglia”. Donizetti, “Don Pasquale”. Roma, Teatro Nazionale e dell’Opera. Gianluigi Gelmetti “capocomico”, direttore-regista, in pratica factotum, regala uno spettacolo di vertiginosa fantasia. Sulle scene “dipinte a mano” nel teatrino popolaresco, la verve musicale del Pesarese sprizza luce da tutti i pori, complice un cast agguerritissimo. Leo Gullotta, con gag esilaranti in combutta con Gelmetti-uomo-di-teatro (che suona la chitarra nella serenata seconda), la Rosina stupenda, maliziosa di Laura Polverelli, il Basilio sinuoso di Natale De Carolis; il don Bartolo, dalla comicità introversa e perciò efficacissima di Bruno Praticò, il Figaro giovanilistico di Massimiliano Gagliardo e il Conte signorile di Raul Giménez sono una gran bella schiera. Lo spettacolo è gioioso, si pensi al finale primo con la marcia buffa della Guardia e poi la “stretta” ballerina, i “siparietti” botta e risposta fra Gelmetti, Gullotta e i cantanti. Insomma, c’è da ridere. Ma senza eccesso, perché i cantanti fanno sul serio e la direzione di Gelmetti sorprende per finezza, così che l’orchestra suona con piacere: i diavoletti rossiniani si passano frizzi dagli archi agli strumentini con immediata simpatia, e la musica del Barbiere vola con quell’ironia garbata è sorriso sul mondo e pulisce il cuore. Viene un sospetto: non saremo ritornati, per magia, al 1816, al Teatro Argentina? Com’è “gentile” questo Don Pasquale che nell’allestimento “ammodernato” – il vecchio è un negoziante di tessuti e Norina una dattilografa… – con i filmati del Conte Max, e la .scenografia deliziosamente anni Trenta- Quaranta, sembra ancora più giovane dei suoi 160 anni. Ma la musica donizettiana, lesta con punte patetiche al color tenero, è bella, nell’emotività scoperta, nel sorriso amarognolo per le vecchiaie sospirose e le giovinezze piene di crucci. Sotto sotto la malinconia si fa sentire. Italo Nunziata offre una regia vivace ma non invadente, lievemente ironica, mentre il giovane Antonino Fogliani dirige nel complesso bene un’orchestra dai colori raffinati (memorabile la morbidezza del clarinetto) che fa commuovere e (sor)ridere. Nel secondo cast, svetta la Norina di Mariola Cantarero, scoppiettante in scena ed in voce. Uno spettacolo riuscito. LA SPOSA VENDUTA Al Comunale di Bologna, i tre atti dell’opera di S?metana filano svelti nel ritmo e nel calore slavo di un’ironia sottile, memore delle “buffonerie” italiane, dentro l’orchestrazione lussuosa e robusta. Nessun eclettismo, però, l’aria boema è ottimista e vitale nella storiella contadina di amori giovanili contrastati e poi appagati. Roberto Polastri dirige con precisa energia l’ottima orchestra, mentre l’allestimento della Komische Oper di Berlino (regia di Andreas Homoki, scene di F.P. Schlossmann, costumi di M.Seipel) “sfora” talora nel greve tentando di attualizzare la vicenda, quasi andando all’opposto della musica; per ritrovare l’accordo nel terz’atto, con la surreale scena dei saltimbanchi ricca di arguzia. Belle voci nel cast: Serena Farnocchia, protagonista dal timbro ricco di armonici, il duttile Maxim. Mikhailovi, particolare. Meritato successo di pubblico per un’opera deliziosa dall’inizio alla fine.